Nikolai Starostin, il padre del calcio sovietico

Il 17 febbraio 1996, se ne andò il fuoriclasse che fondò il campionato in Urss e passò dieci anni in un gulag siberiano


Quando non stava purgando milioni di persone, che mandava a morte nei gulag o faceva processare sbrigativamente prima di una rapida fucilazione o di una pallottola nella nuca, Lavrentij Berija, il feroce capo della polizia segreta sovietica e anima nera dello stalinismo, perlustrava Mosca a bordo di una limousine con i vetri oscurati, su cui costringeva a salire le più belle ragazze che incontrava, per poi violentarle nella sua residenza. Quando non faceva uccidere i suoi connazionali o reclutava fanciulle per placare la sua bulimia sessuale, il terribile georgiano si dedicava volentieri al suo hobby preferito, il calcio. Poiché era saldamente assiso al vertice del Ministero degli Interni, tifava per la sua emanazione calcistica, la Dinamo Mosca, a cui teneva al punto da influenzare gli esiti dei campionati con pressioni di ogni genere sugli arbitri. Negli anni ’20 era stato lui stesso un calciatore, ma con più muscoli che talento. Non ascese più in alto delle serie minori georgiane, dove sembra avesse invece incrociato l’astro nascente Nikolai Starostin, che una volta lo umiliò con insistiti dribbling irridenti, conclusi da un tunnel beffardo.

Nel decennio successivo, le strade dei due si divisero. Berija salì con metodi brutali tutta la gerarchia della nomenklatura bolscevica, fino ad attestarsi appena un gradino sotto Iosif Stalin, il supremo dittatore di tutte le Russie, al cui incontrastato potere fattivamente contribuiva liquidando tutti i possibili rivali del “piccolo padre”. Nikolai al contrario si lasciò portare dalla sua passione sportiva: d’estate giocava a calcio e d’inverno a hockey su ghiaccio. Divenne capitano di entrambe le nazionali e, insieme ai tre fratelli minori e con l’aiuto di Kostantin Kosarev, influente segretario della Lega dei giovani comunisti, fondò lo Spartak Mosca, dal leggendario Spartaco dell’antica Roma. Come l’atleta e schiavo ribelle, lo Spartak prese a rappresentare gli sfruttati, gli spiriti liberi e i giovani, poiché non aveva padrini politici. I sovietici che all’epoca volevano sfuggire all’opprimente cappa di terrore staliniano e ritagliarsi un’esigua oasi di autonomia, potevano scegliere di sostenere lo Spartak contro la Dinamo, il CSKA (l’undici dell’esercito), la Lokomotiv (la compagine del Ministero dei Trasporti), o ancora contro la Torpedo Mosca o lo Zenit Leningrado, espressioni dei complessi industriali delle due maggiori città dell’Urss.

Dall'alto in senso orario: Aleksandr, Nikolai, Petr e Andrei Starostin

Dall'alto in senso orario: Aleksandr, Nikolai, Petr e Andrei Starostin

Nikolai e i fratelli divennero i simboli della squadra, che condussero al dominio del neonato campionato sovietico, che proprio il più famoso degli Starostin aveva contribuito a lanciare nel 1936, addirittura osando suggerire che i calciatori della massima categoria fossero esentati da ogni altra incombenza lavorativa, per dedicarsi completamente al calcio e così migliorare il proprio rendimento. Quella sovversiva proposta, che minava alla radice il sacro dogma del dilettantismo, non passò inosservata. In principio, tuttavia, il temibile Berija era più che altro infastidito dai risultati insoddisfacenti della Dinamo Mosca, costretta a mangiare la polvere degli spavaldi spartachisti. Giocava a favore di questi ultimi anche l’acume e il progressismo tattico di Nikolai, che fu il primo a introdurre in Russia il moderno “sistema” di derivazione inglese, a discapito dell’antiquato schieramento che prevedeva due difensori, tre centrocampisti e cinque attaccanti tutti schierati in linea a replicare la forma di una piramide. Secondo i dettami del modulo britannico, Nikolai arretrò il centromediano nella posizione di difensore centrale e disallineò il fronte d’attacco. La novità fu osteggiata dai vertici del partito, come una capitolazione di fronte a una tattica di gioco inventata dalla borghesia inglese e contraria alla sana mentalità offensivistica del calciatore sovietico.

Dopo un periodo iniziale di inevitabile apprendistato, durante il quale lo Spartak subì anche un’umiliante sconfitta casalinga per 2-5 contro gli acerrimi rivali della Dinamo Mosca, la squadra degli Starostin assimilò a dovere il nuovo verbo tattico, dominando tutte le competizioni nazionali. Fu allora che si completò la contrapposizione fra Nikolai e Berija, che assunse caratteri non solo sportivi, ma anche ideologici e politici. Starostin si aspettava l’arresto da un momento all’altro, ma la venerazione che i tifosi gli riservavano pareva metterlo al riparo dalla furia delle purghe. Infine, nel 1942, fu svegliato nella notte dalla fredda canna di una pistola, che un agente della polizia segreta gli stava puntando alla tempia. Fu tradotto alla Lubjanka, il famigerato quartier generale della NKVD, l’edificio che i russi con ironico fatalismo avevano battezzato il più alto di tutto il paese, poiché dalle sue terrazze si vedeva… la Siberia. I gulag della sterminata regione sub-artica erano tuttavia una destinazione preferibile al plotone d’esecuzione e Starostin vi fu spedito: le accuse di aver ordito l’assassinio di Stalin erano troppo artificiose e inconsistenti anche per un sistema giudiziario asservito come quello sovietico, e così l’accusa disseppellì la scelta del “sistema” come cedimento alle sirene capitalistiche. Anche l’astio che Berija nutriva per tutti i fratelli contribuì, nell’ottobre del 1943, alla loro condanna a dieci anni di lavori forzati. Fu però quasi il tocco della benedizione, visto che questo li tenne lontani dalla carneficina della “Grande guerra patriottica”, come i russi chiamano la seconda Guerra mondiale. Anzi, in ogni campo cui fu assegnato, Nikolai ricevette per la sua popolarità l’incarico di occuparsi della squadra di calcio e tutte le guardie lo trattavano in guanti bianchi.

Da sinistra, i leader sovietici alla fine degli anni '40: Anastáz Mikojan, Nikita Chruščёv, Iosif Stalin, Georgij Malenkov, Lavrentij Berija e Viačeslav Molotov

Da sinistra, i leader sovietici alla fine degli anni '40: Anastáz Mikojan, Nikita Chruščёv, Iosif Stalin, Georgij Malenkov, Lavrentij Berija e Viačeslav Molotov

A guerra terminata, un’inaspettata telefonata solcò gli immensi spazi della steppa sovietica per giungere sino al gulag dove era internato Nikolai. All’apparecchio, con enorme sorpresa dei secondini, era Vassilij Stalin. Il figlio del tiranno aveva intenzione di potenziare la Vvs, la squadra di calcio dell’aeronautica che lui stesso aveva fondato, e per farlo intendeva cominciare affidandone la guida a Starostin. Non appena l’ex campione giunse a Mosca, Berija gli intimò di lasciare immediatamente la capitale per evitare spiacevoli conseguenze. Vassilij decise allora di ospitarlo a casa sua. Dormivano addirittura nello stesso letto, insieme a una pistola che il giovane Stalin teneva sempre sotto il cuscino. Starostin fu comunque arrestato e deportato nelle desolate lande del Kazakistan.

Le persecuzioni cessarono dopo il 5 marzo 1953, il giorno della morte di Stalin. Berija tentò di succedergli, ma gli altri leader del Cremlino si coalizzarono fra di loro e lo misero in minoranza. Benché ognuno di loro fosse terrorizzato alla sola idea di intimargli l’arresto, fu infine condotto in carcere e poi processato per crimini contro il partito e lo Stato. Si dichiarò innocente, ma fu ugualmente giustiziato il 23 dicembre 1953.

La tomba di Nikolai Starostin nel cimitero moscovita di Vagankovo

La tomba di Nikolai Starostin nel cimitero moscovita di Vagankovo

Gli Starostin tirarono un sospiro di sollievo. Nikolai divenne l’allenatore dell’Urss e poi tornò allo Spartak come presidente. Con l’avvento di Michail Gorbačëv, della perestrojka e della glasnost, trovò il coraggio nel 1989 di mandare alle stampe le sue memorie, dalle quali traspare uno spaccato assai illuminante della società sovietica e delle sofferenze patite dal suo popolo. Starostin si spense a 94 anni, il 17 febbraio 1996, giusto vent’anni fa.

Paolo Bruschi