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Individuato un farmaco che rallenta la SLA: nello studio preclinico anche l'Università di Pisa

Elisabetta Ferraro, ricercatrice Dipartimento di Biologia Università di Pisa

Identificato un nuovo potenziale approccio terapeutico. Ferraro (UniPi): "Vedere potenzialmente applicabili anni di studio sulla possibile efficacia di questo farmaco, in particolare alla SLA, dà senso al nostro lavoro"

Uno studio italiano ha individuato un nuovo potenziale approccio terapeutico per la Sclerosi laterale amiotrofica (SLA), evidenziando l’efficacia di un farmaco nel rallentare la progressione della neurodegenerazione e nell’aumentare la sopravvivenza dei modelli murini.

Il gruppo di ricerca, coordinato da Alberto Ferri e Cristiana Valle della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e dell’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift), ha dimostrato che i meccanismi molecolari alla base delle disfunzioni metaboliche correlate con la SLA possono essere normalizzati da un farmaco, la Trimetazidina, suggerendo che questo approccio possa contribuire a rallentare il decorso della malattia. Il farmaco, già in uso per altre patologie, è stato sperimentato su un modello murino di SLA dove ha agito ripristinando il corretto bilancio energetico cellulare e ostacolando lo sviluppo di processi infiammatori e neurodegenerativi, sia nel midollo spinale che nel nervo periferico. Questa azione neuroprotettiva si è manifestata rallentando la degenerazione dei motoneuroni e della giunzione neuromuscolare e incrementando la forza muscolare.

Questo importante risultato è frutto di uno studio preclinico finanziato da Fondazione AriSLA che ha coinvolto diversi centri nazionali e internazionali, tra cui l’Università di Pisa con il lavoro di Elisabetta Ferraro, ricercatrice del Dipartimento di Biologia. L’incontro tra le competenze della dott.ssa Ferraro, che studiava da anni il potenziale ruolo protettivo della Trimetazidina sul muscolo scheletrico, e di quelle di Alberto Ferri e di Cristiana Valle, che si occupano della patologia SLA, ha dato origine a questo studio che è stato pubblicato sulla rivista scientifica British Journal of Pharmacology.

“Il nostro laboratorio si occupa da anni della comprensione dei meccanismi molecolari che sono alla base delle disfunzioni metaboliche precoci nella SLA”, spiega Alberto Ferri, ricercatore del Cnr-Ift e responsabile del Laboratorio di neurochimica della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma dove si è svolto lo studio. “L’obiettivo che ci siamo posti è identificare nuovi potenziali approcci terapeutici promuovendo sia lo sviluppo di nuovi farmaci che l’utilizzo di farmaci già approvati, come la Trimetazidina, oggetto di questo studio. L’utilizzo di questo farmaco, che agisce come modulatore metabolico e già utilizzato nella terapia delle disfunzioni coronariche, ha permesso di normalizzare la spesa energetica in un modello preclinico, migliorando le performance motorie e prolungando in modo significativo la sopravvivenza degli animali. Siamo soddisfatti di questi risultati, che hanno contribuito a disegnare uno studio clinico pilota condotto dal gruppo di ricerca australiano dell’Università di Queensland, con cui abbiamo collaborato, per verificare innanzitutto la sicurezza di questo farmaco in pazienti fragili come quelli affetti da SLA”.

Il gruppo di Elisabetta Ferraro si è occupato di analizzare alcuni aspetti del metabolismo e dell’atrofia muscolare nonché gli aspetti molecolari relativi alla giunzione neuromuscolare nei modelli in studio in seguito alla somministrazione di Trimetazidina. “Vedere potenzialmente applicabili anni di studio sulla possibile efficacia di questo farmaco anti-anginoso anche alle patologie muscolari e, in particolare alla SLA, dà senso al nostro lavoro, alla nostra perseveranza e a tutti le difficoltà incontrate. La nostra profonda speranza e ciò che guida le nostre azioni è che lo stesso effetto benefico osservato in preclinica si esplichi anche sui pazienti”, ha commentato la ricercatrice.

“Siamo molto felici di aver sostenuto questo studio preclinico”, commenta il presidente di Fondazione AriSLA, Mario Melazzini, “che ha prodotto risultati così importanti su aspetti rilevanti nell’identificare sul modello animale potenziali bersagli terapeutici e consentire l’avvio di uno studio clinico nello stesso ambito di ricerca. Siamo consapevoli dell’urgente bisogno di terapia per le persone che combattono contro la malattia, ma è necessario rispettare i tempi della ricerca, affinché si valuti la sicurezza e l’efficacia di ogni nuovo approccio terapeutico. Il nostro impegno come Fondazione è di continuare ad investire nell’eccellenza della ricerca con l’obiettivo di poter ottenere ulteriori risultati utili alla sconfitta della malattia”.

La SLA è una malattia neurodegenerativa grave dell’età adulta, progressivamente invalidante, dovuta alla compromissione dei motoneuroni (le cellule responsabili della contrazione dei muscoli volontari) spinali, bulbari e corticali, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Una parte rilevante dei pazienti affetti da SLA mostra un dispendio energetico aumentato, ovvero una condizione in cui viene utilizzata più energia di quella necessaria. Questa alterazione, detta ipermetabolismo, insieme ad una diminuzione dell’indice di massa corporea è in genere correlata con una prognosi peggiore della malattia.

Fonte: Università di Pisa - Ufficio stampa

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