Missione Unifil in Libano e differenze con il caso iracheno: la parola al maresciallo dei carabinieri Antonio Graziani

(foto gonews.it)

Si conclude con il maresciallo aiutante Antonio Graziani il tour di gonews.it all’interno della componente toscana della missione Unifil al sud del Libano.

Antonio Graziani, 47 anni, originario della Ciociaria ma naturalizzato a Rosignano, fa parte della seconda brigata mobile dei carabinieri di Livorno, specializzata in missioni all’estero.

Qual è il suo compito?

Mi occupo dell’organizzazione e della supervisione dei militari e dei civili che lavorano nella base militare di Shama. Per me è la seconda volta in Libano.

A quali missioni ha partecipato?

Sono stato in Iraq tre volte, nel 2005, 2006 e 2010. L’ultima missione l’ho affrontata dopo Nassiriya. La base era stata chiusa dopo l’attentato e noi abbiamo quindi svolto attività in un’altra struttura vicina.

Quali sono le differenze con il teatro attuale?

Qui siamo sotto l’egida dell’Onu e ci sentiamo più protetti. Siamo operatori di pace e abbiamo ottimi rapporti con i civili del posto, in Iraq eravamo visti come invasori.

In Iraq avevamo il compito di istruire e addestrare la polizia irachena e abbiamo addestrato molte persone. Io, proprio perché avevo questo compito, uscivo poco dalla base ma la situazione non era tranquilla. Anche gli americani cercavano di uscire il meno possibile. Lì per esempio c’era l’aeroporto militare mentre qui arrivi in uno civile. Posso assicurare che fa tutto un altro effetto.

La missione in Iraq si può considerare un fallimento? Cosa si doveva fare per non arrivare al punto in cui si trova oggi il paese?

Noi obbediamo alla politica e la politica aveva deciso di lasciare. Abbandonare il teatro in questo modo è stato secondo me un errore perché se addestri uomini non puoi lasciarli senza una guida subito dopo. Mi chiedo spesso dove sono finiti quelli che abbiamo addestrato. So che alcuni stanno combattendo contro Isis ma potrebbe essere che alcuni siano invece dalla parte opposta.