Terra, libertà e pallone

Durante la guerra civile spagnola, la squadra di calcio dei Paesi Baschi girò l'Europa per raccogliere fondi per lo sforzo bellico e arrivò fino in Unione Sovietica


La guerra civile spagnola (1936-39) anticipò la conflagrazione che avrebbe opposto Alleati e potenze nazifasciste durante la seconda guerra mondiale. Benché all’atto del pronunciamento militare contro il legittimo governo di sinistra del Fronte Popolare, gli schieramenti in Europa non fossero affatto dati (anzi, le mutue diffidenze tra Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica, cui la Repubblica di Madrid chiese soccorso, segnarono le sorti del conflitto a favore dei golpisti, che invece beneficiarono del concretissimo appoggio di Mussolini e Hitler), si scorgevano nella situazione spagnola questioni politiche fondamentali: da un lato c’erano la democrazia e il progresso sociale; dall’altro, il conservatorismo e la reazione.

Ernest Hemingway al fronte insieme a un soldato repubblicano

Ernest Hemingway al fronte insieme a un soldato repubblicano

Ne scaturì una generale corsa alle armi di volontari provenienti dai quattro angoli del globo, animati da una profonda purezza ideale e trascinati dall’analoga partecipazione di intellettuali di varie estrazioni. Ernest Hemingway, George Orwell, Eric Hobsbawm e Carlo Rosselli si unirono alle “brigate internazionali” e Pablo Picasso dipinse “Guernica”, la sua opera più famosa, quale supremo j’accuse nei confronti del bombardamento della Luftwaffe sulla città basca. Lo stesso giorno del raid, il 26 aprile 1937, la selezione basca di calcio superò al Parco dei Principi di Parigi i campioni transalpini del Racing per 3-0, iniziando un giro di incontri allo scopo di capitalizzare l’emozione suscitata nell’opinione pubblica internazionale dalla crisi spagnola. Voluto da José Antonio Aguirre, primo presidente della Comunità Autonoma Basca, nonché calciatore dell’Athletic Bilbao in gioventù, il tour aveva un duplice scopo: raccogliere fondi per la causa repubblicana e diffondere all’estero le secolari aspirazioni autonomiste dei Paesi Baschi.

La regione basca era una roccaforte repubblicana. Assieme a fattori identitari come la lingua, la secolare tradizione di autogoverno e la ikurriña, la bandiera con lo sfondo rosso, su cui si sovrappongono le croci verde e bianca, un segno separatista non secondario era la rappresentativa di calcio, che con il nome di Selección Norte aveva esordito contro la Catalogna nel maggio 1915. Tre anni dopo, il 17 febbraio 1918, la finale del campionato settentrionale fra Athletic Bilbao e Real Sociedad avrebbe addirittura fornito all’intero calcio spagnolo il suo imperituro tratto distintivo, attenuatosi solo negli ultimi anni di prevalenza del tiki-taka. Il tòpos delle “furie rosse” nacque in esito a quella partita aspra e violenta, interrotta sul 2-2 da un’invasione di campo, anche se la definizione comparve per la prima volta dopo l’egregia prova della nazionale iberica ai Giochi di Anversa del 1920, a significare uno stile di gioco aggressivo e virile, animato da un’incrollabile volontà di vittoria.

I giocatori baschi erano forti. Costituivano il nerbo di una nazionale in ascesa, che nel 1928 aveva inflitto all’Inghilterra la prima sconfitta contro una compagine non britannica e ai Mondiali italiani del 1934 aveva eliminato il Brasile, prima di arrendersi nei quarti di finale agli azzurri di Vittorio Pozzo. Nel giugno 1937, quando la trasferta fece tappa in Unione Sovietica, i calciatori di Euskadi furono comprensibilmente festeggiati da folle imponenti: erano ammirati campioni dello sport e simboli dell’eroica resistenza di fronte all’avanzata delle forze nazifasciste.

Pure nella terra della rivoluzione il calcio era una parte importante della vita delle persone, che l’avevano scoperto all’inizio del secolo. Una volta al potere, i bolscevichi non tardarono a occuparsene, sebbene oscillassero fra la condanna ideologica di uno sport ritenuto irrecuperabilmente diseducativo (il dribbling e le finte erano giudicati turpi inganni!) e i vani tentativi di moralizzarlo attraverso cervellotiche modifiche alle regole. All’arrivo dei baschi, i russi erano dunque appassionati ma sprovveduti: contro la Dinamo Mosca e il Lokomotiv, la selezione basca passeggiò, concedendo infine un pareggio a un undici di Leningrado. Per salvare l’onore, il Cremlino si rivolse a Nikolai Starostin, l’inventore del campionato nazionale sovietico, che pochi anni dopo avrebbe assaggiato i gulag siberiani per ordine di Lavrentij Berija, l’onnipotente capo della polizia politica, cui era inviso per ragioni di rivalità calcistica. Starostin aveva idee evolute, mutuate dalle squadre del “corrotto mondo capitalista”, e il suo Spartak sfoggiava la tattica più moderna del paese. Rinforzata per l’occasione dai migliori effettivi del calcio sovietico, la formazione di Starostin trionfò per 6-2, anche grazie alla benevolenza dell’arbitro, che concesse agli spartachisti un rigore assai generoso. Fu peraltro l’unica battuta d’arresto della selezione basca, che concluse la visita con altre sonanti vittorie ai danni delle Dinamo di Kiev, Tbilisi e Minsk.

In patria, le cose non andavano altrettanto bene. Mentre Euskadi violava gli stadi russi, i nazionalisti guidati dal generale Francisco Franco espugnavano Bilbao, la cui caduta segnò di fatto il destino della contesa, non di meno provocata dalle lacerazioni interne che dividevano i repubblicani in moderati e massimalisti, i quali ultimi avevano il difetto di essere poco o per nulla docili alle direttive dell’Internazionale comunista e del Cremlino che ne muoveva i fili.

Anche i calciatori baschi ebbero le loro difficoltà, poiché, su pressione di Franco, la FIFA proibì la programmata tournée in Sud America. Solo il Messico e Cuba aprirono le loro arene a Euskadi, che continuò a giocare fino al giugno 1939. All’epoca, la guerra civile era stata vinta dai nazionalisti e i giocatori baschi furono bollati come traditori dai giornali franchisti. Molti di loro preferirono non tornare, come il bomber Isidro Lángara, già pluri-capocannoniere in Spagna e capace di ripetere la prodezza in Argentina e in Messico, un’impresa che condivide con i soli Alfredo Di Stefano, Romario e Ruud Van Nistelrooy.

Isidro Lángara vanta 12 presenze anche con la nazionale spagnola, e ben 17 reti

Isidro Lángara vanta 12 presenze anche con la nazionale spagnola, e ben 17 reti

Il rude centralismo di Franco conculcò pesantemente le velleità indipendentiste basche, anche attraverso la messa al bando della selezione calcistica, la cui prima partita dopo il ritorno della democrazia, per ironia della sorte, fu disputata proprio contro l’Unione Sovietica nel marzo 1978. Fu un pareggio a reti bianche al San Mamés di Bilbao.

Paolo Bruschi