Case popolari a Cascina, Cgil e Sunia: "Norme per fini discriminatori"

(foto gonews.it)

Il 19 maggio scorso il Comune di Cascina (PI) ha pubblicato la graduatoria provvisoria per l’assegnazione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica, graduatoria che segue la pubblicazione del bando nell’ottobre 2016.

Il giorno dopo seguono le dichiarazione dell’amministrazione comunale per bocca del Sindaco e dell’Ass. al Welfare i quali si vantano che la maggioranza dei cittadini provenienti da Paesi extra UE sono stati esclusi. Di contro tutti gli italiani, o più precisamente, i cascinesi sono stati ammessi in graduatoria.

Ma cosa è cambiato rispetto agli anni precedenti? Oltre che il colore dell’Amministrazione comunale è cambiato il modo di concepire un sistema di sostegno alle famiglie economicamente più deboli, rispetto al quale il diritto alla casa ne è elemento centrale.

In particolare, l’applicazione di due norme hanno comportato una così alta percentuale di esclusi: la prima fa riferimento alla Legge Regionale Toscana n.41/2015 che ha modificato e integrato la Legge Regionale Toscana n.96/96 la quale disciplina il mondo delle case popolari. Tale modifica ha inserito il requisito di cinque anni di residenza nel territorio regionale per poter partecipare ai bandi per l’assegnazione di case popolari. Giusto direbbero tanti, peccato che i cinque anni di residenza devono essere continuativi per cui se un cittadino toscano, per motivi di lavoro, cambia regione e poi rientra in Toscana, rischia di essere escluso dalla possibilità di avere una casa. Con buona pace della Costituzione e del principio di mobilità dei lavoratori. La seconda norma, rispolverata dall’amministrazione cascinese e poi anche da tutte le altre amministrazioni comunali della nostra provincia, è quella che qualcuno ha definito anti immigrati; cioè la dimostrazione di non avere beni immobili di proprietà nel Paese di origine.

Ma chi può certificare tale non possidenza? Tutto muove dal D.P.R. n.445/2000, rubricato “Disposizioni legislative in materia di
documentazione amministrativa”. L’art. 3, comma 2 del Decreto recita testualmente “I cittadini di Stati non appartenenti all'Unione regolarmente soggiornanti in Italia, possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 limitatamente agli stati, alle qualità personali e ai fatti certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici italiani, fatte salve le speciali disposizioni contenute nelle leggi e nei regolamenti concernenti la disciplina dell'immigrazione e la condizione dello straniero”.

In sostanza la norma stabilisce che i cittadini di Paesi extra UE possono utilizzare la Dichiarazione sostitutiva di certificazione e la Dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà solo quando tali dichiarazioni sono certificabili o attestabili da parte dell’Amministrazione italiana.

Quindi, essendo l’Amministrazione italiana impossibilitata a verificare se in altro Paese il soggetto ha beni immobili di proprietà, si richiede quanto stabilito dal 4° comma dell’art. 3: “...gli stati, le qualità personali e i fatti, sono documentati mediante certificati o attestazioni rilasciati dalla competente autorità dello Stato estero, corredati di traduzione in lingua italiana autenticata dall'autorità consolare italiana che ne attesta la conformità all'originale...”.

Ma, in concreto come può un cittadino africano ottenere il certificato di non possidenza da parte del proprio Paese? Facile, secondo il Comune di Cascina, basta recarsi personalmente nel proprio Paese o in alternativa conferire una procura tramite il proprio consolato ad un soggetto che in quel paese possa richiedere il documento. Talmente lineare la procedura che secondo L’Amministrazione comunale bastano solo 60 giorni di tempo, pena l’esclusione dalla graduatoria. Eh già, perché le norme non solo vanno rispettate, ma secondo il feudo leghista possono essere utilizzate anche per fini “discriminatori”.
Cgil e Sunia Pisa

Fonte: Cgil e Sunia Pisa

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