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L'affronto di Michael Chang al sovrano del tennis, mentre tutto il mondo guardava Pechino
Michael Chang con la Coppa dei Moschettieri
Quando fece il suo ingresso sul Centrale del Roland Garros, il 5 giugno 1989, Michael Chang provocò negli spettatori un'irreprimibile sensazione di déjà-vu. Di fronte alla statuaria figura del monolitico numero 1 del tennis mondiale, il cecoslovacco Ivan Lendl, il sedicenne sino-americano, quindicesima testa di serie dello Slam parigino, ricordava l'omino in camicia bianca e pantaloni scuri, una borsa della spesa nella mano sinistra e una giacca nella mano destra, che poche ore prima, a Pechino, era rimasto in piedi di fronte a una colonna di carri armati, arrestandone la marcia.
La notte precedente, quegli stessi tank avevano invaso piazza Tien An Men e soffocato nel sangue la protesta che studenti, intellettuali e operai inscenavano da alcune settimane contro il governo cinese. Le manifestazioni erano iniziate il 15 aprile precedente, dopo la morte del segretario del Partito comunista cinese (Pcc), il riformatore Hu Yaobang. Per qualche settimana, il governo parve intenzionato a dialogare, poi impose la legge marziale e nella notte fra il 3 e il 4 giugno mandò l'esercito a sparare sui dimostranti. L'isolata contestazione dello sconosciuto oppositore finì nei notiziari e sui giornali di tutto il mondo, ma certificò di fatto la sorda e spietata determinazione liberticida del regime, che proseguì nella repressione nonostante l'emozione suscitata in tutto il pianeta da un uomo inerme di fronte a una fila di minacciosi cingolati.
Con tutto il rispetto dovuto per le migliaia di vittime della carneficina ordinata da Deng Xiao Ping, diverse migliaia di chilometri più a ovest, in un contesto di duro antagonismo fortunatamente incruento, chi osservò Lendl e Chang prepararsi a incrociare le racchette, non poté fare a meno di pensare che il destino dell'adolescente americano fosse segnato come quello dei suoi coetanei che avevano osato contestare la tirannide del Pcc.
Il più forte tennista del pianeta aveva vinto in gennaio gli Australian Open e altri quattro tornei dei sei cui aveva partecipato prima del major francese. Chang era quasi sconosciuto ai più, ma non allo stesso Lendl, che se l'era trovato di fronte un anno prima in un match-esibizione, impartendogli una severa lezione. Accompagnati rispettivamente dalla moglie Samantha e dalla madre Betty, i due erano tornati in albergo sullo stesso taxi e Lendl non aveva mancato di rilevare le profonde lacune nel gioco dell'acerbo rivale. Chang si ripromise di far tesoro di quelle critiche, ma nessuno pensava che sulla terra parigina i miglioramenti raggiunti l'avrebbero messo al riparo da una sonora sconfitta.
Che prese subito a materializzarsi. Con sufficiente agio, il favorito intascò i primi due set per 6-4. Forse rassicurato dal doppio vantaggio, e sottovalutando il già ben sviluppato animus pugnandi del giovane avversario, Lendl cedette però il terzo per 6-3 e addirittura il quarto, che infarcì di ben 19 errori gratuiti che insolitamente imputò alle condizioni del terreno. Più sorprendente della piena riammissione in partita di Chang fu la perdita del proverbiale auto-controllo da parte del cecoslovacco, che sul finire della quarta partita contestò animatamente una decisione del giudice di sedia, costringendolo a infliggergli una penalità che gli costò il game. Quando era ancora una promessa non mantenuta, Lendl aveva più volte mostrato segni di insufficiente tenuta psicologica, tanto che era diventato un perdente seriale nei tornei dello Slam. Ma da che aveva rotto il digiuno, proprio a Parigi nel 1984, era diventato chiaro a tutti che il nuovo dominatore del ranking poggiava la propria supremazia su una compostezza e una solidità nervosa inferiori solo alla ferocia con cui sbriciolava gli edifici mentali degli sfidanti.
Mentre Lendl era in piena lotta contro i suoi demoni, Chang cadde vittima dei crampi e lo scontro si fece epico. Per niente intimorito dalla prestigiosa ribalta e dal furore di "Ivan il Terribile", il giovanotto del New Jersey cominciò a ingurgitare ettolitri di acqua e banane in quantità per reidratare il fisico e fornirgli il necessario apporto di potassio. Ai cambi di campo, evitava financo di sedersi per scongiurare il rischio di non potersi rialzare: camminava avanti e indietro sulla linea del corridoio. A forza di irritanti pallonetti, miracolosi vincenti e rapide sessioni di stretching, si issò sul 2-0 nel set decisivo. Lendl retrocesse al rango di tremebondo esordiente: non si arrischiava ad attaccare quelle palle prive di peso e, se lo faceva, affondava in rete volée più che elementari. Il volto scavato dalla fatica e dalla tensione, i capelli incollati al cranio dall'incessante passaggio dei noti polsini lunghi come l'avambraccio, non lo facevano più assomigliare a un Dracula spaventevole ma a un Buster Keaton spaesato e inadeguato.
Proprio in quel frangente, si sarebbe appreso anni dopo, "Michelino" era sul punto di abbandonare: ormai quasi immobilizzato, fu invece sospinto da un'irresistibile forza benigna. Profondo credente, al punto che in campo si rivolgeva spesso al padreterno quasi appropriandosi di indebiti vantaggi nei confronti di avversari meno pii di lui, si convinse di essere chiamato a continuare. E poi, non era lì solo per se stesso: alla televisione, con la madre e il fratello Carl, aveva visto le scioccanti immagini provenienti da piazza Tien An Men e sentì di avere l'occasione di portare un sorriso sulle facce dei cinesi in un frangente in cui c'era ben poco da sorridere.
Sul 4-3, impossibilitato ad allungarsi per dare un po' di punch a una battuta già miserevole, ricorse allo sberleffo: arrotò un servizio da sotto, che precipitò oltre la rete in modo meno che innocuo, ma l'ormai pavidissimo Lendl non seppe cavarne una risposta definitiva, venendo beffato dal nastro sul passante successivo. Il numero 1 si rivolse addirittura all'arbitro, come a voler denunciare l'irriverente offesa di lesa maestà: era ormai in totale confusione, furibondo con se stesso, con Chang e con il pubblico, che ora sosteneva a gran voce lo sforzo omerico del piccolo sino-americano, che salì 5-3 e costrinse Lendl a servire per salvare l'incontro. In un crescendo di eccitazione, paura, speranza e coraggio, Chang conquistò due match-point e si apprestò a ricevere. Lendl mancò la prima e sulla seconda vide l'impertinente ragazzino avanzare fino alla linea del servizio; di nuovo chiese aiuto all'arbitro, mentre lo stadio esplodeva in risate e urla di fronte all'irriverente atto di intimidazione di Chang. Fu la pietra che abbatté il gigante Golia: Lendl commise doppio fallo, arrendendosi nel modo più ignominioso.
Chang scoppiò a piangere, ma non fu il solo a versare lacrime. L'inespressivo, imperturbabile, tetraedrico campione cecoslovacco uscì a grandi passi dal Centrale con gli occhi lucidi, forse più umiliato che arrabbiato. Pochi giorni dopo, avrebbe scoperto di esser stato sconfitto dal futuro vincitore del torneo, che in finale superò l'apollineo Stefan Edberg, incapace di convertire una sola di ben 9 palle-break nella quarta partita e infine trafitto al quinto. All'età di 16 anni e 110 giorni, l'inatteso teen-ager divenne il più giovane vincitore di Slam della storia del gioco e il primo americano a trionfare nel campionato del mondo sul rosso, da che ci era riuscito Tony Trabert nel 1955.
Ispirati dalle connessioni simboliche fra la rivolta in piazza della Pace Celeste e il successo di Michael Chang, nonché dall'altrettanto inaspettata vittoria nel singolare femminile della spagnola Arantxa Sanchez ai danni dell'imbattibile Steffi Graf, oltre che dall'imminente bicentenario della Presa della Bastiglia, i francesi definirono "rivoluzionaria" quella memorabile edizione del Roland Garros.
Paolo Bruschi



