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Julius Erving, che camminava sulle nuvole
Se qualche giovane fan della pallacanestro americana ha visto non troppo tempo fa un anziano signore, con le tempie imbiancate e i lombi appesantiti, caracollare verso il canestro, superare l'anello in elevazione e affondare la palla nella retina, si sarà forse chiesto cosa fosse capace di fare lo stesso ultrasessantenne nel pieno del suo fulgore fisico.
Benché l'innalzamento della speranza di vita abbia ormai aggiunto la quarta alla terza età, non sono molti gli individui prossimi alla pensione capaci di schiacciare. L'unico della categoria è con ogni probabilità Julius Erving, che negli anni '70 del Novecento popolarizzò la schiacchiata e ne fece il simbolo di uno stile di gioco spettacolare e aereo che ancora contraddistingue l'appassionante vicenda della National Basketball Association (NBA).
Quando era ancora alle superiori, Erving andava spesso in giro con un amico che discorreva approfonditamente di qualunque argomento gli venisse sottoposto, cosicché Julius lo soprannominò “Professor” e questi, di ritorno, lo battezzò “Doctor”: proprio con il nomignolo di “Dr. J”, Erving sarebbe divenuto il cestista più fenomenale della sua era, il fuoriclasse in grado di accendere l'entusiasmo delle folle, il campione che indusse la NBA ad acquisire le traballanti franchigie dell'American Basketball Association (ABA) nel 1976.
Uscito dall'università al suo terzo anno, Erving era approdato nella lega concorrente per vestire la casacca dei Virginia Squires e poi dei New York Nets. Nonostante avesse introdotto il tiro da tre punti, adottato il pallone a spicchi bianco-rosso-blu e favorito l'arrivo di giocatori dallo stile vistoso e acrobatico, la ABA faticava ad attrarre tifosi, a riempire i palazzetti e a comparire in televisione. Di conseguenza, nel 1976 era sull'orlo della bancarotta. Ne scaturì la fusione con la NBA e “Dr. J” fu acquistato dai Philadelphia 76ers, pochi mesi dopo aver dato l'ennesima dimostrazione del suo prorompente atletismo, schiacciando la palla dopo un salto spiccato dalla linea del tiro libero, ben undici anni prima che Michael Jordan riproponesse la medesima prodezza come fosse un inedito.
I 76ers divennero affidabili contendenti per il titolo, battagliando con i Celtics di Larry Bird e con i Lakers di Kareem Abdul-Jabbar. Nel 1980, l'atto finale del campionato vide di fronte proprio le squadre della “Città degli angeli” e della “Città dell'amore fraterno”. L'11 maggio, allo Spectrum di Philadelphia, si disputò gara-4: Los Angeles era in vantaggio e i padroni di casa necessitavano di una vittoria per pareggiare la serie. Nel quarto periodo, sotto 84-89, Philly impostò l'ennesimo attacco. Erving ricevette la sfera sulla destra del tabellone, penetrò verso la linea di fondo superando in accelerazione il difensore Mark Landsberger e, trattenendo la palla con il palmo come le enormi mani gli permettevano di fare, si preparò a concludere con un comodo lay-up. Invece, gli si parò davanti Jabbar con le braccia tese e, per evitare il rischio di una probabile stoppata, “Dr. J” cambiò direzione – fluttuando a mezz'aria -, estese il braccio destro oltre il tabellone, aggirò l'avversario e con un sottomano spinse la palla contro il vetro e poi nel canestro.
Il baseline move, come da allora è conosciuta quell'azione andata in scena contro le leggi della gravità, mutò l'inerzia della partita, che Philadelphia finì per aggiudicarsi 105-102. I Lakers vinserò però i due incontri successivi e conquistarono l'anello con il punteggio di 4-2.
Julius Erving si prese la rivincita tre anni dopo. Con il quintetto rafforzato dal mastodontico Moses Malone, i 76ers veleggiarono verso il titolo, spazzando via i rivali della California per quattro partite a zero. Qualche mese prima della finale, nella gara di regular season fra i due team più dominanti della Lega, ancora “Dr. J” aveva posto il primo tassello della rivincita, infiammando i tifosi con il canestro che sarebbe passato alla storia come la schiacciata “culla il bambino”.
Paolo Bruschi

