Non tutti proletari ma tutti proprietari

Fiorentino Sullo (da WikiPedia)

Nel precedente articolo abbiamo parlato di rendita urbana, cos’è e come influenza la forma e la dimensione delle nostre città (e delle campagne) Oggi è nostro interesse continuare il discorso iniziato parlando una riforma incompiuta, o meglio mai andata in discussione, che avrebbe cambiato di molto il regime dei nostri suoli e conseguentemente i prezzi delle nostre case. Ai più il nome di Fiorentino Sullo potrebbe risultare ignoto, ma agli inizi degli anni ’60, questo signore, si era fatto portatore di una riforma che avrebbe potuto rivoluzionare il mercato immobiliare degli affitti e delle vendite. 

Ma andiamo per ordine.

Fiorentino Sullo, avellinese, militante DC, tra i più giovani membri dell’assemblea costituente, fu nominato ministro dei Lavori Pubblici del Governo Fanfani nel 1962, e da subito iniziò ad aprire una discussione su una possibile riforma urbanistica.
Ad elaborare la nuova legge radunò le maggiori personalità in materia come gli urbanisti Giovanni Astengo, Luigi Piccinato e Giuseppe Samonà, il sociologo Achille Ardigò, il geografo Francesco Compagna e illustri giuristi e dipendenti del vecchio Ministero dei Lavori Pubblici.

L’Italia degli anni ’60 viveva una enorme movimentazione delle classi popolari dalle campagne alle città ed aveva bisogno di case, tante case e a basso costo e questo il ministro Sullo lo sapeva bene; a riguardo è utile leggere i primi lavori della commissione che ci forniscono qualche dato per definire il quadro della situazione:

[…] nel solo decennio 1951-1961 la popolazione dei capoluoghi si è accresciuta di circa tre milioni di abitanti, passando dai 13 milioni e 378.000 del 1951 ai 16 milioni e 73.000 del 1961; in altre parole l’incremento demografico della popolazione italiana si è quasi tutto riversato nei centri maggiori. (da Lo scandalo urbanistico, F. Sullo)

La componente essenziale del costo delle case è il costo del suolo edificatorio, la riforma Sullo voleva abbattere drasticamente questo costo eliminando così i rincari di prezzo speculativi.

Riprendiamo le parole dell’urbanista Giuseppe Campos Venuti che spiega con grande semplicità l’essenza della riforma:

“[..]Con la riforma, infatti, i terreni agricoli che l’espansione faceva diventare urbani attraverso il piano (piano regolatore) andavano espropriati a prezzo di mercato agricolo e urbanizzati a spese del Comune (tramite gara d’appalto naturalmente): resi urbani, cioè, dotati di tutti i servizi necessari, e poi rivenduti agli utilizzatori, gravando sul costo del terreno soltanto le spese che il Comune aveva sostenuto per le urbanizzazioni (cioè il costo delle opere di allacciamento come la rete elettrica, la rete fognaria, le strade, ecc.). Gli utilizzatori sarebbero stati in gran parte i costruttori privati che realizzavano case, fabbriche, negozi e uffici, mentre nelle mani del Comune restavano soltanto i terreni dei servizi già costruiti.”

 

Beh tutto chiaro; l’esproprio generalizzato e la rivendita dei suoli al costo agricolo maggiorati dai lavori effettuati per le infrastrutture di allacciamento avrebbero evitato manovre speculative abbattendo il costo del terreno, e sarebbe stato uno strumento adatto per non far gravare la rendita urbana sugli utenti. Consentendo così l’utilizzo di liquidità per investimenti di altro tipo; negozi, attività commerciali e produttive, ecc.

La legge non era stata “inventata” ad hoc per il caso italiano ma riprendeva massimamente la legge inglese vigente che aveva guidato l’espansione delle città britanniche di inizi ottocento.
Probabilmente questo fu il vero tallone d’Achille della riforma.
Detto in altri termini: i fautori del disegno di legge temevano che le grandi immobiliari potessero riproporre la speculazione edilizia, acquistando i terreni urbanizzati (al netto della rendita), edificandoli e poi dandoli in affitto.

Per evitare questa possibilità (per niente remota) si pensò di utilizzare un meccanismo che non cedesse la proprietà dell’area: il diritto di superficie. Ciò consentiva a chi costruiva la proprietà della casa, ma non dell’area, la quale restava di proprietà comunale e per la quale si pagava un affitto (la parola rendita, precisamente, fa riferimento al verbo inglese “to rent” che significa affittare, e non vendere).

Sullo fu brutalmente accusato, soprattutto dai cosiddetti “liberali” di voler togliere la casa agli italiani, di voler nazionalizzare i suoli e  tacciato di comunismo.

In verità non è possibile dire a posteriori se davvero questa legge  avrebbe risolto del tutto il problema della casa, fatto sta che al ministro non fu data la possibilità di spiegarsi, e fu lasciato solo non solo dall’opinione pubblica, ma anche dal suo partito che ne prese le distanze.
Detto questo, ci sembra giusto, oggi più che mai, ricordare questa importantissima figura che aveva veramente a cuore il problema della casa e che a distanza di 50 anni è caduto completamente nel dimenticatoio e con lui l’intero  dibattito sulla tematica.

da Le Mani sulla Città

Mariano Gesualdi e Andrea Alcalini