I 60 anni di Chris Evert, la fidanzata d'America

Il 21 dicembre 1954 nacque in Florida la più grande tennista statunitense dell'era Open


evert

Alla fine dell’estate del 1971, l’appena sedicenne Chris Evert era balzata agli onori della cronaca tennistica per aver già accumulato oltre 40 vittorie consecutive e vinto 12 tornei di fila. Tuttavia, si presentò agli Us Open ancora sconosciuta ai più. E giocò come una donna, mettendo in riga professioniste fatte, come la connazionale Mary-Ann Eisel, cui annullò ben 6 match-ball prima di vincere al terzo set. Per la semifinale contro Billie Jean King, n. 1 del mondo e paladina della lotta delle donne per la parità nello sport, si mosse persino il vice-presidente Spiro Agnew, attirato dal clamore che aveva suscitato la ragazzina con la coda bionda proveniente dalla Florida.

L’abito di pizzo, il nastro bianco che raccoglieva i capelli, il portamento da collegiale unito a un piglio deciso e tenace, non impressionarono la scafata Billie Jean, che vinse la partita e poi il torneo, ma conquistarono il cuore degli americani. In un periodo nel quale molti genitori si domandavano se consentire o meno alle proprie figlie di dedicarsi alla pratica sportiva, ancora considerata una minaccia alla tutela dell’imprescindibile femminilità, Evert apparve per fornire una risposta che armonizzava quelli che apparivano opposti inconciliabili: si poteva essere una campionessa senza rinunciare al garbo e alla dolcezza.

Evert e King dopo la semifinale degli Us Open del 1972

Evert e King dopo la semifinale degli Us Open del 1972

Divenne così la fidanzata d’America, la prima della nutrita stirpe delle ragazzine-prodigio che avrebbero invaso il circuito, facendosi forza del quasi inedito rovescio bimane, che Chris impose come il proprio marchio di fabbrica. Vi era ricorsa, all’impugnatura a due mani, quando il padre Jim, istruttore di professione, l’aveva spinta su un campo di tennis alla tenera età di cinque anni. Non ce la faceva a reggere l’attrezzo, se non con entrambi gli arti. Jim Evert, fedele ai sacri canoni del gioco, provò a staccarle la seconda mano appena fu robusta abbastanza, ma dovette arrendersi di fronte alla resistenza della figlia e ai suoi mirabili risultati. A soli 14 anni raggiunse infatti la semifinale di un torneo ufficiale, un record di precocità che le avrebbe tolto oltre 20 anni dopo Jennifer Capriati, che lo abbassò a 13.

Nel 1974, trionfando a Parigi e a Wimbledon, Evert vinse i primi major di una serie che sarebbe giunta fino a 18, dimostrando che i suoi solidi colpi da fondocampo si adattavano benissimo sia alla lenta superficie del Roland Garros che ai prati londinesi. Qui, mandò in visibilio i fan per la love-story con Jimmy Connors, che aveva conquistato il singolare maschile. Le foto dei due innamorati con i trofei di Wimbledon e teneramente abbracciati al tradizionale ballo di fine torneo, finirono sulle prime pagine di tutti i giornali e rafforzarono la popolarità di Chris come esempio ideale della ragazza americana della porta accanto, baciata dal successo sportivo e sentimentale.

Evert e Connors

Evert e Connors

Se l’estasi amorosa terminò improvvisamente per motivi rimasti imprecisati, ai quali assai poco elegantemente proprio Connors ha alluso nella sua recente biografia, rinfacciando all’ex fidanzata un aborto non concordato, la carriera di Chris prese il volo, mentre le sue più temibili avversarie declinavano per l’età o per scelte riproduttive che lei aveva rimandato. Si insediò al vertice della classifica mondiale e divenne semplicemente insuperabile, soprattutto sull’amato cemento di Flushing Meadow, dove vinse quattro volte di fila fra il 1975 e il 1978 e 6 volte in totale, e sulla congeniale terra rossa, sulla quale addirittura compose una collana di ben 125 vittorie consecutive dal 1973 al maggio 1979, quando fu sconfitta al Foro Italico da Tracy Austin, la sua più compiuta controfigura, che la eguagliò per precocità con lo stesso rovescio bimane, il dritto piatto, la bionda coda di cavallo e l’aria da educanda.

La regolarità del gioco fondato sugli infallibili colpi dalla riga di fondo e quella dei successi velarono l’infatuazione delle folle, venendo meno l’incertezza del risultato contro una tipa che abitualmente vinceva oltre il 90% dei match e che sul campo mostrava una condotta apparentemente scevra di emozioni. Chris divenne la “signorina di ghiaccio” e prese a soffrire per l’immagine di idealizzata perfezione che il pubblico proiettava su di lei. Poi, dalla Cecoslovacchia arrivò Martina Navratilova, la mancina che scendeva a rete e attaccava ogni palla, la sua alter ego, l’altra stella di assoluta grandezza del firmamento tennistico, nel periodo in cui il gioco femminile raggiunse la piena maturità e si affrancò dalla condizione di versione minore di quello maschile.

Si incontrarono per la prima volta il 22 marzo 1973, al torneo di Akron. Martina era ingrassata per lo stress provocatole dall’ingresso nel circuito. Chris vinse agevolmente, ma intravide in quelle formi pingui il talento e la classe della sua nemesi potenziale. Divennero amiche e confidenti, si registrarono per il doppio nei tornei del Grande Slam e in coppia vinsero a Parigi e a Londra. L’amicizia e gli allenamenti insieme non impedirono che nascesse la più celebre rivalità della storia del tennis, al punto che non si può raccontare la parabola dell’una senza tratteggiare quella dell’altra. Fino al 1988, si sfidarono addirittura per 80 volte, di cui 60 volte in finale e 14 in occasione dell’ultimo atto di uno dei tornei dello Slam.

Navratilova ed Evert dopo aver vinto il doppio a Wimbledon nel 1976

Navratilova ed Evert dopo aver vinto il doppio a Wimbledon

Per lunghi anni, la domenica, furono le ultime a lasciare i campi, cambiandosi insieme negli spogliatoi, organizzando il trasferimento al torneo successivo, mangiando nello stesso ristorante. Passarono per le stesse emozioni guidate dagli stessi obiettivi, ma in momenti sfasati, il che favorì l’immedesimazione e il sostegno reciproco. In principio, Evert era solita prevalere, vinse ventuno dei primi 25 incontri. Quando Martina prese il sopravvento, lo fece imperiosamente: fra il 1982 e il 1984, infilò 13 vittorie consecutive, spingendo la rivale sull’orlo della resa rassegnata e infine assommando 43 successi nei confronti diretti. Il contrasto al contempo travalicò e alimentò il mero antagonismo tennistico. Per il pubblico, la contrapposizione era perfetta: la buona contro la cattiva, la fanciulla della porta accanto contro la lesbica dichiarata, la giocatrice leggiadra e delicata contro l’amazzone ipermuscolata, la principessa d’America contro l’immigrata dal paese comunista (che pur aveva ottenuto la cittadinanza statunitense).

Per il suo aspetto rassicurante, Chris Evert fu incasellata nel ruolo dell’idolo fragile, benché dietro l’apparenza imperturbabile si celasse una combattente irriducibile e determinata: «Dicevo alle persone che era Martina quella vulnerabile e insicura - ha ricordato anni dopo – e loro trasecolavano. Avevano individuato la prepotente e io ero incaricata di metterla a tacere. Non potevano credere che raccontassi barzellette sconce o dicessi parolacce o rompessi le racchette in allenamento!».

Inevitabilmente, si allontanarono quando il contrasto sportivo toccò il suo apice, ma seppero conservare l’affetto iniziale. Nel 1986, Evert trascurò un infortunio al ginocchio e acconsentì di far parte della squadra americana che andò a giocare a Praga contro la Cecoslovacchia. Per Navratilova, ormai naturalizzata, fu il primo ritorno nella terra natale dal giorno della diserzione e fu Chris a metterle una mano sulla spalla nel momento in cui si alzarono al cielo le note dell’inno ceco. Nel 1989, al suo ultimo Wimbledon, quasi travolta dalla baldanza della giovane Laura Golarsa, Chris vide che Martina era apparsa sulle tribune per sostenerla e trovò ancora le energie per risalire e approdare alla sua 17esima semifinale in 18 partecipazioni.

Navratilova ed Evert nel 2010 alla presentazione di "Unmatched"

Navratilova ed Evert nel 2010 alla presentazione di "Unmatched"

Nel 2010, la rete ESPN incaricò cineasti famosi di celebrarne il trentesimo anniversario raccontando trenta storie di sport. In “Unmatched – Senza rivali”, le registe Lisa Lax e Nancy Stern chiesero alle due stelle di rievocare le loro carriere attraverso il prisma dell’intatta amicizia. Con un sospiro e un’ammissione di ammirevole sincerità, Chris Evert riconobbe che Martina al suo meglio era stata migliore di Chris al suo meglio, ma alla fine entrambe conclusero che essersi fronteggiate così fieramente e così a lungo, ne fece delle persone migliori e delle atlete più forti e più longeve.

Paolo Bruschi