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I "maghi di Wembley" e la storia dimenticata di Alex Jackson

Il 31 marzo 1928, la Scozia ottenne una memorabile vittoria contro l'Inghilterra, grazie al più luminoso fuoriclasse della sua generazione, la cui carriera fu accorciata dall'avidità

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Fra i tifosi più appassionati del pianeta, da svariati decenni gli scozzesi non hanno più una nazionale di livello almeno dignitoso per cui entusiasmarsi. Altrettanto mestamente, le squadre di club – soprattutto Celtic, Rangers e Aberdeen, una volta legittime contendenti per la conquista dei trofei continentali – sono ormai più che comodi ostacoli per le formazioni più titolate d’Europa.

La Scozia detiene inoltre un singolare e poco invidiabile primato: non aver mai superato il girone eliminatorio di una fase finale dei Mondiali, per cui si è qualificata l’ultima volta addirittura nel 1998. Costretti a fare di necessità virtù, i membri del Tartan Army, com’è soprannominata la tifoseria scozzese dal nome del tipico tessuto di lana delle Highlands, si sono abituati a cullare come gloriose tappe della propria insoddisfacente storia calcistica pochi fallimenti nobilmente memorabili, come la celebre vittoria per 3-2 sull’Olanda nella Coppa del mondo del 1978, che non servì a niente ma che è rimasta eternata dal fantastico gol di Archie Gemmill, divenuto persino fonte d’ispirazione per artisti di vario genere. Soprattutto sofferenti per l’ormai conclamato stato di minorità nei confronti dei cugini inglesi, che non battono dal 1999 (anche in quell’occasione, un inutile 1-0 che non permise loro di iscriversi fra le 16 ammesse agli Europei del 2000), non meraviglia che le vittorie contro la nazionale dei Tre Leoni siano oggetto di particolare venerazione e ricordo, come quella del 1967, ottenuta con un perentorio 3-1 sul regale prato di Wembley, al cospetto dei freschi vincitori della Coppa Rimet e in esito alla quale gli scozzesi si auto-proclamarono prontamente neo-campioni del mondo – è appena il caso di notare che, pure nella circostanza, la vittoria non fu abbastanza per proseguire il cammino in quella terza edizione dei Campionati europei.

Inghilterra-Scozia è stato il primo confronto internazionale che la FIFA riconosce come tale nell’ultra-centenaria storia del gioco. Le due rappresentative nazionali si fronteggiarono il 30 novembre 1872, il giorno di Sant’Andrea, il patrono scozzese, e la gara terminò 0-0, di fronte a 4.000 spettatori, che pagarono uno scellino di biglietto d’ingresso. Fino agli anni ‘20 del secolo scorso, gli scots dominarono la rivalità e risale al 31 marzo 1928 l’affermazione entrata nella mitologia del football scozzese. Nell’inevitabile scenario di Wembley, gli inglesi furono ridicolizzati e finirono per soccombere addirittura per 1-5, annichiliti dall’estroso Alex Jackson, eroe del giorno con una tripletta, considerato uno dei più raffinati talenti dell’epoca, rivoluzionario interprete del ruolo di ala, venduto e acquistato per cifre colossali, vincitore di titoli e coppe, carismatico, attraente e clamorosamente popolare fra i supporter di allora.

Jackson nacque alla periferia di Glasgow, nel 1905, in un piccolo villaggio rurale dove il calcio era l’unico passatempo per ragazzi e ragazze. A 18 anni, dopo aver già esordito nel Dumbarton, sbarcò negli Stati Uniti con il fratello Walter per visitarne un altro, di nome John, e finì per siglare un contratto con la squadra di Bethlehem, in Pennsylvania. La velocità e l’abilità nel gioco di gambe ne fecero in breve la stella indiscussa, osannata perfino sulle pagine del New York Times.

In estate, Alex informò il club che sarebbe tornato in Gran Bretagna per visitare la famiglia, ma rassicurò giornali e tifosi che sarebbe rientrato in tempo per l’avvio della nuova stagione. Al contrario, l’Aberdeen gli aveva messo gli occhi addosso e il giovanotto fece appena in tempo a scendere dalla nave che si trovò a firmare un contratto con la nuova squadra, per cui esordì già l’indomani, il 19 agosto 1924. L’anno dopo, conquistò la nazionale e indusse i campioni inglesi dell’Huddersfield Town a svenarsi per assicurarsene i servigi. L’allenatore Herbert Chapman, colui che avrebbe inventato lo stopper e traghettato il calcio nella modernità alla guida dell’Arsenal, viaggiò fino al borgo di Renton per incontrare il padre del giocatore e convincerlo a lasciar andare il figlio in Inghilterra. Quando si sparse la voce che una tale celebrità era nel principale pub del paese, tutti gli uomini vi affluirono e Chapman pagò a tutti un whisky e una pinta di birra: l’accordo fu così suggellato e Jackson cambiò la sua quarta casacca in pochi anni.

Appena ventenne, era celebrato dalla stampa specializzata come un genio del calcio; snello, leggero, aggraziato, con uno spiccato senso della posizione, rapido nel decidere e agire, diversamente dai colleghi di fascia, non disdegnava di accentrare il proprio raggio di azione per portarsi in area e concludere a rete, sorprendendo i difensori con tanto svariare. Con l’Huddersfield, vinse il campionato, ottenne due secondi posti e giocò altrettante volte, perdendola, la finale della prestigiosa Coppa d’Inghilterra.

Con l'Huddersfield, Jackson è il primo in piedi da sinistra

Con l'Huddersfield, Jackson è il primo in piedi da sinistra

Il 31 marzo 1928, fu incluso fra i titolari che la Scozia mise insieme per il tradizionale confronto con l’Inghilterra. Prima del match, la stampa scozzese non era per niente fiduciosa, ritenendo la propria selezione meno attrezzata tecnicamente e troppo gracile fisicamente – proprio Jackson con i suoi 170 cm era il più alto fra i compagni della linea offensiva.

Nonostante le fosche previsioni, l’intera nazione, si può dire, accompagnò i propri beniamini nella trasferta: ben 11 treni speciali partirono da Glasgow alla volta di Londra. La squadra alloggiò al Regent Palace Hotel e si trattenne a chiacchierare con i tifosi fino a tarda sera, prima che il capitano Jimmy McMullan riunisse i giocatori per le ultime raccomandazioni: «La Federazione vuole che discutiamo come giocare, ma tutti sapete cosa si vuole da noi domani. Tutto quello che ho da dirvi è di andare a letto, poggiare la testa sul cuscino e pregare per la pioggia».

Le suppliche furono esaudite e la capitale si svegliò sotto un violento acquazzone: secondo gli scozzesi, il campo pesante avrebbe favorito il loro esile reparto d’attacco, a discapito dei pesanti e semoventi difensori inglesi. Di fronte a 80.000 spettatori, compresi i sovrani dell’Afghanistan, l’avvio sorrise ai padroni di casa, che pochi istanti dopo il calcio d’inizio liberarono la punta Billy Smith di fronte al portiere avversario, che fu salvato dalla traversa. Respinto a metà campo, il pallone filò verso McMullan, che aprì la manovra sulla fascia sinistra, da cui Alan Morton crossò verso il centro, dove proprio Jackson precedette tutti e schiacciò in gol il vantaggio ospite dopo appena tre minuti.

Gli scots presero il comando delle operazioni, svelando l’inadeguatezza del pacchetto arretrato inglese a fronteggiare gli agili e scaltri avanti avversari. Prima del riposo, gli ampi spazi aperti al centro dell’attacco dalle ariose puntate offensive di Morton e Jackson, consentirono ad Alex James di raddoppiare il margine, apprestando le condizioni per i 45 minuti più esaltanti dell’intera vicenda del calcio scozzese. Nella ripresa, una doppietta di Jackson e un’altra marcatura di James dilatarono il vantaggio fino a un incredibile 5-0, prima che in chiusura, Bob Kelly, compagno di club di Jackson, salvasse l’onore per i Bianchi con una punizione dal limite.

Il capitano McMullan festeggiato a fine gara dai tifosi scozzesi

Il capitano McMullan festeggiato a fine gara dai tifosi scozzesi

Era nata la leggenda dei Wembley Wizards, i “maghi di Wembley”, che tuttavia non avrebbero più giocato insieme dopo quella partita. Un’involontaria conseguenza del roboante successo del 1928, che peraltro non permise alla Scozia di andare oltre il terzo posto nel Torneo Interbritannico di quella stagione, fu di alzare irrealisticamente le aspettative dei fan. Il culto dei Wembley Wizards fu irrefrenabile e 45.000 tifosi fecero il viaggio a sud sia nel 1930, quando l’Inghilterra rese il favore con un netto 5-2 e ancora nel 1932 e nel 1934, quando un delusissimo Tartan Army osservò i propri idoli perdere in entrambe le occasioni per 3-0.

Anche la carriera internazionale di Jackson giunse a un improvviso arresto, allorché nel 1930 la Federazione decise che la nazionale sarebbe stata composta di soli giocatori militanti nel campionato domestico. Jackson era intanto approdato al Chelsea, attratto non solo da un sontuoso ingaggio ma dalle possibilità imprenditoriali che Londra poteva offrire: divenne così il proprietario di un pub a Covent Garden, investì il suo denaro nel Queen’s Hotel in Leicester Square ed ebbe una rubrica fissa sui giornali a tiratura nazionale. Benché il Chelsea non fosse asceso ai vertici del campionato, Jackson continuò a brillare e fu ricoperto di privilegi sconosciuti agli altri calciatori. L’idillio si spezzò inaspettatamente quando Jackson fu sospeso per aver ordinato da bere per sé e la squadra nella sua stanza d’albergo, prima di una gara contro il Manchester City. La dirigenza non volle rivelare ulteriori particolari alla stampa, ma la verità era ben altra: come molti altri calciatori, Jackson aveva ricevuto faraoniche offerte dal campionato francese e aveva ricattato il Chelsea, chiedendo un ulteriore aumento quale condizione per restare. Il club rifiutò di cedere e, in tempi in cui il cartellino dei giocatori era esclusivo possesso della società, a Jackson restò ben poco da fare.

Jackson con la maglia del Chelsea

Jackson con la maglia del Chelsea

Accettò di accasarsi all’Ashton National, in un campionato minore in cui non valevano le regole federali. Fu pagato 15 sterline a settimana, il doppio di qualunque altro campione britannico, nella speranza che le spese fossero compensate dall’accresciuto afflusso al botteghino, ma l’impresa non andò a buon fine e la squadra finì in bancarotta.

Nel 1933, Jackson si ritirò, dopo essersi sposato e aver passato la luna di miele in Francia, nella vana speranza che qualche squadra fosse disposta a pagare al Chelsea le 4.000 sterline che il club di Stamford Bridge pretendeva per liberare il suo cartellino.

Durante la seconda Guerra mondiale, Jackson combatté in Africa e fu ferito in Libia. Dopo il conflitto, restò nell’esercito e fu assegnato alla zona del Canale di Suez. Nel novembre 1946, alla guida di un camion, perse il controllo del mezzo e si ribaltò, riportando varie lesioni alla testa; morì prima di arrivare in ospedale.

Il decesso di quello che era stato uno dei più grandi fuoriclasse della sua epoca fu salutato sui giornali da stringati necrologi.

Paolo Bruschi

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