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Resistenza agli antibiotici, l'Università impara dalle formiche tropicali

Producono un cocktail di antibiotici sempre diversi, in grado di sorprendere gli agenti patogeni e di rallentare la loro capacità di evolversi e di opporre resistenza. Dallo studio di alcuni microrganismi un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Massimiliano Marvasi del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo fiorentino, ha formulato alcune ipotesi per affrontare il tema della resistenza agli antibiotici negli ospedali. L’indagine è stata pubblicata da Trends in Ecology & Evolution rivista del gruppo Cell Press (“Resisting antimicrobial resistance: Lessons from fungus farming ants” DOI: 10.1016/j.tree.2019.08.007).
Il problema della resistenza agli antibiotici, che costituisce una grave minaccia secondo la medicina moderna, in natura è stato affrontato con successo. Da questo presupposto ha preso le mosse la ricerca di Marvasi che si occupa di questo tema in relazione a ciò che avviene nel suolo e nei fiumi.

“Nella nostra indagine abbiamo concentrato l’attenzione sulle formiche tropicali – spiega il ricercatore fiorentino –, questi insetti coltivano funghi e, per proteggere le loro colture, si sono alleati a speciali batteri in grado di eliminare gli agenti patogeni grazie alla produzione di antibiotici. In questo modo, da sessanta milioni di anni, le formiche tropicali si alimentano dei funghi senza difficoltà”. Secondo le indagini dei ricercatori ciò è possibile in quanto i batteri adottati dalle formiche non producono un singolo antibiotico, ma una combinazione.

“In questo mix – rileva il ricercatore - sono presenti molecole che hanno un livello di efficacia differente: alcune sono decisive, altre lo sono meno. Inoltre, durante l’evoluzione, questi batteri modificano la composizione chimica della mistura e finiscono per sorprendere i patogeni, rallentando l’effetto resistenza e l’effetto sorpresa. Tale abilità deriva da una natura plastica e flessibile che consente loro di mutare da un punto di vista genetico e di produrre così sempre nuove varianti”.

I risultati di questo studio hanno portato il team fiorentino a definire nuove ipotesi da approfondire in futuro in modelli matematici, in laboratorio che dovranno essere verificate in ambito clinico. “Da ciò che emerge nella nostra indagine – conclude Marvasi - ulteriori studi su mix di composti potrebbero portare ad interessanti applicazioni. Lo studio di questo sistema e la sua traslazione in contesti clinici potrebbe permetterci di beneficiare dei vantaggi che queste formiche e i suoi alleati hanno avuto negli ultimi sessanta milioni di anni”.

Fonte: Università degli Studi di Firenze

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