Cittadino non autosufficiente in Rsa: la famiglia non dovrà pagare. Il giudice: "È servizio pubblico"

Riconosciuto il diritto all'assistenza di un cittadino non autosufficiente in una Rsa: la struttura non potrà chiedere alcun pagamento in quanto si tratta dell'erogazione di un servizio pubblico, anche se in presenza di un contratto privato.

Lo ha ribadito il tribunale civile di Firenze revocando un decreto ingiuntivo, per un importo di oltre 32mila euro, emesso contro i familiari di un uomo ricoverato alla Rsa Montedomini di Firenze. La vicenda è stata resa nota dall'Associazione per la difesa dei diritti delle persone non autosufficienti.

Ecco la nota:

Il Tribunale di Firenze riconosce il diritto all'assistenza di un cittadino non autosufficiente e revoca l'ingiunzione di pagamento che il Comune di Scandicci aveva inflitto ai familiari. Con la sentenza 1010/2018 pubblicata il 5 aprile scorso, la terza sezione del Tribunale Civile di Firenze ristabilisce il diritto all'assistenza di un cittadino che i Servizi Sociali avevano inserito nella RSA Montedomini e per il quale il Comune di residenza, Scandicci, aveva richiesto alla moglie il pagamento della quota sociale per un importo di oltre 32.000 euro, sulla base della firma che la signora aveva posto in calce a un documento, una sorta di contratto privato, che le RSA pretendono per accettare il ricovero.

Il Giudice afferma che non si può parlare di contratto privato fra RSA e utente, laddove siano i Servizi sociali a effettuare il ricovero e il costo della retta giornaliera sia definito nella convenzione fra Comune ed RSA e non fra il privato cittadino e la RSA.

Il fatto, avvenuto diversi anni fa, giunge ora a conclusione per i passaggi fra diversi rami della macchina giudiziaria ma le condizioni sono sempre le stesse se non peggiori: - le RSA pretendono ancora oggi la firma di un familiare che si impegna a pagare il ricovero (circa 3/4.000 euro al mese), anche nel caso che il dovuto sia a carico del servizio sanitario (quota sanitaria) o del Comune (quota sociale) qualora uno dei due enti o entrambi non provvedano al pagamento; - il Comune coinvolge i familiari nel definire i requisiti economici per concedere il contributo per la quota sociale di assistenza, mentre la legge nazionale- non modificata dal 2001- recita che debba essere considerata per la quota sociale solo l'ISEE dell'utente e non dei familiari; - le Unità Sanitarie Locali (la nuova legge ha rispolverato l'antico nome!) che dovrebbero immediatamente erogare il contributo sanitario a seguito della valutazione della Commissione UVM (Unità di valutazione multidimensionale) hanno inventato la lista d'attesa e il contributo sanitario viene erogato con 12/18 mesi di ritardo!!! - E' quindi una sentenza preziosa quella del Tribunale di Firenze, non solo per la famiglia sollevata dall'ingiusto pagamento di 32.000 euro, ma per riaffermare il diritto di ogni cittadino che, diventato non autosufficiente, è titolare del diritto di essere curato (sanitario, gratuito) e assistito (sociale, con contribuzione) contribuendo con le sue risorse ma non gravando su coniuge e figli. La nostra Associazione è soddisfatta di questa sentenza, dopo anni di denunce e azioni diverse in difesa del diritto dei cittadini sancito dalla Costituzione, ma vilipeso dalle Amministrazioni Comunali e Regionale. Ed è in particolare alla Regione che ci rivolgiamo per chiedere con forza il riconoscimento delle quote sanitarie per coloro che passano dalla valutazione UVM, che altrimenti si trovano costretti a pagare oltre 3.000 euro al mese per il ricovero in RSA.



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