Le relazioni sportive fra USA e Cuba durante l'embargo

Breve resoconto della diplomazia dello sport fra gli storici nemici, mentre la riapertura dell'ambasciata statunitense all'Avana promette di normalizzare i rapporti fra i due paesi


Pare che questa sia la volta buona. Con ragionevoli probabilità di riuscita, uno dei maggiori lasciti in politica estera del presidente Barack Obama potrebbe essere la normalizzazione dei rapporti con Cuba e persino l’avvio del processo di rimozione dell’anacronistico e odioso embargo che opprime l’isola caraibica dal 1962, per cui è però necessario il benestare del Congresso, ora a maggioranza repubblicana.

L’aspro contrasto fra Washington e L’Avana, all’origine di alcuni fra i momenti più drammatici della Guerra fredda, non ha comprensibilmente risparmiato nemmeno le relazioni sportive, che sono di fatto congelate da oltre 50 anni. Con qualche sporadica eccezione, però, se si considera che il baseball è lo sport nazionale di entrambi i paesi ed è stato sovente usato come mezzo per mantenere vivi i contatti.

Fidel Castro nel ruolo di lanciatore prima della partita con i Red Wings

Fidel Castro nel ruolo di lanciatore prima della partita con i Red Wings

Ancora pochi mesi dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro, gli Havana Sugar Kings erano affiliati a una lega satellite della Major League americana (MLB) e ospitavano perciò regolarmente squadre statunitensi. Durante una serie con i Rochester Red Wings nel luglio 1959, lo stesso Líder máximo scese in campo come lanciatore in un’esibizione fra la squadra dei Barbudos e una selezione della polizia. Il giorno dopo, la gara ufficiale fra i Red Wings e gli Sugar Kings andò per le lunghe. Allo scoccare della mezzanotte, i tifosi sugli spalti eruppero in un’irrefrenabile celebrazione dell’anniversario del “Movimento del 26 luglio”, la formazione rivoluzionaria che aveva rovesciato il dittatore Fulgencio Batista, lanciando fuochi artificiali e sparando colpi di arma da fuoco. Un proiettile vagante mutilò a un orecchio l’italo-americano Frank Verdi, cui l’elmetto in plastica che indossava evitò conseguenze fatali. Gli yankee fecero in fretta i bagagli e la serie fu interrotta. I cubani non resero la visita, perché l’avvio della nazionalizzazione dei possedimenti americani sull’isola segnò la fine degli Havana Sugar Kings, mentre il maldestro tentativo di invasione organizzato dalla CIA alla Baia dei Porci nel gennaio 1961 e la crisi dei missili dell’ottobre 1962 decretarono la cessazione dei rapporti fra le parti e il conseguente black out sportivo.

Se ne sarebbe riparlato alla fine degli anni ’70. In verità, qualche anno prima, si era profilata la possibilità di un match epocale fra Muhammad Ali, che aveva riconquistato il titolo contro George Foreman e respinto l’ultimo assalto di Joe Frazier, e Teofilo Stevenson, il magnifico pugile cubano che aveva dominato due Olimpiadi ed era ormai palesemente troppo forte per qualsiasi altro dilettante. L’evento del secolo però non ebbe luogo, poiché il gigante caraibico preferì restare fedele alla sua terra e alla società in cui viveva: «Cosa sono cinque milioni di dollari a paragone dell’affetto di otto milioni di cubani?», disse solennemente quando respinse al mittente lo stratosferico ingaggio che gli era stato offerto per sfidare “The Greatest”.

Muhammad Ali e Teofilo Stevenson si sono incontrati solo dopo aver smesso di combattere

Muhammad Ali e Teofilo Stevenson si sono incontrati solo dopo aver smesso di combattere

Come detto, si arrivò quindi al 1978, quando sorprendentemente fu il calcio a gettare un ponte di collegamento fra gli acerrimi nemici, su iniziativa dei Chicago Sting, che davano del filo da torcere ai New York Cosmos nella stenta lega calcistica nordamericana (NASL) e che schieravano vecchie glorie europee come l’olandese Wim Van Hanegem, il polacco Robert Gadocha e l’ex laziale Luigi Martini. Chicago stava svolgendo la preparazione pre-campionato ad Haiti, quando il presidente Clive Toye, che l’anno prima da patron dei Cosmos aveva invano provato ad allestire una tournee a Cuba, ricevette un invito dalla nazionale dell’Avana.

Niente era stato programmato e non c’era neanche un aereo che collegasse Port-au-Prince all’Avana. I giocatori erano ansiosi di rientrare a casa dopo due settimane all’estero, ma la possibilità di visitare l’isola interdetta parve eccitarli. Toye rimediò un vecchio Dc-3 e un veterano della seconda guerra mondiale li pilotò fino a Cuba. Furono trattati con tutti i riguardi e alloggiati al decadente ma ancora maestoso Sheraton Hotel. La partita fu giocata il 21 marzo 1978 di fronte a 30.000 spettatori, che videro la loro nazionale prevalere con relativo agio per 2-0. Meno di due mesi dopo, Cuba restituì la cortesia e il 9 maggio le squadre si affrontarono ancora sul terreno del Soldier Field, a Chicago, davanti a una folla molto più ridotta di appena 4.000 tifosi. Stavolta, gli americani strapparono un pareggio, forse perché gli ospiti non avevano superato le distrazioni provocate da una cena consumata al locale Playboy Club, fra conigliette discinte e alcolici solitamente proibiti.

Passarono gli anni, l’accomodante Jimmy Carter fu sostituito alla Casa Bianca dall’intransigente Ronald Reagan e qualunque ipotesi di apertura nei confronti del regime castrista fu duramente contrastata. Si dovette arrivare alla fine del secolo, quando fu l’amministrazione di Bill Clinton a incoraggiare un allentamento della tensione fra gli storici nemici, facilitando il rilascio dei permessi di viaggio e gli scambi culturali. E, manco a dirlo, passando di nuovo per il baseball. Nonostante l’ostinata opposizione delle associazioni dei fuoriusciti cubani, nonché del Dipartimento di Stato, ai Baltimore Orioles fu concesso di disputare un’esibizione contro la nazionale castrista e una partita di ritorno sul suolo americano, come richiesto dall’associazione dei giocatori. La prima si svolse nella capitale cubana di fronte a 55.000 spettatori il 28 marzo 1999 e gli ospiti vinsero dopo oltre tre ore di strenua battaglia, inducendo i media statunitensi a ironizzare sul fatto che una squadra con un monte-stipendi di 82 milioni di dollari ne aveva a fatica piegata una che aveva a libro paga giocatori per soli 6.000 dollari. Fidel Castro assistette a tutto l’incontro in compagnia dei vertici del club americano e alla cena seguente fantasticò sulla fine del blocco economico e commerciale e si dichiarò favorevole all’idea che le franchigie della MLB impiantassero accademie per giovani giocatori a Cuba. Al ritorno, il 3 maggio successivo, la motivata selezione cubana riuscì addirittura a imporsi per 12-6, non prima che Rigoberto Herrera, l'anziano campione che viaggiava con la nazionale, disertasse e chiedesse asilo politico negli Stati Uniti. La delegazione cubana fu così tenuta sotto stretta sorveglianza e non ci furono altre defezioni. Tuttavia, pochi mesi dopo, Andy Morales e José Contreras, fra i migliori giocatori della loro generazione, scapparono e firmarono contratti professionistici con le squadre americane.

Fidel Castro saluta i giocatori degli Orioles prima dell'amichevole disputata all'Avana

Fidel Castro saluta i giocatori degli Orioles prima dell'amichevole disputata all'Avana

Da qualche anno, i confronti fra le due rappresentative non sono più così rari. Stati Uniti e Cuba si affrontano periodicamente a livello di nazionali calcistiche, in ultimo anche in occasione del girone di qualificazione ai Mondiali del 2010. Le nazionali di baseball giocano l’una contro l’altra nel World Baseball Classic, un torneo a inviti cui Cuba partecipa regolarmente dal 2006, quando un’iniziale contrarietà del presidente George W. Bush fu vinta dalla compatta resistenza delle altre nazioni partecipanti, che minacciarono di ritirarsi dalla competizione se Cuba fosse stata bandita.

L’attuale processo di riavvicinamento, culminato l’altro ieri con la riapertura dell’ambasciata statunitense all’Avana cui ha presenziato il segretario di Stato John Kerry, è stato fiancheggiato anche da una frenetica attività di diplomazia sportiva, che lo scorso giugno ha portato i New York Cosmos nella capitale castrista per un’amichevole con la nazionale caraibica, finita 4-1 per i professionisti americani in cui milita l’ex stella madridista Raúl.

Ragazzini giocano a baseball a Cuba

Ragazzini giocano a baseball a Cuba

L’azione di Obama potrebbe infine riscuotere l’appoggio del Partito repubblicano, ancora favorevole all’embargo, se si paleserà l’occasione di nuove fonti di reddito per le imprese americane: 11 milioni di cubani, molti dei quali praticano il baseball con invidiabile talento, potrebbero costituire una fucina di nuovi campioni per la Major League, e l’isola nella sua interezza un altro mercato di sbocco, nel processo di espansione che il baseball ha già intrapreso in Asia e in Australia per conquistare l’elusivo brand di sport globale.

Paolo Bruschi