A tre mesi dall’alluvione in Bosnia Erzegovina, la ricostruzione e le due facce dello stesso stato

Un'immagine dei danni provocati dall'alluvione a Cole (foto di marco Corsinovi)

Un'immagine dei danni provocati dall'alluvione a Cole (foto di Marco Corsinovi)

Premessa:

Questo reportage, nasce da un viaggio intrapreso nell’agosto 2014. Per comporre questo breve testo le peripezie affrontate sono state molte. Incontri di vario tipo: disperati, rassegnati, a tratti quasi incuranti. Difficoltà di varia natura:  di comunicazione a causa della lingua, di persone disposte a raccontare e anche di animali non proprio accomodanti che sono poi diventati, mio malgrado, i protagonisti del viaggio. Il morso di un cane a Zeljezno Polje, i vaccini e le medicazioni che ne sono seguiti, sono stati alcuni dei ‘souvenir’ e degli episodi clou dell’avventura.

A tre mesi dall’alluvione, la ricostruzione e le due facce dello stesso stato

Zeljezno Polje, cittadina della Bosnia Herzegovina e Priboj, repubblica Sprska stanno affrontando in modo diverso la ricostruzione. Sfollati e disperazione nella parte bosniaca e organizzazione in quella serba, tramite l’aiuto della comunità residente all’estero

Era il 15 maggio quando la più grande alluvione degli ultimi 120 anni ha investito la Bosnia Herzegovina, la Serbia e la Croazia. Ottanta morti, centinaia di case distrutte.

A tre mesi dall’evento, viaggiando per la Bosnia Herzegovina, non si avverte la sensazione di distruzione fino a che non si abbandona la strada principale.

Quella distruzione che è così evidente a Cole, piccolo villaggio ai piedi del centro di Zeljezno Polje, popolato da circa 8.500 persone.  Al momento la cittadina del nord ovest della Bosnia Herzegovina è praticamente irraggiungibile, a causa della frane delle strade che portano al paese.

A Cole non c’è più una strada, parte della collina è franata, si è creato un nuovo fiume che ha deviato il corso del ruscello che divideva il paese, molte case sono state distrutte, ad alcune è rimasto solo il piano superiore. La frana e i detriti hanno infatti interrato gli altri piani.

“Tutta la mia vita – ci ha raccontato Sara, una delle residenti indicandoci i piani inferiori della sua casa, completamente colmi di fango e detriti – è rimasta là sotto.  Soldi, oro, computer. Prima avevo tutto, ora niente”.

La famiglia di Sara viveva a Cole, dove si trovava la casa del padre e del fratello, ora completamente distrutte.

Capire l’entità dei danni nella zona è difficile, la lingua infatti non aiuta la nostra conversazione. Una cosa però appare chiara, parlando con i vari abitanti di Cole che ci indicano la propria casa, che cercano di spiegarci cosa è successo, che ci mostrano le foto del pre-alluviuone, nessuno vuole sentir parlare dei “politicen”.

Chi ricostruirà, come farete? Questa è la grande domanda. La sensazione diffusa è, infatti, che nessuno stia facendo niente per loro, o almeno non lo Stato.

“Abbiamo protestato – ci dicono – ci siamo accampati in comune a Zepce (al quale appartengono i due paese distrutti) ma la risposta che abbiamo avuto è che non ci sono soldi. Abbiamo dormito in comune solo per un paio di notti, per il momento non ci sono state date altre soluzioni”.

Alcuni ci fanno vedere i documenti per la richiesta di risarcimenti ma ancora i moduli non sono partiti e con loro gli aiuti arrivati dalla solidarietà internazionale nei giorni successivi all’alluvione. Alcuni mezzi sono in funzione, lavorano alla strada, ma riusciamo a capire che si tratta di privati.

Intanto nel nord Ovest della Bosnia Herzegovina continua a piovere e con la pioggia torna la paura delle frane.

“Qui fortunatamente – continua Sara - non abbiamo avuto morti ma siamo distrutti a livello psicologico. Non possiamo vivere, non abbiamo elettricità. C’è un cattivissimo odore e ho una gran paura di notte”.

Anche mentre siamo accompagnati nel nostro “tour” della distruzione ricomincia a piovere e mentre la pioggia scende impietosa su Cole, due soldati si avviano a piedi in direzione di Zeljezno Polje, attraverso quella che una volta era la strada di collegamento tra i due centri.

Una frana provocata dall'alluvione a Priboj (foto di marco Corsinovi)

Una frana provocata dall'alluvione a Priboj (foto di Marco Corsinovi)

Scenario completamente diverso invece a Priboj, repubblica Sprska, regione della Bosnia Herzegovina popolata per circa il 90% da serbo bosniaci. I residenti della regione, infatti, più che bosniaci si sentono serbi che semplicemente vivono in Bosnia.

La municipalità di Lopare, della quale il piccolo centro di Priboj fa parte,  è stata interessata da circa 1600 frane, che hanno danneggiato un centinaio di case.

A Priboj in ventisei, otto famiglie, si sono trovati senza più un tetto. In qualche caso le frane hanno creato delle vere e proprie voragini, dentro le quali le case si sono letteralmente accartocciate, in altri  invece le abitazioni hanno “camminato”, spinte anche a settanta metri di distanza verso valle.

“Ci siamo accorti – ci hanno detto alcuni residenti – che la collina si stava sgretolando dal rumore e siamo corsi fuori. Con due macchinate, prima con i bambini, poi con gli altri, siamo riusciti a mettere tutti in salvo. E’ successo tutto in quindici minuti, abbiamo visto le case distruggersi sotto i nostri occhi”.

Per qualche tempo “gli sfollati” di Priboj sono stati ospitati da alcuni amici e ora stanno ricostruendo le loro case tramite l’aiuto di volontari e in particolare grazie alla comunità serba all’estero, che ha inviato i soldi tramite per comprare i materiali necessari alla ricostruzione.

“La municipalità – hanno proseguito – ci ha donato la terra sulla quale costruire e la comunità serba all’estero ha fatto il resto”.

Solidarietà e organizzazione, sono questi secondo i nostri intervistati, gli elementi che sono mancati, ad esempio a Zeljezno Polje. “Noi siamo più organizzati, tra qualche tempo avremo delle nuove case nelle quali potremo vivere”.

Ma una cosa che accomuna le due realtà c’è: il sentimento antigovernativo. I serbi della repubblica Sprska lo evidenziano con un ardore che sottolinea la divisione che intercorre tra le due regioni, che seppure appartenenti allo stesso stato non si sentono tali.

“Sentiamo molto più vicina l’Italia che la Bosnia. Ci hanno diviso dal 1992. Ora siamo due cose diverse”.

Il reportage è stato pubblicato su radiocora.it al link http://www.radiocora.it/post?pst=2699&cat=news

 

Alice Pistolesi