Coronavirus, Vannino Chiti: "Epidemia fa luce sull'esigenza di collaborazione tra popoli"
Vannino Chiti
L'emergenza Coronavirus ci ha ricordato di un'umanità intera fragile di fronte alla potenza della natura. Un virus che nel mondo ha già fatto oltre 35mila morti, solo in Italia oltre 10.000, un subdolo nemico che ha letteralmente messo in quarantena le nostre vite. Un nemico comune che non tiene conto di confini, bandiere o di quale Dio si prega. Un nemico comune che apre una riflessione sulla comune condizione umana, sull'importanza della cooperazione tra popoli, che si tratti di cugini scontrosi come gli europei o di popoli culturalmente lontani come l'occidente e l'oriente. In che modo si sta affrontando l'emergenza dal punto di vista sovranazionale? E come è stata gestita l'emergenza in Italia e nella nostra regione? Quali sono infine gli scenari che si aprono dopo questa comune sventura che avrà effetti epocali anche dal punto di vista socio-economico?
Ne abbiamo parlato con Vannino Chiti, già Ministro per le riforme istituzionali e i rapporti con il Parlamento nel Governo Prodi II, dal 2006 al 2008, ma anche presidente della Regione Toscana per due mandati, dal 1992 al 2000; è stato anche vicepresidente del Senato fino al 2013.
Si occupa da tempo di religione, studiando anche il rapporto tra questa e la politica. Nel suo ultimo libro 'Le religioni e le sfide del futuro. Per un’etica condivisa fondata sul dialogo' affronta il tema di "un'etica condivisa" che attraverso il dialogo possa dare risposte comuni a problemi comuni, senza contrapposizioni sul Dio da venerare o la bandiera da portare sulle spalle. Una riflessione che diventa di estrema attualità in un momento in cui l'umanità intera si è armata contro un subdolo nemico comune, eppure resiste qualche egoismo nazionale.
Lei da tempo si occupa di religioni e nel suo ultimo libro parla di "un'etica condivisa fondata sul dialogo". Ci sono Nazioni e ci sono Religioni, ma l'emergenza Covid-19 ci insegna che siamo tutti parte di un'unica umanità?
Questa epidemia dimostra che nel mondo dove viviamo, che è un mondo globale, non ci sono frontiere o dogane. Si chiude quello che si vuole, ma il virus arriva e arriva ovunque allo stesso modo. Questa emergenza nella sua complessità è una sfida di tutti, ma ci sono anche una sfida ecologica, economica, di dignità umana e di sviluppo. Questa epidemia fa luce sull'esigenza di una collaborazione tra popoli. Ci dimostra che siamo una famiglia anche se non ci sentiamo tale: le sfide sono comuni o tutti remiamo dalla stessa parte o tutti andiamo verso la distruzione. Quella di oggi è una sfida imprevista, ma ci sono problemi come quella della dignità della persona, dello sviluppo socio-economico, delle guerre da far terminare. Per affrontare la sfida sanitaria del Covid-19 e tutte le altre sfide bisogna sentirsi come una famiglia, conoscersi e rispettarsi, bisogna soprattutto dialogare insieme. Nessuna contrapposizione tra religioni, tra fedeli e laici, tra nazioni, o tra religione, politica e scienza. La capacità di dialogo è il bene comune.
Questo messaggio è stato compreso dalle autorità religiose e politiche?
A me sembra che le autorità religiose abbiano compreso questo aspetto. Un grande ruolo in ciò lo sta avendo Papa Francesco che già l'anno scorso aveva firmato il Documento sulla Fratellanza Umana con il Grande Imam di Al-Azhar. Nello specifico le autorità religiose stanno facendo passi avanti e hanno compreso la portata globale dell'emergenza sanitaria, ma le autorità politiche no. Basta vedere cosa è accaduto in UK dove il premier Johnson prima aveva annunciato una sua ricetta per contrastare il Covid-19 annunciando che "ci sarebbero stati morti", poi ha messo in piedi le solite misure dell'Italia. Qualcosa di simile è accaduto in USA, mentre stiamo vedendo come ogni paese dell'Europa gestisca la cosa come un fatto personale. Avevo salutato con favore l'allentamento del patto di stabilità e la flessibilità dei bilanci concessa dall'EU, così come gli ormai famosi 'Coronabond', ma poi si è fatto un mezzo passo indietro perché è prevalso qualche egoismo nazionale. Se non saranno decisi i Coronabond non avremo strumenti sufficienti per affrontare l'emergenza.
Sul Coronavirus come si è comportato il Governo italiano secondo lei?
Quando si affrontano situazioni nuove, nella quale gli stessi esperti hanno dato indicazioni diverse, si compiono ovviamente errori, ma complessivamente il governo italiano si è mosso bene. Ha seguito le indicazioni delle autorità sanitarie, dell'ISS e dell'OMS, così come deve fare la politica di fonte ad una emergenza sanitaria, poi via via ha messo a fuoco misure più incisive per contrastare l'evolversi dell'epidemia e le ha messe in pratica. È stata disposta la quarantena che non è una misura taumaturgica, ma in assenza di un vaccino è l'unica cosa possiamo fare. Sono stati stanziati 25 miliardi per porre un argine all'emergenza economica, altri 25 sono attesi per aprile, mentre sabato scorso si è anticipato il fondo ai comuni per dare loro liquidità per affrontare la cosa, oltre a 400 milioni per l'emergenza alimentare che non sono come ha detto qualche politico pochi euro a testa, ma serviranno a dare una mano concreta a quella fascia di popolazione a rischio povertà. La politica in questi casi deve attuare le disposizioni provenienti dal mondo medico e vorrei ricordare in altre situazioni, ad esempio i vaccini, come alcune forze politiche si siano avventurate in battaglie contro il parere degli esperti, come se la politica potesse mediare suggerimenti o competenze medico-sanitarie e scientifiche da sola! Il governo italiano ha seguito indicazioni delle autorità mediche in questo caso, attraverso una gradualità che ritengo necessaria, senza creare allarmismo, ma prestando attenzione ai dati e all'evolversi dell'emergenza.
Al netto delle polemiche che hanno visto al centro il noto virologo Burioni e il presidente Rossi, come si è comportata invece la Toscana?
Io credo onestamente che le polemiche siano state eccessive. Credo che quando ci si misura su una questione serva equilibrio nelle espressioni e riconosco che così non è stato. Ritengo però che la Toscana è stata all'altezza di questa esperienza. La Regione anche nel pieno della polemica ha seguito le indicazioni dell'ISS e anche per loro era un'esperienza nuova. Burioni ha avuto ragione sull'epidemia, ma al di là delle polemiche la Toscana ha saputo rispondere in una situazione che è diventata grave, ma che ha tenuto.
Come ha reagito il sistema sanitario toscano?
Porto un esempio personale: da presidente della Regione negli anni Novanta ricordo c'era un serrato confronto con l'allora presidente della Lombardia Formigoni per due impostazioni diverse della Sanità: qui in Toscana abbiamo costruito un modello in cui il pubblico ha il ruolo unico di programmazione e controllo. Il privato c'è, ma il pubblico decide quale privato accreditare e lo fa programmando settori complementari al pubblico. In Lombardia si è scelto competizione e concorrenza, un'impostazione completamente opposta. Senza alcun controllo, però, è accaduto che in proporzione alla popolazione la Lombardia, che pure ha eccellenza da un punto di vista sanitario, avesse meno posti letti in Terapia Intensiva della Toscana perché ovviamente la TI è un costo, non un guadagno, e il privato non ha interesse a realizzare reparti di terapia intensiva.
Da ex presidente della Regione cosa pensa dell'autonomia differenziata in tema sanitario dopo lo "stress test" del Covid-19? Giusto lasciare alle Regioni ampie competenze?
Non sono contro al fatto che le Regioni abbiano la gestione della Sanità, ma lo Stato deve dare indicazioni forti di quali sono i fondamenti da assicurare a tutti. Lo Stato deve stabilire un'asticella: se pongo l'asticella a due metri e uno se ce la fa, può fare anche due metri e mezzo, ma nessuno può fare 1.95 altrimenti si interviene. Questo è un aspetto che il Governo deve riguardare. Troppi elementi di differenziazione mettono a rischio, come ci sta insegnando anche questa emergenza. In ogni caso un regionalismo vero si fonda sul "principio di supremazia", ossia su temi su cui lo Stato ha l'ultima parola: quando scatta una situazione che riguarda tutti serve Governo e parlamento che devono assumere decisioni. Quello che mi ha addolorato quando ci sono stati momenti difficili in Italia è che il governo desse indicazioni, le regioni indicazioni contrarie. Non funziona così nei paesi federali. Serve il principio di supremazia, un potere certamente controllato dai media e democratico, ma che dia indirizzi univoci e precisi. Dopo l'epidemia su questo argomento bisognerà coinvolgere le istituzioni, ma anche i cittadini, perché sono loro i titolari della democrazia.
Negli ultimi decenni si è avuto un ridimensionamento generalizzato del welfare state che ha interessato anche la Sanità, posto che forse nessun sistema sanitario poteva reggere senza scossoni all'emergenza Covid-19, ritiene che quel modello politico-economico vada ripensato?
Riporto un'altra esperienza personale: nel Governo Prodi di cui io facevo parte avevamo programmato un incremento delle spese in Sanità e avevamo anche riportato il debito pubblico ora al 135% sotto il 100%. Al di là di questo, la domanda tocca il nodo centrale: non si può risparmiare in Sanità. Certo, se ci sono sprechi si interviene, ma la sanità deve avere valenza universale per tutti i cittadini, non può essere legata a quanto pesante è la tua carta di credito. Questa esperienza dovrebbe insegnare alle forze politiche che il welfare è universale ed è fondamentale per il progresso dei popoli: sanità ed istruzione devono essere priorità. Io non so come usciremo da questa crisi, ma bisogna fare uno sforzo per uscirne al meglio possibile e bisogna tornare a dare priorità al bene comune, perché solo con il bene comune possiamo dare risposte adeguate al bene individuale. L'epidemia le rende gravi e più evidenti, ma situazioni di debolezza e ingiustizia c'erano anche prima. Se non si tiene conto della dignità della persona, se si distrugge il pianeta e non ne abbiamo un altro, poi ci troviamo male. Siamo ancora in tempo, speriamo di imparare da questa crisi.
Si può trovare uno spiraglio di luce da questa situazione? È possibile che da questa crisi umanitaria emerge un nuovo modello economico, sociale, politico, ma soprattutto democratico?
Si deve cercare di fare uno sforzo per rilanciare un modello di sviluppo nuovo che sappia assicurare investimenti in settori chiave e aiuti al mondo del lavoro, che sappia sviluppare l'economia coerentemente con l'esigenza dell'ambiente: giustizia sociale ed ecologia sono oggi inseparabili, dignità e luoghi di lavoro sono inseparabili. Nel dopoguerra abbiamo avuto un New Deal che ha permesso a tutti i paesi di avere il loro miracolo economico, ecco mi auguro che dopo questa crisi ci sia un piano Marshall europeo. E sia chiaro è l'Europa il soggetto chiamato a questo compito. Il punto è che anche da un punto di vista democratico stati nazionali da soli sono importanti, ma non riescono ad affrontare queste sfide da soli. Serve una democrazia federale europea, un parlamento europeo come organo di controllo, politici elettivi, ma anche competenze politiche specifiche di uno stato federale, come la politica estera, la sicurezza, la difesa e la macroeconomia, oltre alle questioni Sanitarie come quelle in corso. Serve un Europa per gli europei, un piano europeo che punti su un modello nuovo.
Serve quindi un'Europa politica, ma usando le parole del presidente Conte: l'attuale EU è "all'altezza di questa chiamata della storia"? E fatta l'Europa, non serve anche fare gli europei?
La Bce dopo l'uscita sbagliata della Lagarde si è corretta. Sosterrà con 750 miliardi i titoli di Stato dei paesi, un'azione fondamentale soprattutto per il nostro paese che con il debito che ha sarebbe oggetto di speculazioni internazionali. Ripeto l'alternativa serie è un'Unione Europea Federale che metta da parte gli egoismi degli Stati. Che si chiami Germania, Francia o Spagna, in questo mondo globale di fronte a grandi nazioni come USA, Cina o Russia, l'Europa degli Stati non conterà niente e non potrà affrontare le sfide che ha davanti, compresa quella attuale. O ce la facciamo a far essere l'Ue quella che dovrebbe essere oppure, ci sarà il declino di tutti. Sugli europei io credo che le nuove generazioni stiamo imparando a riconoscersi in questo progetto. C'è un passo avanti.
Qui si registrano oltre 10.000 morti. Come si sente di commentare i dubbi sui numeri diversi tra paesi? Noi contiamo i nostri morti diversamente?
Noi contiamo tutti i morti con Coronavirus, ma non abbiamo il quadro completo dei contagiati. In Francia contano solo i ricoverati o coloro assistiti a casa, in Germania pare che si conti solo chi è morti 'di' Coronavirus. Ciò mi riporta a una considerazione: se l'Europa fosse una democrazia federale situazioni come queste non esisterebbero, perché sarebbe l'EU a gestire il controllo e la comunicazione in modo unitario, come accade nelle federazioni di stati. Nel caso specifico indicare contagiati e comprendere l'andamento dei morti di e con coronavirus sembra un tema secondario, ma non lo è, perché se avessimo un metro unico potremmo comprendere meglio la diffusione, il contagio e le azioni da mettere in campo.
Per concludere: lei è stato sottosegretario con delega all'editoria: come è stata affrontata l'emergenza dai media?
Come è stato difficile per la politica e per il mondo medico, anche i media hanno affrontato una sfida difficile. Io penso solamente che in un paese, in Italia, il fatto che ci siano tv, giornali e radio, che ci siano giornali locali, tv locali e radio locali, è un bene prezioso per la democrazia.
Giovanni Mennillo