Aspetti Emotivi e Motivazionali dei DSA

Il Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), è un disturbo del neurosviluppo che compromette l’apprendimento delle principali abilità accademiche, come lettura, scrittura, calcolo, con conseguenze importanti anche di tipo relazionale, emotivo e sociale. I vissuti dei bambini/ragazzi con un DSA sono molto eterogeni: spesso si sentono inadeguati rispetto alle richieste e mostrano scarso interesse e demotivazione verso le attività didattiche e extra-scolastiche non ritenendosi capaci. Possono avere una scarsa autostima e poca fiducia in sé stessi e talvolta si vergognano evitando occasioni di socializzazione. Possono essere ansiosi e insicuri a tal punto da evitare ciò che può provocare queste sensazioni come ad esempio le verifiche a scuola; per questo possono talvolta manifestare sintomi psicosomatici (es. cefalee, mal di pancia, …) come risposte di fuga a queste situazioni stressanti. Possono sembrare arrabbiati, oppositivi, irritati, provocatori, … perché non si sentono capiti e magari attuano comportamenti da buffoni al fine di ricercare l’attenzione. Non investono su loro stessi perché hanno uno scarso senso di autoefficacia e quindi spesso rinunciano per vergogna o mostrano un livello di funzionamento inferiore rispetto alle loro potenzialità. Tutto ciò ci fa comprendere come avere un DSA possa incidere nella vita dei bambini in età scolare, i quali passano la maggior parte della giornata in un contesto in cui gli viene richiesto di svolgere dei compiti. Se non adeguatamente riconosciuto e compensato, può determinare un forte vissuto di inadeguatezza nello studente, che giorno dopo giorno, si trova a fare i conti con le sue difficoltà. La mancanza di speranza, unita alla bassa autostima e alla difficoltà di controllare comportamenti avversi a cui i ragazzi con DSA sono sottoposti, può portare alla formazione di ciò che viene definita “Impotenza Appresa di Seligman”. L’individuo incolpa sé stesso della situazione in cui si trova e da un giudizio non modificabile di incapacità globale di sé. È impossibilitato a modificare il suo stato perché, da una parte non si sente all’altezza, e dall’altra considera l’ambiente come statico (Seligman , 1975). In molti casi di ragazzi con DSA, in particolare con Dislessia, sono presenti le tre caratteristiche evidenziate da Seligman sull’Impotenza Appresa:

  • La tendenza a pensare che le cose negative siano permanenti;
  • La tendenza a generalizzare la negatività e percepirla come pervasiva di tutta la vita;
  • La tendenza alla personalizzazione, cioè a considerarsi come la causa della negatività.

È molto importante che l’adulto di riferimento tenga presente il vissuto di frustrazione del bambino/ragazzo, che può determinare l’incapacità di soddisfare le aspettative dei genitori ed insegnanti. La frustrazione, infatti, può provocare rabbia, riversata su insegnanti e/o genitori. Come accennato in apertura, la rabbia è un’emozione molto presente nei bambini con DSA, può essere esplicitata in due modalità: il bambino la tiene a freno a scuola, al punto da diventare molto passivo, per poi irrompere quando si trova al sicuro nell’ambiente domestico, oppure può manifestarla anche in ambiente scolastico, mettendo in atto comportamenti aggressivi, oppositivi, provocatori, di rifiuto. Inoltre un altro vissuto presente nei bambini con DSA è la vergogna, perché non riescono ad ottenere gli stessi risultati dei compagni o perché svolgono compiti diversi o possono fare uso di ausili come mappe concettuali, audiolibri, calcolatrice. Si sentono così inferiori, diversi, e tale vissuto si amplifica nel momento in cui gli vengono richieste prestazioni come leggere ad alta voce o svolgere un compito senza gli opportuni ausili. Detto ciò, possiamo ben comprendere come i DSA si interfacciano con le componenti emotive e motivazionali, tali per cui il bambino con DSA, sperimentando difficoltà sul piano cognitivo e strategico, può intraprendere nel tempo un cammino di insuccessi scolastici che può influire sulla sua autostima e sul concetto di sé. Il conseguimento di una diagnosi, quindi, rappresenta un primo passo fondamentale per il bambino, la famiglia e la scuola. Il disturbo specifico dell’apprendimento, infatti, ha un grosso impatto sull’ambiente che circonda il bambino, scuola e sistema familiare. Nel momento in cui viene comunicato che le basse prestazioni del bambino sono la conseguenza di una difficoltà specifica di base neurobiologica, e non di una mancanza di intelligenza o di scarso impegno, il bambino e il sistema familiare ne beneficiano.

“Ma io genitore cosa posso fare?”. Questa è la domanda di rito che viene posta subito dopo aver in mano una diagnosi. Il genitore svolge un ruolo cruciale per lo sviluppo affettivo e motivazionale del bambino/adolescente con DSA. È importante trovare dei momenti per parlare con i figli delle difficoltà osservate: dare un nome ad un problema è il primo passo per cercare dei modi per affrontarlo. Risulta invece ansiogeno non poter parlare con nessuno delle proprie preoccupazioni. Per promuovere una crescita equilibrata dell’autostima è fondamentale comprendere le fatiche del figlio, interessarsi ai miglioramenti, gratificare i progressi e l’impegno, valorizzare le competenze, incoraggiarlo sia nelle attività scolastiche che in quelle ludico-ricreative. Può essere molto utile conoscere e imparare a utilizzare gli strumenti di facilitazione proposti al figlio (es. costruzione di schemi, uso della sintesi vocale…) e offrirsi come modello per affrontare e risolvere i problemi e le difficoltà. Un genitore di un bambino/adolescente con DSA dovrà supportarlo per tutto il percorso scolastico, ma dovrà anche modificare il modo in cui gli sta accanto, a seconda dell’età. L’obiettivo per tutti deve essere quello di promuovere una progressiva autonomia nello studio in modo da far crescere una positiva e costruttiva fiducia nelle proprie capacità. Una figura adulta può assumere diversi ruoli che possono essere riassunti in maniera figurata come:

  • ADULTO “CANOTTO”: quando si sostituisce al bambino/ragazzo non favorendone l’autonomia;
  • ADULTO “SALVAGENTE “: quando assiste costantemente il bambino/ragazzo;
  • ADULTO “TRAMPOLINO”: quando assume un ruolo EDUCANTE, dando la spinta verso l’AUTONOMIA. Grazie a un approccio educante, da parte degli adulti di riferimento, permette di arrivare all’indipendenza e alla libertà di pensare e agire, così da raggiungere l’autonomia (Stella e Grandi, 2011)

Nel caso in cui vogliate suggerirci un argomento da affrontare o esporci una vostra problematica o preoccupazione scriveteci a studiopsicologicoilcammino@gmail.com, e noi vi risponderemo o pubblicando la lettera in forma anonima o affrontando la tematica da voi richiesta.

Chiara Paoli