Resistenza: Fedeli, serve memoria contro riemergere razzismo

Un appello alla conservazione della memoria per battere il riemergere di tendenze razziste e contro ogni negazionismo al centro dell'intervento con cui la vicepresidente del Senato Valeria fedeli ha ricordato oggi a Molazzana i partigiani caduti nella battaglia contro i nazifascisti il 29 agosto del 1944.

L'INTERVENTO DI FEDELI

Care amiche e cari amici, autorità, desidero ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questa importante iniziativa.La commemorazione di oggi, per rendere omaggio ai partigiani del Gruppo Valanga, della Stella Rossa e dell' XI° zona Pippo, uccisi il 29 Agosto 1944, è un incontro per riconoscere noi stessi nel ricordo di chi si sacrificò per la nostra libertà. Si tratta di uomini che, sul Rovaio, per molte ore, quel giorno combatterono in 52 contro 1500 tra tedeschi, Brigata Nera di Lucca, Divisione "Monterosa", S.S. italiane.I partigiani sapevano da giorni di essere stati localizzati dai tedeschi.

Già il 27 agosto, una sentinella del Gruppo Valanga aveva sparato contro una pattuglia tedesca avvicinatasi, in perlustrazione, all'Alpe di S. Antonio, dove erano accampati i partigiani. Con le loro postazioni di difesa, i partigiani riuscirono a rispondere all'attacco tedesco, iniziato alle tre del mattino di quel 29 agosto, e si resero protagonisti di una lunga battaglia con la quale, nonostante la loro enorme inferiorità numerica, evitarono rappresaglie alla popolazione civile dell'Alpe di S. Antonio, che al comandante Leandro Puccetti e ai suoi uomini aveva offerto le proprie case e capanne.

Fu certamente una battaglia impari, in cui morirono in 19: 7 appartenenti al Gruppo Valanga, formazione di ispirazione cattolica, 9 alla Stella Rossa, di ispirazione comunista, 3 all'XI° zona Pippo. Anche il Comandante stesso, Leandro Puccetti, gravemente ferito e trasportato all'ospedale di Castelnuovo, perì il 3 settembre seguente.Quei giovanissimi combattenti sono dunque il simbolo di una Resistenza condotta da brigate e sezioni autoctone di montagna, a cui molti giovani italiani aderirono in difesa della propria terra e contribuendo alla liberazione dell'Italia dal nazifascismo.

Voglio con voi ricordare nome per nome quei giovani caduti.Per il Gruppo Valanga: Leandro Puccetti, Mario Bertoni, Mario Davini, Pasquale Cipriani (sedicenne), Lauro Pieroni, Mario Venturelli, Giovanni Borro. Della Stella Rossa: Ettore Bruni, Renzo Sassi, Remo Borsi, Edoardo Bergamini, Aldo Rusticelli, Ferruccio Tognoli, Renato Lorenzoni, Walter Pierantoni, e Rubino Olivieri (catturato dai tedeschi e di cui non si ebbero più notizie). Della formazione XI° Zona Pippo: Francesco detto il Napoletano, Gabriele Puccetti e Sergio Bucci. A loro questa terra deve il ricordo quanto lo deve tutto il Paese, affinché si possa trarre lezione dall'orrore della guerra. È importante ricordare perché sapere ciò che è stato costituisce la nostra stessa identità, il nostro esserci qui e ora, e il nostro guardare al futuro nella piena consapevolezza di quanto faticosa sia stata la costruzione della pace, della democrazia, della libertà.Oggi, sta scomparendo la generazione di chi in prima persona ebbe modo di vivere le terribili esperienze della guerra: persecuzioni, deportazioni, violenze di ogni tipo.Questo rende ancora più difficile e preziosa la valorizzazione di tutte quelle testimonianze che con il tempo sono divenute memoria condivisa.

Dobbiamo coltivare la conoscenza di ciò che è avvenuto con la barbarie nazifascista, ricordando le vittime che con il loro sacrificio contribuirono alla nascita dell'Italia democratica e repubblicana e di un'Europa di pace e prosperità.Il riemergere, in Europa e nel mondo, di fenomeni discriminatori verso le diversità, la riproduzione di stereotipi e pregiudizi nei confronti delle comunità ebraiche, il revisionismo storico fomentato da ideologie xenofobe, antisemite, razziste, sono la dimostrazione che la memoria non può essere data per scontata ma deve essere tenuta viva in tutti noi, ogni giorno, affinché il nostro passato possa avere un senso per il tempo futuro.Rileggo volentieri con voi questo breve passaggio. Si tratta di un intervento svolto molti anni fa, presso la Camera dei Deputati, da Nilde Iotti, nella seduta del 12 luglio 1954, quando nel dibattito sulla spesa del Ministero della pubblica istruzione la deputata del Pci intervenne per affrontare il problema dell'insegnamento della storia nelle scuole italiane: "Che cos'è oggi - chiese Nilde Iotti, rivolgendosi a colleghe e colleghi - l'insegnamento della storia nella scuola italiana? In che modo viene insegnata? Quale elemento rappresenta nella preparazione e nella formazione dei giovani a comprendere le vicende della vita, le vicende stesse della storia, a fare in modo che la storia diventi davvero maestra di vita? Questo a mio avviso è il tema fondamentale, la questione di fondo, alla soluzione della quale siamo chiamati a dare il nostro contributo".

E ancora, in un altro passaggio di quello stesso intervento: "Noi che siamo usciti dalla guerra di liberazione, che abbiamo compreso faticosamente e duramente ed a nostre spese che cos'era il Fascismo, noi che abbiamo vissuto la lotta di liberazione nazionale in maniera tragica e che abbiamo imparato a conoscere l'eroismo dell'antifascismo solo attraverso l'esempio glorioso dei suoi esponenti, perché dovremmo mancare a questo nostro compito verso le nuove generazioni? Perché non dovremmo insegnare loro quale rovina ha rappresentato il Fascismo per il nostro paese, per le famiglie italiane, per la gioventù stessa, e quale gloria vi è nella tradizione dell'antifascismo italiano la cui opera è sfociata appunto nella guerra di liberazione?".Io trovo queste parole fondamentali per comprendere anche lo spirito con cui ci si è a lungo interrogati sul senso della storia e sul nostro bisogno di condividerne lezioni e valori.

Non a caso, quello stesso intervento si concluse con una richiesta, che Nilde Iotti rivolse al ministro dell'Istruzione di allora, di fare in modo che gli edifici delle scuole elementari portassero i nomi delle tante donne che in nome della libertà donarono la vita. Citò Irma Bandiera, Anna Maria Enriquez, ma gli sviluppi della ricerca storica degli ultimi settant'anni ci hanno insegnato che di nomi se ne potrebbero fare tantissimi, perché immenso è stato il sacrificio delle donne che contribuirono alla lotta partigiana.Qui, nella provincia lucchese, il sacrificio delle donne è stimato in 357 uccise per rappresaglia, 259 per motivi bellici, e 38 in quanto di religione ebraica.654 donne la cui morte ci parla di un estremo contributo alla libertà, alla giustizia, alla pace, e che dobbiamo saper tenere a mente anche accanto alle tante altre storie al femminile di cui ci parla l'Italia intera. Si tratta di donne che vissero quei feroci anni spesso lontano dai propri famigliari, impegnati nella lotta di Resistenza, fatti prigionieri, o spediti al fronte. Il contributo delle donne alla Resistenza è senz'altro uno degli aspetti più importanti che dobbiamo saper valorizzare.

Donne come Viola Bertoni, sposata Mori, conosciuta come "Mamma Viola" o anche "Mamma dell'Alpe", che proprio ai ragazzi del Gruppo Valanga, senza pensarci due volte, mise a disposizione la casa, le stalle, i fienili di Trescala, alle falde del Monte Rovaio. Non solo, ma mentre molti giovani, tra cui tanti operai e contadini, combattevano, le donne portarono avanti il Paese in una Resistenza senza armi, assumendo ruoli e funzioni ritenute per molto tempo ad esclusivo appannaggio degli uomini, dando forma a quella forte consapevolezza che caratterizzò, poi, il loro cammino verso il dovuto riconoscimento di diritti e libertà. Così le donne, che da sempre avevano esercitato ruoli fondamentali nella famiglia e nel lavoro nei campi, cominciarono ad ottenere importanti riconoscimenti anche in quegli ambiti che in quel momento si andavano sviluppando nel segno di un forte cambiamento culturale, sociale e tecnologico.

Un cambiamento che in parte si era verificato già con la Grande Guerra, ma che durante la Resistenza si accentuò ed evidenziò la capacità, delle donne, di uscire dalla dimensione privata e famigliare in cui erano state relegate da tradizioni culturali patriarcali e tabù autoritari, per condurre il Paese verso una più matura ed equa condivisione di tutte le responsabilità pubbliche e private. Anche questo è un aspetto fondamentale per comprendere il senso di quelle scelte di lotta e di libertà che sfidando l'idea della subalternità della donna condussero il nostro Paese verso la democrazia, verso una maggiore giustizia sociale, contribuendo alla realizzazione del suffragio universale, all'acquisizione di diritti che il Fascismo e tutti i precedenti governi avevano negato o garantito solo a una parte della società, e soprattutto alla scrittura della nostra Costituzione e dei suoi princìpi di solidarietà, di pari dignità tra donne e uomini, di ripudio della guerra, di libertà di culto, di espressione, di pensiero.

Oggi, dunque, essere uniti in questa commemorazione vuol dire anche sapersi interrogare su quanto sia importante realizzare una piena cittadinanza per tutti. E proprio sull'essere uniti nella memoria vorrei spendere le mie ultime parole, perché ancora troppo spesso il nostro Paese non riesce a fare i conti col proprio passato.Un primo aspetto riguarda il dovere di ribadire, sempre, l'impossibilità - per onestà intellettuale, morale, politica - di equiparare l'esperienza della Resistenza con quella della Repubblica di Salò. Si tratta di scelte contrapposte, a cui si aderì per ragioni e valori non paragonabili: da un lato, la lotta per la libertà, i diritti, la democrazia, dall'altro, il sostegno alla Germania nazista, la giustificazione di eccidi, rappresaglie e rastrellamenti, la cultura antisemita e antidemocratica del Manifesto di Verona.

Un secondo aspetto, che mi preme sottolineare, e che si lega per vari fattori al primo, è quello del revisionismo storico. Oggi non mancano, e probabilmente continueranno ad esserci, tentativi di riscrivere fatti ed eventi non con lo spirito dell'approfondimento scientifico, ma con l'approccio negazionista di chi vorrebbe ridurre o addirittura elogiare le nefaste responsabilità storiche di persone, movimenti o partiti che condussero alla dittatura, prima, e alla guerra, poi. La superficialità di chi afferma che l'antifascismo sia qualcosa di superato o da superare, l'idea che l'antifascismo sia "roba da libri di storia", come ha recentemente scritto e detto qualcuno, sono proprio il frutto della profonda ignoranza di chi non sa, di chi non conosce. Lo disse bene Vittorio Foa, ex partigiano di Giustizia e Libertà, all’ex repubblichino Giorgio Pisanò, quando affermò che "È vero, abbiamo tutti combattuto e ci furono combattenti che lo fecero con onore da una parte e dall’altra, ma se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione, dove mi trovavo insieme a tanti altri come me, mentre poiché abbiamo vinto noi, tu sei oggi Senatore della Repubblica. Questa è la differenza”.

Ecco perché l'antifascismo non è roba da libri di storia, ed ecco perché dobbiamo coltivare la conoscenza di ciò che è avvenuto con la barbarie della guerra. Ricordando il coraggio di chi combatté sulle montagne di queste terre, della Lunigiana e della Garfagnana, noi non facciamo un mero esercizio retorico, ma compiamo anche una grande operazione di verità che la ricerca storica ci restituisce e ci aiuta a mantenere viva.Nella gratitudine che tutte e tutti noi dobbiamo ai nostri partigiani e alle nostre partigiane, dunque, alla loro grande capacità di affiancare grandi differenze culturali e politiche - provenienti dalla tradizione comunista, quella cattolica, quella socialista e quella liberale - nella lotta per la libertà e la democrazia, oggi rinnoviamo il nostro omaggio alla Resistenza, perché è giusto e doveroso.E perché è solo così che l'Europa potrà vivere ancora giorni di pace e democrazia. Viva l'Italia, viva la pace.

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