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Che cos’è il tempo? Qualcuno dice “E’ la domanda della filosofia” e la Musica sembra possederne in qualche modo il segreto. il mistero del tempo, e del nostro modo di concepirlo, è forse uno degli elementi che lega la riflessione sulla musica alla filosofia tout court.

Il primo e maggiore mistero che sembra nascondere la musica è quello di non darsi mai nell’attualità, ma di distendersi tra passato e futuro, eppure noi la concepiamo come un oggetto che mi sta davanti tutto intero e di cui concepisco in uno stesso istante tutte le parti. Diciamo “conosco la nona di Bethoveen” allo stesso modo di cui diciamo “conosco il David di Michelangelo”.

Shoenberg scrive: “un compositore non deve comporre due, otto, sedici battute oggi e altrettante domani e così di seguito fino a quando il lavoro non sia finito, ma deve concepire una composizione come una totalità, in un solo atto d’ispirazione (…) pensare subito all’intero futuro, all’intero destino dell’idea.

L’intenzione unitaria non è solo nel comporre la musica, o nell’ascoltarla, ma anche nell’eseguirla: nell’interpretazione, o differenza di una lettura o prima vista, c’è sempre, un’idea complessiva del brano e la difficoltà è proprio mantenere quest’idea e conseguirla nel tempo dell’esecuzione.                                      

Se la musica ci permette in qualche modo di afferrare il tempo, che esperienza del tempo facciamo quando eseguiamo o ascoltiamo un brano musicale?

E’un esperienza che poco ha a che fare con la misurazione oggettiva, esterna del tempo. La dimensione del tempo in cui vive la musica è una dimensione interna.

Una dimensione che non risponde alle regole di quantificazione, o misurazione come quella del tempo esterno, che attraverso gli strumenti di misurazione corre sempre uguale ed omogeneo.

In un tempo non omogeneo come il flusso musicale, ogni evento è nuovo, anche se è una ripetizione di ciò che è già stato.

La ripetizione è una delle caratteristiche peculiari della musica, nella musica ciò che è stato detto… è ancora da dire!                                                

E’ ciò che si ridice, un tema che si ripete, è sempre in qualche modo qualcosa di nuovo.

Perché anche l’identico è rispetto al tempo, qualcosa di diverso, di altro.

La musica amplifica i paradossi del tempo.

La musica ci mostra il tempo, ci mostra una dimensione interiore del tempo, ci mostra anche il paradosso del tempo, che non possiamo mai possedere, se non nell’istante presente.

Scrive Strawinsky:

La musica è il solo dominio nel quale l’uomo realizza il presente. A causa dell’imperfezione della sua natura, l’uomo è destinato a subire il passare del tempo-delle sue categorie, del passato e dell’avvenire- senza poter mai rendere reale, e pertanto stabile, quella del presente. Il fenomeno della musica ci è dato al solo scopo di stabilire un ordine nelle cose, ivi compreso e soprattutto, un ordine fra l’uomo e il tempo.

Se è vero che la musica si pone in atto solo nel presente, essa ci mostra un aspetto inconfutabile del tempo: la sua irreversibilità.

Sono nella mia stanza sto studiando un brano da diverse ore, parte per parte, man mano mentre suono mi si chiarisce la struttura armonica, la connessione fra le parti, tutto ciò che si può identificare come una ragione costruttiva del brano, le cadenze, i punti di sospensione. Continuo a ripeterlo, ed emergono le idee che sembrano tenere insieme le parti ed ogni singolo   passaggio, man mano si sviluppa una comprensione (una possibile comprensione, la mia) di quel brano, alla fine lo eseguo da capo a fondo. Molto di quello che ho trovato, o che ho pensato di trovare riesco ad esprimerlo nell’esecuzione. Ed ora? Quanto di quell’esecuzione riuscirò a fermare, a far mio per sempre? (in vista di un concerto, o di altro)

Qualcosa, solo una parte. L’esperienza musicale pone continuamente di fronte all’irreversibilità del tempo, ciò che è stato non sarà mai più, mai come prima.

(E’ questa un’esperienza ancora più radicale nella musica di insieme dove all’eccezionalità di ogni esecuzione coopera ciascuno).

“La musica ha in sé tutte le caratteristiche dello svolgimento temporale: nascita, inizio, crescita, climax, acme, invecchiamento e morte”, per questo più delle altri arti si affaccia sull’abisso dell’esistenza, e sulla sua fragilità.

La bellezza, che ci porta ad inseguirla e a trascorrere gran parte delle nostre giornate in sua ricerca, è una bellezza effimera che continuamente svanisce.

E’ come se la fragilità della musica ci riportasse continuamente alla nostra, il silenzio che continuamente la riassorbe all’orizzonte della morte. A quella che viene definita la “piccola morte” ossia la morte continua di ogni attimo, l’impossibilità di ripetere un solo momento del tempo, che rende fragile l’esistenza e tuttavia rende ogni cosa vissuta, o da vivere, “un inesplicabile tesoro”.

Proprio l’irreversibilità del tempo, che la musica continuamente ci ricorda, rende unico ed attraente ogni momento e ogni nuova esecuzione musicale.

In questo senso la musica ci fa vivere una dimensione profondamente morale della vita, ci svela il valore del momento presente. Ci sono dei periodi nella vita in cui il tempo si vive centellinato. Si segue con trepidazione sacra, ad esempio, ogni mossa ogni verbo, ogni sguardo, ogni anelito di una persona amata, prossima all’eternità. Si valorizza quell’ultimo brano di vita perché siamo dinnanzi alla morte; è l’eternità che dà senso vero al tempo. Forse converrebbe centellinare così tutti gli istanti della nostra vita, afferrando il momento che fugge, viverlo nell’amore per Dio e inchiodarlo nell’eterno.

E’ il senso di unicità, senza ritorno, che fa percorrere continuamente i solchi degli stessi brani a generazioni di musicisti. Quasi come una meta che si può solo conseguire e mai raggiungere. D’altronde non sarebbe immaginabile che un compositore consacri l’esecuzione di un proprio brano come quella giusta o definitiva, sarebbe come chiuderne le chiavi d’accesso ed insieme spegnerne l’interesse, forse quel brano non avrebbe più ragione d’esistere.

Cercare e credere in una nuova occasione. Per un esecutore, ripetere un brano, una, cento, mille volte, non ha solo il significato di risolverne una difficoltà tecnica, come molti non musicisti pensano, ma di comprendere qualcosa di nuovo di quella stessa musica, e farla rivivere ogni volta in una nuova maniera. Ed alla fine di ogni esecuzione, anche la migliore, non vi è tanto la preoccupazione di perderla: è più forte la speranza di una nuova, e migliore occasione.

Perché se è vero, che la fragilità della musica ci riporta alla nostra fragilità, la potenzialità infinita della musica, ci riporta alla nostra infinita potenzialità: continuerò ad eseguire quello stesso brano, perché non è lui che cambia ma io, che so che in ogni momento potrò essere diversa.

In un suo modo unico la musica mette di fronte alla possibilità di vivere il presente come momento unico, e di ricrearlo continuamente come il tempo migliore.

C’è un senso utopico della musica, che la rende così simile alla vita morale. Anche nella vita morale, ciò che posso cercare di afferrare è il momento presente, e solo in esso posso agire portando qualcosa di nuovo, cambiando il corso stabilito.

La speranza è pensare che ogni istante, l’istante presente, possa aprire un tempo nuovo, il tempo di un nuovo inizio.

Fonte: Ufficio Stampa

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