Come successe che Ferenc Puskas giocò contro l'Empoli

Il 23 gennaio 1958, il campione ungherese indossò la maglia del Signa 1914 in un'amichevole contro gli azzurri


Puskasreal

Come si può spiegare a un giovane tifoso di calcio chi era Ferenc Puskas? Come si può dirgli che l’iper-reclamizzato Cristiano Ronaldo è andato a Madrid solo per seguire le orme dell’illustre predecessore? Come si può mettere in parole la grandezza dell’unico giocatore capace di segnare quattro reti in una finale di Coppa dei Campioni?

Forse conviene partire dall’inizio. Dal novembre 1953, quando capitanò la nazionale ungherese, che inflisse all’Inghilterra la prima sconfitta sul suo suolo patrio, un umiliante 6-3, seguito nella primavera successiva al Népstadion di Budapest da un ancor più mortificante 7-1, nella partita che i britannici avevano preteso come rivincita. O invece è meglio cominciare dalla fine. Dal novembre 2006, quando Puskas passò a miglior vita. Il giorno dei funerali milioni di compatrioti lo vollero salutare e l’allora primo ministro Ferenc Gyurcsany lo definì “il più famoso ungherese del ventesimo secolo”.

Tuttavia, dai giorni in cui l’Ungheria mostrò al mondo una nuova concezione del calcio e in sei anni accumulò 42 vittorie, 7 pareggi e una sola, inopinata sconfitta nella finale dei Mondiali del 1954 contro la Germania Ovest, i tempi sono assai cambiati. Il tifoso di calcio dell’avvio avrebbe enormi difficoltà a citare un solo calciatore ungherese conosciuto fuori dai suoi patri confini. Negli anni ’50, al contrario, l’Ungheria era all’apice della sua parabola e lo stesso valeva per i suoi più rinomati protagonisti, come Nándor Hidegkuti, il primo “falso nove” del gioco, Zoltán Czibor, un’ala mancina con un sublime controllo di palla e Sándor Kocsis, un attaccante fantastico dotato di un colpo di testa micidiale. Nessuno di loro, però, poteva rivaleggiare con il meraviglioso Puskas.

La Rivoluzione d’Ungheria mise fine bruscamente al volo della nazionale allenata da Gustav Sebes. Quando i cingolati dell’Armata Rossa invasero le strade di Budapest, l’iniziale rivolta studentesca si mutò in una sollevazione di popolo contro i sovietici. Battaglie furono ingaggiate per le pubbliche vie e in molti rimasero uccisi. Perfino Puskas fu creduto morto, come scrisse La Nazione di Firenze. Invece, il maestoso fuoriclasse si trovava da questa parte della “cortina di ferro”, poiché la Honvéd, la sua squadra di club, doveva giocare contro l’Atletico di Bilbao in Coppa dei Campioni. Persero 2-3 e decisero di non tornare in Ungheria, organizzando la partita di ritorno a Bruxelles, dove un pareggio per 3-3 sancì la loro prematura uscita dalla competizione.

"La Nazione" andò in edicola con la notizia della morte di Puskas

"La Nazione" andò in edicola con la notizia della morte di Puskas

Da quel momento, iniziò la diaspora dei giocatori, che sciamarono per l’Europa alla ricerca di un ingaggio con le squadre occidentali. Dopo vario girovagare, Puskas approdò a Bordighera, dove comincia una piccola storia che merita di essere ricordata.

Sulla costa ligure, Puskas fu avvicinato da Renato Bonardi, allora dirigente del Signa 1914, una squadra di paese che l’anno appena trascorso ha celebrato il suo centenario. Alla confluenza di Arno e Bisenzio, la società signese si vanta con orgoglio di essere più antica della Fiorentina stessa (che è stata fondata nel 1926), benché non sia mai riuscita a fare meglio di qualche campionato in serie C negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Grazie alle sue conoscenze con i vertici della società viola, Bonardi ebbe dei colloqui con Puskas finalizzati al suo trasferimento a Firenze. All’epoca, i viola avevano appena vinto il loro primo Scudetto e nel 1957 erano giunti alla finale di Coppa dei Campioni, arrendendosi solo al portentoso Real Madrid sul terreno del Santiano Bernabeu, a causa di un tardo e contestato rigore di Alfredo Di Stefano, raddoppiato prima della fine da un gol di Francisco Gento.

È noto come finì. Dopo una squalifica di due anni comminatagli dalla FIFA per aver rifiutato di tornare in Ungheria, Puskas si unì proprio ai blancos madridisti, dopo che Juventus e Inter lo ebbero scartato per l’età e il peso – per i nerazzurri fu solo il primo di una serie ancora aperta di disastri di mercato, che include naturalmente Marco Tardelli, Michel Platini, Roberto Carlos, Clarence Seedorf e Andrea Pirlo.

Tutto ciò, clamorosamente, condusse al fatto che il Signa 1914 è stata l’unica squadra italiana per cui Ferenc Puskas abbia mai giocato. Mentre erano in corso i negoziati con la Fiorentina, Bonardi invitò l’ungherese a trascorrere qualche giorno proprio a Signa. Durante quelle oziose giornate, Puskas passeggiava per la cittadina, davanti agli occhi increduli dei signesi, il cui stupore raggiunse le stelle allorché una notizia che doveva restare segreta filtrò fra i chiacchiericci dei paesani: avendo stretto una salda amicizia con Bonardi, l’asso magiaro aveva acconsentito alla sua insistente richiesta di indossare la maglia n. 10 dei “canarini”, come sono chiamati i giocatori della compagine toscana per il colore giallo-blu delle loro maglie.

Il 23 gennaio 1958, il piccolo terreno di gioco dirimpetto alla stazione ferroviaria, con il desolante conforto di rari ciuffi d’erba in prossimità delle zone d’angolo, fu lo scenario di un improbabile spettacolo di fronte a una folla entusiasta e stipata in ogni spazio disponibile. Il più celebre calciatore dell’epoca scese in campo per un’amichevole contro la seconda squadra dell’Empoli a fianco di carpentieri, elettricisti, ferrovieri e operai, i suoi inverosimili compagni di squadra per un giorno.

La formazione del Signa con Puskas, il terzo da sinistra fra gli accosciati

La formazione del Signa con Puskas, il terzo da sinistra fra gli accosciati

Proprio come sarebbe successo nel 1967, quando un ormai anziano Ferenc Puskas rispose inaspettatamente all’invito di un’associazione filantropica del Merseyside e si recò in Inghilterra per una partita di beneficienza fra attempate glorie locali e giovani speranze mai sbocciate, quello che più sconcertò e divertì il pubblico fu ascoltare l’annunciatore che declamava l’elenco dei titolari. Il Signa 1914 schierò Michelagnoli, Piccini, Calonaci, Paoletti, Tognazzi, Tofani, Ceccatelli, Mischi, Torti, Puskas, Pagliai.

Con l’ovvia eccezione del loro occasionale collega ungherese, nessuno degli altri era mai stato neanche vagamente vicino a qualcosa di simile alla “popolarità calcistica” o aveva letto il proprio nome su un giornale. Le persone allo stadio non poterono trattenere un sorriso divertito quando nomi fra loro incoerenti furono annunciati uno dopo l’altro: … Mischi, Torti, Puskas e Pagliai! Fossi stato presente, mi avrebbe colto una sensazione conosciuta. Da bambino, ero un tifoso sfegatato della Juventus e come tanti coetanei giocavo a calcio in una squadra della mia città. Se c’era un dubbio che incrinava la mia certezza che presto o tardi sarei diventato un campione amato dalla folle non era l’insufficiente fiducia nelle mie qualità tecniche o caratteriali, ma piuttosto lo straniamento che mi procurava il mio nome se pronunciato accanto a quello dei miei idoli: … Causio, Tardelli, Boninsegna, Bruschi, Bettega… no, non poteva funzionare in nessun modo!

L’Empoli fu agevolmente regolato per 3-0. Puskas non segnò, limitandosi ad assistere per il gol un paio di compagni, che a fatica tenevano lo sguardo sulla palla e non lo fissavano in adorazione. Secondo un reporter che fece il viaggio da Firenze, il migliore in campo fu il portiere azzurro, il giovane Luciano Corsinovi, che neutralizzò le quattro poderose conclusioni di Puskas e a fine gara ricevette pure i suoi complimenti. Alla fine della giornata, l’unica stella dell’incontro si concesse alla folla ammirata in una cena tenuta nei locali del teatro comunale, soddisfacendo numerosissimi cacciatori di autografi e foto-ricordo.

Ma la storia ha un’appendice. L’amicizia fra Bonardi e Puskas sopravvisse agli anni scintillanti che l’attaccante magiaro passò in Spagna, dove formò insieme a Di Stefano una coppia senza uguali. I due uomini si scambiarono lettere in italo-spagnolo e le fotografie dei rispettivi figli. Rimasero in contatto per lungo tempo e alla fine degli anni ’60, il figlio di Bonardi viaggiò fino a Budapest, dove fu accolto con un caldo e fraterno benvenuto da Puskas, che gli presentò l’amico ed ex-compagno di nazionale József Bozsik, che aveva da poco aperto uno dei primi negozi privati della capitale. Tuttavia, cambiarono disciplina e giocarono una partita di tennis all’Isola Margherita come segno di una durevole amicizia nata in nome dello sport.

Paolo Bruschi