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Toscana e Campania insieme contro mafie e camorra: rilancio dei beni confiscati

De Luca e Giani

Il patto passa dalle tenute di Suvignano a Monteroni d’Arbia, nel senese

Toscana e Campania firmano un’intesa, di quattro anni, per la promozione della cultura della legalità e per la restituzione alla collettività dei beni confiscati alla criminalità organizzata. In particolare l’obiettivo è migliorare la gestione dei beni, a vantaggio dello sviluppo dei territori e con finalità pure inclusive e di integrazione sociale. Un’alleanza che porterà sinergie ma anche, probabilmente, nuove e maggiori risorse: a vantaggio di un sano sviluppo economico, della ricerca zootecnica e agricola e chiaramente anche dell’eduzione alla legalità.

Il patto non arriva per caso e passa dalle tenute di Suvignano nel senese e “La Balzana” in provincia di Caserta. Due modelli virtuosi e unici ognuno a loro modo di gestione pubblica di beni strappati a mafie e camorra, diventati simboli del riscatto dello Stato, tra i più grandi ed estesi beni sequestrati in Italia. Ma il fil rouge è anche un’intensa e radicata attività di educazione alla legalità che le due Regioni da tempo portano avanti: in un ambiente sicuramente difficile e complicato, ad alta densità criminale, nel caso della provincia di Caserta, in una regione come la Toscana dove le mafie non mirano tanto al controllo del territorio ma risciacquano comunque lì il loro denaro sporco, dedite a malaffare e riciclaggio.

Parlare delle mafie ad alta voce
Lo sapeva già bene il giudice Caponnetto, che già molti anni fa affermava che la Toscana non è sicuramente terra di mafia ma la mafia anche in Toscana esiste. E sapeva anche che senza la formazione e l’impegno dei giovani il Paese non può avere un futuro degno. Il suo era un invito alla mobilitazione: “uomini e donne di buona volontà fatevi avanti” diceva, che poi non è molto distante dalle parole di don Milani, il prete di Barbiana, che decenni prima chiosava su che senso avesse l’aver le mani pulite, se poi uno le tiene in tasca.

Quelle mani la Toscana, che pensava di essere immune a certa criminalità organizzata ma si è scoperta fragile, ha deciso di non tenerle in tasca. Da venti anni sostiene le attività e campi lavoro dei giovani sui terreni strappati alle mafie: in Sicilia e Calabria all’inizio, dal 2019 anche a Suvignano, quando la tenuta è stata affidata alla gestione della Regione. Ha creato nel 1994 una casa della memoria, archivio aperto a studiosi, studenti e cittadini, sulle stragi e i misteri in Italia. Lo ha fatto per non dimenticare e per promuovere una più forte e salda coscienza civica e democratica: è lo stesso spirito con cui vengono sostenuto attività nelle scuole.

Ha pungolato il Governo e si è data da fare per cercare di sveltire la messa a disposizione, come beni comuni, di quanto confiscato alla criminalità. Ha aiutato i Comuni che erano nelle condizioni di gestire beni confiscati. C’è l’impegno a monitorare e studiare mafia, illegalità e corruzione, con un rapporto annuale affidato dal 2017 alla Scuola Normale di Pisa, utile a orientare l’operato delle istituzioni e a far alzare qualche antenna e campanello di allarme in più. Da lì ci è accorti di come le mafie si fossero infiltrati in spazi lasciati incustoditi: a Suvignano e in tanti altri angoli di territorio baciati dalla bellezza, a Livorno da dove passa la droga diretta in gran parte d’Europa, infiltrata nell’economia. Magari nascosta dietro facce pulite ed abiti firmati, non armata di lupara bensì di professionisti, ma ugualmente pericolosa. E ha deciso, sempre la Regione, di parlarle ad alta voce: perché è nel silenzio che criminalità organizzata trovano terreno fertile.

Insieme per lo sviluppo, contro mafia e camorra
Così, negli ultimi mesi, Regione Toscana e Regione Campania hanno avviato un confronto, cercando di valorizzare le possibili sinergie, su scala non solo regionale: per dare un segno, anche, di come la cultura della legalità e il suo perseguimento possa passare da fatti concreti, come la rinascita di beni sottratti alle mafie.

Nel protocollo firmato il 21 maggio dalla due istituzioni, direttamente dai presidenti Giani e De Luca, si parla di scambio di dati, informazioni e buone pratiche sperimentate, di azioni future per migliorare la gestione dei beni, di sperimentazioni e innovazioni produttive e ambientali, di tutela dei diritti e lavoro per persone a rischio di esclusione, di opportunità di impiego per i giovani e di diffusione della cultura della legalità nei territori e tra gli operatori economici. Una risposta insomma a bisogni sociali da un lato e promozione, in Italia ma anche in Europa, di modelli organizzativi e gestionali innovativi dall’altra. Una sfida non da poco.

Nell’intesa, più tecnica, sottoscritta nella stessa data da Ente Terre di Toscana e Agrorinasce, ovvero le due società pubbliche che gestiscono le tenute di Suvignano e Balzana, la collaborazione si declina nell’elaborazione di studi e ricerche a quattro mani sullo sviluppo agroalimentare e l’economia circolare, sulla realizzazione di uno o più progetti sui beni confiscati da valorizzare all’interno di una più ampia strategia italiana attraverso le politiche di coesione e l’utilizzo anche di fondi nazionali, regionali ed europei. Ente Terre e Agrorinasce – l’azienda toscana strumento operativo diretto della Regione, quella campana società consortile della Regione e di cinque Comuni del Casertano, forte di un protocollo di legalità stipulato con la prefettura di Caserta per il controllo antimafia di tutti gli affidamenti - collaboreranno anche su progetti di animazione e di ricerca a benificio dei territori e di formazione professionale rivolta a chi gestisce imprese agricole e zootecniche. Condividono anche lo stesso sogno: Suvignano ambisce a diventare centro di riferimento per i prodotti agroalimentari in Toscana, alla Balzana si vuole realizzare il Parco agroalimentare dei prodotti tipici della Campania.

Suvignano e la Balzana, storie di due confische e rinascite

Il sentiero è ben tracciato e scorre in un arcobaleno di colori. Un sentiero, come la strada della legalità di Suvignano, la tenuta nel senese strappata alla mafia e gestita dalla Regione Toscana dal 2019, che avanza tra zolle arse dal sole e campi ben coltivati e tenuti in ordine e che Toscana e Campania hanno deciso di percorrere insieme.

Quel sentiero, fisico, inaugurato nel 2020 e che racconta l’impegno di tanti, è la metafora perfetta di un sostegno ad una nuova cultura della legalità che affonda le sue radici parecchi anni addietro. E’ la metafora di una formazione attenta, rivolta alle generazioni più giovani, e di un rinnovato civismo. E in questo impegno un valore importantissimo hanno pure i beni confiscati alla criminalità organizzata e tornati di uso collettivo, come la tenuta per l’appunto, dove l’economia (e la promozione delle attività economiche dell’azienda e di un intero territorio) si somma alla socialità.

La rinascita di Suvignano
La tenuta di Suvignano sulle colline del senese, a cavallo tra Monteroni d’Arbia e Murlo, è un po' il simbolo dei beni confiscati alle mafie e alla criminalità organizzata, che anche in Toscana sciacqua i propri denari e fa affari. E' il bene più importante requisito nella regione e tra i più grandi in Italia: il più esteso del Nord Italia.

Era il 2007 quando, con la condanna passata in giudicato, la confisca della tenuta divenne definitiva. Si è temuto ad un certo momento, anni fa, che la proprietà fosse messa all'asta, con il rischio che potesse tornare alla mafia attraverso prestanomi. Poi, annunciata l’anno prima, è arrivata nel 2019 l'assegnazione alla Regione, che la gestisce attraverso Ente Terre, società 0che già si occupa di altre proprietà demaniali o in gestione, fa sperimentazioni in campo agricolo e forestale e valorizza le risorse genetiche autoctone, bestiame compreso. Si tratta di un progetto unico nel panorama nazionale, che coinvolge anche i comuni su cui la proprietà si distende.

La scommessa è far diventare l'azienda, con la sua vocazione alla agro-diversità, un volano per l'economia locale. A due passi scorre la via Francigena, calpestata durante l’anno da tanti turisti e viaggiatori. Suvignano fa anche agriturismo e uno dei progetti riguarda il potenziamento del settore, con la realizzazione di una nuova foresteria che consentirà quasi di raddoppiare i posti letto, portandoli a quasi ottanta. I lavori dovrebbero essere realizzati e conclusi entro l'estate 2023.  Ma chiaramente la tenuta è anche un simbolo della lotta alle mafie.

La tenuta - 713 ettari di terreno al momento della confisca (685 nel comune di Monteroni e 18 in quello di Murlo), poi diventatati 638 a seguito della vendita di alcuni poderi da parte della stessa agenzia nazionale che gestisce i beni sequestrati dallo Stato per saldare debiti dell'azienda – conta  ventiquattro edifici tra immobili, magazzini ed annessi vari: tra questi due ville ad uso agrituristico, una terza – la villa padronale dei primi dell’Ottocento – al momento inagibile e una chiesetta sconsacrata e di recente restaurata. Tutt’attorno un percorso che ne racconta la storia, con una decina di pannelli in italiano e inglese, elementi tattili in braille per i non vedenti e qrcode che ti fanno rimbalzare sul web per approfondire la storia della tenuta ma anche l’impegno civico e delle istituzioni contro la criminalità organizzata, oltre all’agricoltura sostenibile che nella tenuta si pratica.

Suvignano era il buco nero che non ti saresti aspettato nella felice Toscana, il volto di una mafia che non è più quella confinata solo in Sicilia ma quella che fa affari nel mondo e che nella campagna senese aveva investito parte dei suoi guadagni illeciti. L’hanno fatto anche ‘ndrangheta ed altre associazioni criminali, acquistando alberghi ed appartamenti, negozi, a volte anche semplici edicole di giornali, bar oppure aziende più strutturate. Centinaia sono infatti i beni confiscati in tutta la Toscana.

Da buco nero inatteso nel cuore prezioso della Toscana è diventato un vero e proprio simbolo di riscatto dello Stato nella lotta alle mafie. Tra la pace delle colline e delle crete senesi, nelle giornate terse lo sguardo buca l’orizzonte fino all’Appennino; tutt’attorno si stendono campi di grano ed erba per il foraggio, qualche olivo, un centinaio di ettari di bosco. Brucano, libere, oltre mille pecore sarde, con il loro allegro scampanellare, ci sono maiali di cinta senese allevati allo stato brado e, portati a suo tempo dalla Sicilia, alcuni cavalli ‘sanfratello' e ciuchi di Ragusa, i più amati dai bambini che visitano la fattoria scolastica.

La storia giudiziaria della tenuta inizia con il giudice Giovanni Falcone. Fu lui, il magistrato ucciso dalla mafia nel 1992, che nove anni prima, nel 1983, sequestrò l'azienda una prima volta all'imprenditore palermitano Vincenzo Piazza, sospettato di aver rapporti con Cosa Nostra. Il costruttore siciliano successivamente ne rientrò in possesso. Tra il 1994 e il 1996 arrivò quindi il secondo sequestro, con la confisca anche di un patrimonio di ben duemila miliardi di vecchie lire affidato alla gestione di un amministratore giudiziario. Poi, nel 2007 appunto, la condanna e la confisca definitiva.

La Balzana nel Casertano
Più che una tenuta, la Balzana è un borgo agricolo con tanto di abitazioni dove un tempo abitavano i dipendenti: cinque vani ed un bagno a famiglia, con spazio per orto e pollaio, un forno ed un porcile. Quando negli anni Sessanta del Novecento l’azienda ha toccato l’apice della sua attività vi sorgeva all’interno una chiesa e perfino una scuola elementare e un circolo ricreativo. Un bel luogo. Vi lavoravano fissi in ottanta ed ottocento stagionali: più di duemila i capi di bestiame allevati, trentuno terreni agricoli e 202 ettari complessivi su cui sorgono ancora venti coloniche ed altri quattordici edifici rurali, tra stalle e capannoni.

Ma La Balzana, come ricorda un magistrato, è stato anche il luogo dove, per molti anni, si sono programmati (ed anche realizzati) crimini efferati.  Nella sola provincia di Caserta, ricorda il prefetto Castaldo, sono oltre 2700 i beni confiscati e settecento le aziende poste sotto sequestro.

La storia dell’azienda inizia negli anni Trenta del Novecento. Acquisita dalla Cirio, dopo gli anni Sessanta fu acquistata dalla Sme, l’azienda a partecipazione statale del gruppo Iri. Con la privatizzazione avviata negli anni Ottanta, La Balzana passa di mano più volte, fino ad essere acquisita dalla Ipam dei fratelli Passarelli, prestanomi dei camorristi Schiavone, e proprio a loro – ai capi del clan di Casal del Principe, ovvero a Francesco Schiavone detto Sandokan, a Fransceso Bidognelli più noto come “Ciccioli e Mezzanotte” e agli eredi di Dante Passarelli - è stata confiscata. Nel 2017 il bene è stato destinato al Comune di Santa Maria La Fossa, che ad aprile 2019 l’ha dato in concessione ad Agrorinasce, la società consortile, nata con l’obiettivo di rafforzare la legalità, costiuita nel 1998 da quattro comuni del Casertano (oggi cinque) e a cui nel 2020 ha aderito pure la Regione Campania.

Anche La Balzana, come Suvignano, è uno dei beni confiscati alle mafie più grandi d’Italia. In particolare Agrorinasce ha realizzato il primo progetto pilota a livello europeo di rafforzamento della legalità in un’area d alta densità criminale, finanziato con 3 milioni di euro del programma operativo nazionale sulla sicurezza 1994-1999, seguito dal 2006 al 2020 da altri dieci progetti, sulla legalità o il recupero di beni confiscati, per un impegno poco inferiore ai 18 milioni. A questi si aggiungono 15 milioni di euro destinati più recentemente per realizzare proprio alla Balzana il parco agroalimentare dei prodotti tipici della Regione Campania, finanziato dal Ministero per il Sud.

Giani: “L’accordo con la Campania diventi un modello”

L’accordo tra Toscana e Campania può diventare un modello per tante regioni. Ne sono convinti, e lo sottolineano più volte, tanto il presidente della Toscana Eugenio Giani quanto il presidente della Campania Vincenzo De Luca, che a Firenze hanno sottoscritto un’intesa per la promozione della cultura della legalità e la restituzione alle comunità locali dei beni confiscati alla criminalità organizzata, con l’obiettivo di farne luoghi vivi e, come nel caso delle due tenute di Suvignano e La Balzana, volano per le economie dei territori e centri magari di sperimentazione e innovazione.

“Dobbiamo dare l'esempio – sottolinea Giani -, far sì che agricoltura e agriturismo riescano ad esprimersi col senso dell'utilità sociale in questi luoghi, che devono essere presidi attivi contro le mafie ma anche messi a reddito. Se tra Regioni ci aiutiamo, ci diamo consigli, si può creare un valore aggiunto". "L'aiutarsi reciprocamente è anche un segnale forte di uno Stato autorevole" aggiunge.

La firma del doppio accordo arriva a due giorni dall’anniversario della strage di Capaci in cui morì il giudice Falcone, seguita a breve distanza dall’uccisione, sempre nel 1992, del collega Borsellino. Sono già passati trent’anni da allora: quaranta, ricordati poche settimane fa, dall’attentato a Pio La Torre. E la prossima settimana, a Firenze, si ricorderà anche l’attentato ai Georgofili, che si consumò nel 1993.

“Viviamo una mafia meno violenta, ma non vuol dire che sia meno pericolosa – ricorda Giani - Quella criminalità organizzata fatta di colletti bianchi affonda i suoi tentacoli anche in Toscana e contrastarla deve essere una priorità”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente della Campania, Vincenzo de Luca. “Abbiamo – dice - un debito morale nie confronti di chi come Falcone, Borsellino, LIvatino e tanti altri giudici e uomini dello Stato si sono opposti a mafia, camorra ed ‘ndrangheta: combattenti per la legalità, martiri di una nuova Italia. Non ci può essere modernità se non ci liberiamo dalla metastasi della criminalità organizzata. E sul tema dei beni confiscati e il loro riuso non possiamo rischiare fallimenti. C’è biosgno di governarlo in maniera intelligente e dell’aiuto forte anche dello Stato”. Magari, annota De Luca, “prosciugando la palude della burocrazia” che a volte rallenta o rende complicato l’affidamento dei beni confiscati. “Lo Stato nazionale deve cogliere questa sollecitazione che viene da Toscana e Campania per prendere in mano il tema delle aree agricole sequestrate – conclude – e farne luoghi di ricerca scientifica e tecnologica”.

Intanto l’esperimento toscano e campano parte, con la messa in comune delle esperienze che finora hanno accompagnato la gestioen dei beni confiscati e restituiti ai territori.

Che la promozione della cultura della legalità passi anche dalla valorizzazione dei beni confiscati alla mafia ne è convintissimo anche l’assessore della Toscana Stefano Ciuoffo: “una responsabilità nei confronti anche di chi ha messo a rischio la propria vita per combattere le mafie, un passaggio fondamentale parte di quel lavoro più vasto in cui, qui in Toscana, ci accompagna anche il mondo del volontariato”.

“Inauguriamo oggi una collaborazione che non c’era – commenta l’assessore alla legalità della Campania, Mario Morcone – C’era esigenza di fare rete e vedere oggi i giovani lavorare su quelle terre che erano state rubate dalla criminlità, fare innovazione e cooperazione sociale, è l’immagine più bella”.

“Far funzionare al meglio la tenuta di Suvignano è l’impegno che abbiamo assunto come Regione, per dimostrare come un bene confiscato e gestito da un ente pubblico possa creare redditività economica, nell’ambito della legalità e della sostenibilità”. Un sogno? “Commercializzare magari tutta una serie di prodotti - spiega Saccardi - con un marchio che diventi anche veicolo di un messaggio sociale forte”. Un patto della cinta senese e della bufala campana.

Fonte: Regione Toscana - Ufficio Stampa

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