Pini in piazza Ristori: sì o no?

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Lo scorso 9 ottobre sono iniziati i lavori per l’ abbattimento di ben 49 dei pini situati in piazza Oreste Ristori a Empoli, un’azione voluta dall’amministrazione che, in seguito ad una valutazione agronomica, ha ritenuto necessaria la loro rimozione. La decisione ha scatenato ben presto la reazione dell’opinione pubblica, con tanto di creazione di un comitato, denominato “Per la tutela del pino e del verde urbano in Toscana”, indignato per i reiterati interventi di abbattimento di specie arboree di pregio che hanno interessato il nostro circondario (e non solo, si pensi alle proteste avute luogo a Firenze per gli interventi di viale Corsica o di piazza della Stazione).

Ma perché tutto questo accanimento contro il pino, consacrato emblema dell’ italianità durante il fascismo e già pianta sacra per i nostri antenati etruschi? Si tratta davvero di una pianta così pericolosa? Cerchiamo di fare chiarezza.

L’impiego massiccio di questa specie ha avuto inizio negli anni ’30 e deve la sua fortuna alla grande capacità di adattamento nei confronti delle più diverse condizioni, comprese quelle più ostili tipiche dell’ambiente urbano. Tuttavia negli anni si è assistito alla comparsa di una serie di problematiche legate alla crescita della pianta, fra cui il sollevamento delle pavimentazioni e l’occasione cedimento di esemplari all’apparenza in salute.

Molte di queste manifestazioni sono spesso imputabili ad un uso improprio di questa specie: ad esempio, la sua messa a dimora in terreni compatti e pesanti che la pianta non ama per natura (o impermeabilizzati dalla presenza dell’asfalto), porta la pianta a produrre degli ispessimenti a livello delle radici (possiamo, alla lontana, paragonarlo alla comparsa dei calli sulle nostre mani!) con conseguente sollevamento del manto stradale.

Inoltre, avendo il pino per natura delle radici orizzontali capaci di estendersi a grande distanza, soffre spesso del poco spazio lasciatogli, anche a causa della vicinanza di manufatti (cordoli stradali, ecc.) o altri esemplari vegetali, i quali entreranno in competizione con lui per accaparrarsi più luce e più nutrienti possibile.

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Per quanto riguarda la caduta improvvisa di rami o di interi alberi, dobbiamo considerare diversi fattori. Innanzitutto il pino è, a differenza di altre specie, restio alla produzione di “contrafforti”, strutture che aiutano a distribuire i carichi verso le radici di ancoraggio. Se a questo aggiungiamo che la quasi totalità dei pini impiegati nei decenni scorsi è stata privata, all’atto dell’impianto a terra, del fittone (la radice più profonda che ne garantisce la stabilità) nonché delle radici orizzontali, si capisce come i cedimenti siano purtroppo prevedibili per specie come questa.

Ma anche la chioma ha il suo ruolo nella stabilità, soprattutto nella resistenza al vento. Infatti se da una parte la sua tipica rigidità fa partire svantaggiato il pino nella lotta contro il vento, la crescita naturale delle fronde, grazie al gioco di forze ed equilibri fra le diverse parti, rende la pianta più aerodinamica e perciò maggiormente stabile. Va da sé che gli interventi di potatura devono essere particolarmente leggeri, poiché la sua struttura compatta è di per sé perfetta. Troppo spesso assistiamo purtroppo alla cimatura dei rami che, oltre ad essere errata per i motivi sopracitati, deteriora l’albero che non è in grado di generare nuova massa fotosintetizzante come accade per altre specie tipiche dell’ambiente urbano (tigli e platani) ed espone le branche rimaste all’eccessiva pressione di venti e nevicate che ne causano poi il cedimento.

Quindi, se da una parte la natura ci mette del suo per rendere il pino una pianta 'scomoda' da inserire in città (da non dimenticare anche i problemi legati alla processionaria), vero è che l’uomo spesso non si è dimostrato in grado di gestire il suo potenziale correttamente.

Come andrà a finire questa vicenda? Solo il tempo potrà dirlo. Ciò che non dobbiamo dimenticare è che le piante sono esseri viventi e come tali, unici ma imprevedibili.

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Ilaria Mancini

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