Paolo Fontanelli esce dal Pd: le sue ragioni

Paolo Fontanelli

Ho sentito crescere un sentimento di difficoltà e fatica nel continuare a sentire il Partito Democratico come casa propria. Su questo ho ragionato per tutti questi giorni fino ad arrivare a sciogliere il nodo della mia scelta in direzione dell'uscita dal PD.

Da diversi giorni mi interrogo e mi arrovello sulla situazione del PD e sulla concreta possibilità di avviare una stagione nuova. Del resto basta leggere i post di questo blog delle ultime settimane. Il modo attraverso cui Matteo Renzi ha reagito alla sconfitta del 4 dicembre, la rimozione totale dei problemi, la decisione di accelerare il percorso congressuale sulla base dell’idea della rivincita, ignorando con arroganza le richieste della minoranza, lo considero sciagurato e inaccettabile. Anche oggi ci ho pensato molto discutendo con tanti amici, deputati e non. E il sentimento che ho sentito crescere ancora di più è quello della difficoltà e della fatica a continuare a sentire il PD come la casa propria. In tanti commentano in modo critico le chiusure di Renzi sulla opportunità o meno di allungare i tempi del congresso e le sue, evidenti, responsabilità sulla frattura che si è creata nel PD, frutto di una gestione dirigista della segreteria del partito. Però poi ci si adegua, la critica si attenua fino a diventare silenziosa e muta, come se dire la propria opinione possa finire per contrariare chi tiene in mano il timone. In questo senso delle cose chiare le ha dette Pierluigi Bersani e anche Enrico Letta nella intervista al Corriere. Cose che dovrebbero far aprire gli occhi e mettere i riflettori sullo stato del partito e sui risultati della sua conduzione.

Su queste cose ho ragionato per tutti questi giorni, fino ad arrivare a sciogliere il nodo della mia scelta in direzione dell’uscita dal PD. Ovviamente io ho pieno rispetto di tutte le scelte: quelle di chi resta, di chi prende tempo o di chi se ne va, da solo o in compagnia. Non credo, in questa situazione, di avere il diritto di giudicare nessuno.

Nello sciogliere i miei dubbi hanno pesato più fattori. In primo luogo il dissenso sulla linea politica seguita dal PD di Renzi, che mi ha portato anche a votare in modo diverso dalle indicazioni su punti essenziali come le politiche per il lavoro, la scuola, la legge elettorale e il referendum, così come sull’idea di partito. Ma soprattutto ha pesato e pesa l’indifferenza, che considero molto grave, verso il processo di progressivo distacco di molti militanti e elettori di sinistra che dicono di non riconoscersi più nel PD e nelle sue politiche. Io di compagni e amici che mi dicono questo ne ho trovati e ne trovo tanti, e purtroppo molti non votano più o scelgono di votare per i “Cinque Stelle”. La portata di questo fenomeno la possiamo chiaramente riscontrare nel voto alle elezioni regionali del 2015 e alle comunali del 2016. Ecco, quello che mi assilla è il problema di come fare a recuperare quelle persone, come ricostruire una relazione, un rapporto di fiducia, una nuova motivazione con questa parte del popolo di sinistra profondamente delusa dal PD e che rischiamo di perdere definitivamente.

Le dimissioni dal PD annunciate da una persona di grande onestà e generosità come Massimo Baldacci, o quelle di Ilario Luperini e di Francesco Lupi, fanno riflettere, e dovrebbero allarmare un bel po’ di dirigenti e militanti del territorio pisano. Non sarà, non potrà essere, il partito di Renzi a dare queste risposte. Per questo penso che valga la pena di provare una nuova strada e dare una mano ad un possibile progetto di rigenerazione e di rinnovamento della sinistra. Con ciò non ignoro la novità delle ultime ore rappresentata dalla candidatura di Orlando, e in particolare dalle parole con cui l’ha motivata: molto critiche sulla gestione renziana del partito e con un richiamo al nuovo clima che si è palesato in queste settimane. Però bisogna anche dire che senza la straordinaria vittoria del “no” nel referendum questi nuovi spazi non vi sarebbero stati. E allora qualche ragionamento in più va fatto. Tuttavia se cresce la possibilità di affermare un’alternativa a Renzi e cambiare il PD penso sia un fatto positivo, da augurarsi e sostenere. Anche in politica vi sono gli addii e gli arrivederci.

L’altra riflessione, che mi viene da fare mentre si moltiplicano gli appelli contro la cosiddetta scissione, che poi è più un processo di abbandono di singoli che non un corteo di bandiere rosse che esce da una porta della sala del congresso, è più personale. Io ho sentito come un peso vero e serio le valutazioni che emergevano in ogni passaggio in cui le mie posizioni si differenziavano da quelle del partito, perché è logico chiedere coerenza e disciplina di gruppo con le indicazioni di voto del partito. Ma anche rinunciare alle tue convinzioni su temi che implicano principi non è semplice. Tuttavia il disagio non si cancella. Ed è un disagio che ho ritrovato ogni volta che si attribuivano le difficoltà del PD alla litigiosità interna, ovvero alla dialettica di un partito che si definiva plurale. Il punto non era quasi mai il merito delle questioni ma la differenziazione della minoranza che indeboliva il partito. Ecco, forse, adesso è un bene mettere fine a quella litigiosità, togliere quell’alibi, per tutti, e provare a pensare in modo diverso in un quadro politico in movimento.

In tal senso i richiami all’unità preferisco inquadrarli in un percorso di ricostruzione di un rinnovato e ampio campo del centrosinistra, che avrà comunque nel PD un punto di forza centrale, perché l’obbiettivo della sinistra riformista resta quello di proporre, anche in contesto di regole elettorali proporzionali, una prospettiva di cambiamento del Paese fondata sui valori della democrazia, della giustizia e dell’eguaglianza. Dunque, anziché drammatizzare proviamo a vedere i lati potenzialmente positivi di questo passaggio: c’è chi, come me, sceglie un’altra strada dal PD e chi, preoccupato della divisione può decidere di prendere la tessera del PD e partecipare al congresso. Che le diverse opinioni diventino finalmente azione, da parte di tutti, e allora potrà crescere il centrosinistra.

Mano mano che scrivo queste righe e consolido nero su bianco la mia scelta avverto che si riduce il lato della sofferenza e si afferma l’idea di valorizzare il lato propositivo. Una sorta di mutamento di umore e mi viene in soccorso un brano di una delle ultime canzoni di Vasco Rossi che recita in questo modo: “Sai, essere libero costa soltanto qualche rimpianto. Si, tutto è possibile. Perfino credere che possa esistere un mondo migliore”.

Paolo Fontanelli, deputato

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