La prima corsa di Enzo Ferrari

Il 5 ottobre 1919, un giovane meccanico con una divorante passione per i motori e la velocità, prese parte alla sua prima gara: fu l'inizio di una vicenda leggendaria


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Quasi un secolo fa, il 5 ottobre 1919, un giovane meccanico italiano, con una smisurata passione per le auto e le corse, prese parte alla sua prima gara automobilistica, la Parma-Poggio Berceto. Arrivò soltanto quarto, ma fu il primo atto della più famosa saga motoristica del mondo: quel pilota di appena 21 anni si chiamava Enzo Ferrari. Era un discreto guidatore, ma non un fuoriclasse, tanto che vinse solo 13 delle 47 corse in cui si impegnò. Chi lo spronava a fare meglio, notava che il suo difetto principale era di amare troppo i bolidi che guidava, perciò non li spingeva mai al massimo per timore di rovinarli.

Pochi anni dopo, Ferrari smise di guidare auto da corsa per dar vita al suo autentico sogno di ragazzo: costruirle. Nel 1929, si dedicò al reparto corse dell’Alfa Romeo che poi trasformò nella “Scuderia Ferrari”, dopo esser stato licenziato per il suo stile manageriale troppo duro. Durante la Seconda guerra mondiale, si dedicò alla costruzione di sole parti automobilistiche e nel 1947 la prima Ferrari apparve sul mercato: nello stesso anno, la macchina con il cavallino rampante vinse il Gran Premio di Roma, due anni dopo la prima gara di Le Mans e nel 1952 il primo campionato di Formula 1, dominato da Alberto Ascari.

Ferrari con Ascari negli anni '50

Ferrari con Ascari negli anni '50

Anno dopo anno, la Ferrari si impose come l’auto più vincente, quella più ricca di fascino e tradizione. In principio, la supremazia dipendeva dal fatto che le “rosse” erano più grandi e più resistenti delle altre monoposto e conseguentemente montavano motori con più cavalli. Inoltre, Ferrari schierava un gran numero di vetture e ingaggiava i piloti più temerari. Quasi fatalmente questa combinazione vincente di veicoli superpotenti e piloti spericolati fu anche la ricetta giusta per frequenti tragedie: fra il 1955 e il 1965, sei ferraristi morirono in pista e in cinque differenti occasioni le auto finirono addirittura fra la folla, uccidendo numerosi spettatori. Quando Lorenzo Bandini bruciò vivo nell’abitacolo dopo l’incidente sul lungomare di Montecarlo durante il Gran Premio del 1967, Enzo Ferrari si ripromise di non ingaggiare più piloti italiani, una regola che seguii fino alla sua scomparsa quasi senza eccezioni.

Come costruttore, Ferrari tendeva a disdegnare gli avanzamenti tecnologici che non uscivano dalle sue officine, perciò accolse con riluttanza e ritardo i freni a disco, i motori posteriori o quelli a iniezione. Al tempo della sua scomparsa, avvenuta nel 1988, i bolidi di Maranello avevano comunque vinto oltre 4.000 corse in giro per il mondo.

Paolo Bruschi