Foibe, interviene il PCd'I: "Ristabiliamo la verità storica? Furono espressione di odio popolare contro decenni di oppressione"

Per loro non c’è spazio nel calendario. Sono stati privati sia della memoria che del perdono. Sono i morti – qualche migliaio – nei campi di concentramento italiani. A opera degli aguzzini del Duce. La maggior parte erano sloveni e croati, ma tra le vittime si contano anche ebrei e zingari. Moltissimi i bambini. Di loro nessuno ne vuole parlare. Forse erano scomodi anche per la propaganda politica che da sempre ha accompagnato le campagne elettorali su queste terre di confine. Il tema è sempre stato ben delimitato: le violenze titine e le foibe. Su tutto il resto, cioè gli antefatti, soltanto oblio.

Ristabiliamo la verità storica:

Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania. Il 28 ottobre 1940 l’attacco fascista alla Grecia si risolse in una completa sconfitta. Il 6 aprile del ’41, 56 divisioni tedesche, italiane, ungheresi e bulgare, attaccarono da ogni parte il Regno di Jugoslavia che crollò nel giro di venti giorni. La Jugoslavia venne smembrata: la Slovenia settentrionale, più industrializzata, fu presa dalla Germania, quella meridionale, agricola, venne annessa all’Italia. La città di Lubiana fu dichiarata una  provincia italiana. Furono annesse all’Italia anche le province di Fiume, Zara e la parte centrale della Dalmazia con numerose isole adriatiche. Zara, Spalato e Cattaro costituirono il Governatorato della Dalmazia. La Croazia fu dichiarato stato indipendente e Aimone di Savoia ne fu proclamato re, mentre il governo fu affidato al boia fascista croato Ante Pavelic – rientrato in Jugoslavia al seguito delle truppe naziste – e agli ustascia che diedero subito sfogo ad ogni sorta di “pulizia etnica”. Il Montenegro divenne un Governatorato civile italiano, trasformato ben presto in Governatorato militare. Buona parte del Kossovo e della Macedonia fu invece annessa alla Grande Albania, già aggredita ed annessa all’Italia nell’aprile del ’39.

Alla spartizione militare della Jugoslavia, seguì subito quella economica e finanziaria. Il bottino maggiore toccò, naturalmente, ai tedeschi i quali si accaparrarono le migliori fonti di materie prime ed energetiche, le più grandi banche e tutte quelle zone che ritennero economicamente più importanti, secondo una proporzione che rispecchiava il grado di vassallaggio di Mussolini ad Hitler. Come era nell’aria già da parecchio tempo, nell’estate del ’41, in Croazia, esplosero nei modi più barbari e sanguinari, i massacri più efferati condotti dagli ustascia contro la popolazione serba, gli ortodossi, gli ebrei, i comunisti e gli avversari politici di tutti i tipi. Un campo di concentramento fu attrezzato a Jasenovac per la loro eliminazione fisica. Ebbe così inizio una crociata cattolica che nulla aveva da invidiare ai peggiori massacri del Medioevo. Duecentonovantanove chiese serboortodosse della “Croazia Indipendente” furono saccheggiate, annientate e molte furono trasformate in magazzini e stalle. Duecentoquarantamila serbi ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa 750.000 furono assassinati, fucilati a mucchi, colpiti con scure, gettati nei fiumi, nelle foibe e nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette “Case del Signore”, ad esempio duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, tagliate le orecchie e il naso, venivano sgozzati, decapitati o crocifissi. In un rapporto su “La situazione politica in Dalmazia”, a proposito delle stragi compiute da questi “barbari del novecento” in Bosnia, nella Dalmazia rimasta sotto Ante Pavelic, si parla di “intere popolazioni trucidate” e di “centinaia di bambini sgozzati in serie”. Anche le camicie nere, per ordine di Mussolini, si distinsero per la loro ferocia perpetrando ogni sorta di violenza. Decine di migliaia di civili furono deportati nei campi di concentramento disseminati dall’Albania all’Italia, dall’isola adriatica di Arbe fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto. In quei lager italiani morirono 11.606 sloveni e croati. Nel solo lager di Arbe ne morirono 4.000 circa, fra cui moltissimi vecchi e bambini per denutrizione, stenti, maltrattamenti e malattie.

In un documento del 15 dicembre 1942 l’Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell’XI Corpo d’Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati “presentavano nell’assoluta totalità i segni più gravi dell’inanizione da fame”. Sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: “Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato= individuo che sta tranquillo”. Nel marzo del ’42 il generale Mario Roatta, comandante della II Armata italiana in Slovenia (Supersloda), diramò una circolare 3/C (un libretto di circa 200 pagine compilato dal comando Supersloda contenente, tra l’altro, il “trattamento da usare alle popolazioni e ai partigiani nel corso delle operazioni”) nella quale si legge: “Il da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente”. Queste parole certamente furono tenute presenti e durante l’eccidio di Gramozna in Slovenia e quando alcune migliaia di civili “ribelli” furono falciati dai plotoni di esecuzione italiani, senza processo, ma solo in seguito a semplici ordini di generali dell’esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti.

In 29 mesi di occupazione italiana nella sola “provincia” di Lubiana vennero fucilati o come ostaggi o durante le operazioni di rastrellamento, circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati o massacrati in modi diversi. Novecento, invece, i partigiani catturati e fucilati. A questi si devono aggiungere altre 7.000 persone, in gran parte anziani, donne e bambini, morti nei campi di concentramento. Complessivamente oltre 13.000 persone, su 340.000 abitanti, il 2,6% della popolazione (opera citata: Quaderni della Resistenza n 10).

Nella zona nord-orientale dell’Istria, alle spalle di Abbazia, le autorità militari italiane intrapresero, all’inizio del giugno ’42, un’azione terroristica contro le famiglie dalle quali risultava assente qualche congiunto relativamente idoneo alle armi, sicchè era probabile ritenere che tale congiunto avesse raggiunto le file dei partigiani.

A seguito di ciò un comunicato del generale Lorenzo Bravarone informò che erano state arrestate e deportate nei lager italiani 34 famiglie per un totale di 131 persone. I loro beni mobili furono confiscati  e le loro case incendiate. Dodici di loro vennero passati per le armi senza alcun processo. Il 13 luglio del ’42 il prefetto di Fiume, Temistocle Testa, ordinò una feroce rappresaglia come vendetta per l’uccisione di due maestri elementari fascisti mandati dal regime a Podhum per “italianizzare” i bambini croati. Reparti di camicie nere, insieme a reparti delle truppe regolari, appoggiati da numerosi giovani fascisti di Fiume, all’alba del 13 luglio entrarono nel villaggio di Podhum, rastrellarono l’intera popolazione che fu condotta in una cava di pietre presso il campo di aviazione di Grobnico, mentre il villaggio veniva saccheggiato e incendiato.

Centinaia e centinaia di case furono distrutte, tutto il bestiame fu portato via e 889 persone di cui 412 bambini, 269 donne e 208 anziani finirono nei campi di concentramento italiani. Altri 91 uomini furono fucilati nella cava. Questo fu il vero volto del capitalismo italiano, monarchico e fascista, in Istria e nei territori jugoslavi annessi o occupati nella seconda guerra mondiale. Tra la caduta del regime fascista, 25 luglio del ’43, e l’8 settembre del ’43, i poteri passarono dai gerarchi fascisti alle autorità militari le quali continuarono ad usare gli stessi strumenti di repressione usati dai fascisti, impiegando le truppe dislocate in Istria per la lotta contro i “ribelli” della Venezia Giulia. Con il crollo del regime fascista divampò la lotta di Resistenza – già da anni preparata – slovena e croata in Istria e nel Goriziano. Fin dal tardo pomeriggio dell’8 settembre nella penisola ci fu una generale rivolta popolare che coinvolse in egual misura le popolazioni italiane nei centri costieri e quelle croate e slovene nell’interno. Le strutture militari dello Stato non opposero nessuna resistenza ( ad eccezione di Pola dove contro gli insorti e i partigiani fu aperto il fuoco per ordine del Comando di guarnigione e si ebbero tre morti fra i civili ), sicchè nel giro di pochi giorni le armi dell’esercito e dei carabinieri passarono agli insorti. Nel clima esaltante della libertà riconquistata, accompagnato da manifestazioni di rivalsa sociale, prese corpo la volontà di una vera resa dei conti con gli italiani fascisti. Già il 13 settembre cominciarono gli arresti dei gerarchi fascisti, dei podestà e di altri funzionari per ordine dei numerosi CPL. I primi massicci arresti avvennero nelle zone di Rovigno e di Albona. Tra gli errestati, che nella stragrande maggioranza era composta da gerarchi fascisti, spie e collaborazionisti, capitarono anche impiegati comunali, notabili, commercianti ritenuti sfruttatori e fascisti che non avevano grandi colpe da espiare.Ma se l’equazione, diffusa in molte località dell’Istria, italiani=fascisti non fu giusta politicamente poiché accomunava il popolo italiano con il governo fascista, essa non fu certamente dettata dal CLN di Trieste che era il principale organo politico della Resistenza italiana nella Venezia Giulia. Il Comitato popolare di liberazione, nel settembre del ’43, anzi raccomandò che la punizione dei criminali fascisti avvenisse con regolari processi, impedendo nella maniera più energica procedimenti arbitrari e vendette.

Questi sono dunque gli avvenimenti più importanti che precedettero il 25 luglio e l’8 settembre del ’43 e sui quali regna il silenzio più assoluto. Essi ci dimostrano che ancor prima dell’8 settembre  nelle foibe finirono, per opera dei fascisti di Mussolini, dei nazisti di Hitler e del fascista croato (sostenuto dalle gerarchie Vaticane e benedetto da Pio XII) Ante Pavelic, comunisti, socialisti, antifascisti e democratici, e, tra il 13 e il 25 settembre del ’43 e dopo l’aprile del ’45, ci finirono non solo gli sfruttatori e gli assassini fascisti italiani, ma anche i traditori del popolo croato e sloveno, i fascisti ustascia e i degenerati cetnici. Le foibe furono un’espressione dell’odio popolare compresso in decenni di oppressione e sfruttamento.

Ci saranno finiti anche degli innocenti? Probabile. Ma questo non cambia la verità storica.

 

Fonte: Partito Comunista d'Italia - Sezione di Empoli "Abdon Mori"

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