Igor Protti: "A Livorno mi chiamavano 'Il Bimbo', mi innamorai e promisi di tornare" (1 di 3)
Igor Protti oggi e nel 1985
“Mi vedevano come un ultras in campo”. Igor Protti è il giocatore più amato dai tifosi del Livorno, ma anche uno dei più amati a Bari e Messina, altre città che l’hanno visto come grandissimo protagonista.
Sembra ieri, ma sono 20 anni dall’addio al calcio di Igor Protti. Un addio celebrato con un gol in Livorno-Juventus 2-2 del 22 maggio 2005.
Per celebrare questo campione e quest’uomo ecco un’intervista che ne ripercorre la vita, spesso passata in squadre di città di mare.
Ecco la prima parte dell’intervista, divisa appunto in tre parti. In questo primo articolo/video ripercorriamo gli inizi di Protti.
Cito una frase da un articolo dell'Ultimo Uomo di una persona importante che ha che ha detto se gira Protti gira tutta la squadra. Ti ricordi chi lo disse?
“Oh no, anzi e non so neanche se l'avevo mai sentito dire, quindi per me è una novità”
Lo disse Carlo Azeglio Ciampi, che era tuo tifoso, e lo disse quando parlava del Livorno a inizio anni 2000: "Se gira Protti, gira tutta la squadra"...
“Il grande presidente... io del presidente ho un altro ricordo e un'altra frase che mi disse l'anno successivo al mio ritiro, quindi nel 2006, quando il Livorno venne accolto dal presidente a Roma e il presidente Spinelli mi chiamò e chiese anche a me di essere di essere presente pur non facendo più parte della della squadra e della società. Quando avvicinai il presidente Ciampi per salutarlo nell'orecchio mi disse “Protti è il grande protagonista del ritorno del Livorno in Serie A”, questo ovviamente per me è stato un momento straordinariamente bello, detto da un uomo da un uomo come lui e poi spesso e volentieri so che diceva che ero il suo il suo calciatore preferito”
Clicca qui sotto per guardare la prima parte dell'intervista video
Veniamo alle tue caratteristiche. Sempre da quell'articolo, Walter Mazzarri descrivendoti disse: "Ha un'esplosività particolare sulle gambe che lo fa essere anche bravissimo di testa e poi ha i tempi di gioco, però probabilmente è il suo carattere che gli dà qualcosa in più rispetto agli altri. E tu, in qualche altra intervista, quando ti chiedevano ‘perché hai segnato in tutte le categorie?’ rispondevi: "Dipende molto anche dalle qualità morali". Cioè che significa?
“Intanto parto da Walter Mazzarri che è stato uno dei miei tantissimi allenatori. Ho avuto la fortuna di essere allenato, a mio parere, dai migliori allenatori a livello nazionale di quel tempo. Walter Mazzarri lo considero in assoluto tra i tra i migliori, se non il migliore per me in quel periodo storico particolare. Quello che lui dice credo che sia assolutamente vero, soprattutto anche per quanto riguarda l'esplosività. Sui 5 metri, 10 metri, 15 metri, quando facevamo gli allenamenti durante la settimana e gli scatti, soprattutto quelli partendo da terra, da seduti, dalle varie posizioni... in tutti gli anni in cui ho giocato non ricordo un mio compagno di squadra che mi sia arrivato avanti. Ricordo uno che con cui ce la giocavamo ed era più o meno come me, era Beppe Signori della Lazio. Per quanto riguarda il discorso dei gol e della moralità lo trasporrei nella mia carriera, più che i gol, io credo che il calcio sia uno sport che bisogna fare con grande serietà, grande senso di responsabilità, senso di appartenenza, perché indossare una maglia da una squadra di calcio significa rappresentare una città, rappresentare una storia, rappresentare una tifoseria, rappresentare delle persone che per seguirti fanno sacrifici, rappresentare persone che se vinci la sera tornano a casa felici e se perdi la sera magari sono sono incavolate, anche dopo una settimana di lavoro. Per me è sempre stato questo e quindi quella è la moralità alla quale mi riferisco, quella a cui dovrebbe pensare sempre un calciatore quando scende in campo”
Tu hai fatto 140 gol nel Livorno, 123 in in campionato…
“Poi ci sono quelli in Coppa Italia, quindi credo di arrivare anche a 150 circa, però vabbè, ok. Ho fatto 150 volte felici i livornesi. Questo era lo spirito, il fare gol era una cosa che condividevo con tutti con tutti i tifosi, con i miei compagni di squadra ed erano momenti di gioia, di felicità e quella gioia, quella felicità mi riempiva ed è uno dei motivi, anzi il motivo principale, per cui quando ho giocato contro le mie ex squadre e ho fatto gol, e mi è capitato praticamente contro tutte, non ho mai esultato. Perché in quel momento sapevo che per me e per i miei tifosi era una gioia, ma sapevo anche che per i miei vecchi tifosi che mi avevano sostenuto, mi avevano applaudito, mi avevano fatto i cori, quello era un momento di grande tristezza e di dolore e quindi non riuscivo a a fare diversamente. Spesso e volentieri c’è il dibattito, è giusto esultare, è giusto non esultare? È giusto fare quello che uno si sente purché nel rispetto degli altri. Se uno si sente di esultare in maniera rispettosa, fa bene a farlo. Io non mi sono mai sentito per questo motivo”
Riguardo a quell'esplosività che si diceva prima, sempre in quell'articolo dell'Ultimo Uomo viene descritto un gol in cui si dice che sei stato l'unico a farsi un assist e poi andarlo a riprendere. Hai presente qual è il gol?
“Assolutamente sì. è il mio primo gol in Serie A, è un Bari-Genoa. Era la mia prima stagione in Serie A, era il 94-95 e in porta nel Genoa c'era Stefano Tacconi. Io avevo questa caratteristica, questa abitudine di defilarmi un po' sul centrosinistra, cercare di ricevere palla in quella zona per poi convergere verso il centro per andare poi a calciare di destro. E nel momento in cui sono andato verso il centro, ho visto Sandro Tovalieri, il mio compagno di squadra che tagliava e gli ho passato la palla. Né Sandro né il difensore è riuscito a prenderla, io ho continuato a correre, ero 3-4 metri dietro, ma ero talmente determinato, avevo talmente tanta voglia di fare quel quel gol, quel primo gol in Serie A che poi sono arrivata in scivolata, anticipando tutti e in diagonale la palla è entrata. E fare un gol a un grande portiere, il mio primo gol in Serie A, a un grande portiere come Stefano Tacconi non è stato da poco”
Faccio un salto alle origini, quindi al al 1967 e ti dico il nome Igor da dove arriva e in che famiglia sei cresciuto?
“Allora, da quello che so, il nome Igor viene dal fatto che Rimini già al tempo era una città aperta al turismo, turismo che veniva da varie parti d'Europa, e mia mamma quando era incinta ha sentito una signora chiamare il suo bambino Igor e gli è piaciuto. Mio babbo ha condiviso e quindi questo è l'origine del mio del mio nome. Vengo da una famiglia dove mio padre era un un muratore, mia mamma casalinga, famiglie tipiche di quegli anni, dove l'uomo lavorava, la donna stava in casa con con i figli e questa è stata la mia, crescere in una famiglia che mi ha dato un un'educazione. Credo che questo mio senso di responsabilità arrivi molto da da loro, in particolar modo dal mio babbo, che mi fece anche capire, quando avevo 11 anni, cosa significa sudarsi qualcosa e cosa significa arrivare a conquistarsi qualcosa con la fatica e con il sacrificio”
Tu hai esordito nel Rimini, la tua carriera giovanile è stata tutta nel Rimini?
“Allora, io parto con la mia prima squadra a 8 anni, tra l'altro in un modo un po' così perché, al tempo fino a 10 anni non si poteva giocare, non si poteva essere tesserati e in maniera molto casuale nel campo vicino a casa mia, che io raggiungevo in bicicletta, si allenava una squadra che si chiamava Gladiatori. Io al tempo non lo sapevo, ovviamente ero piccolo, avevo 8 anni. E mentre si allenavano, uno dei bambini che giocava in questa squadra, che erano più grandi di me, avevano 3-4 anni più di me, doveva andare a casa a fare i compiti. In maniera molto semplice l'allenatore mi ha visto seduto che guardavo e mi ha detto: "Ma vuoi venire a giocare al posto suo, tanto mancano 10 minuti?" E ho detto "Va bene". E alla fine di questi 10 minuti mi si è avvicinato e mi ha detto: "Vuoi venire a giocare con noi?" E io ho detto: "Non lo so, bisogna che parli con mio babbo, mia mamma". Lui venne a casa e così cominciai, mi misero con chi aveva un paio d'anni in più e ho iniziato lì, poi dopo sono arrivato a Rimini, che mi acquistò dai Gladiatori. Per me l'arrivo nei giovani del Rimini è stato il primo punto di di arrivo, o punto di partenza, sono entrambe le cose, però per me è stato il primo obiettivo raggiunto, perché io ero tifosissimo del Rimini, andavo a vedere le partite del Rimini tutte le domeniche insieme a mio babbo. Ho visto la prima partita del Rimini che ero piccolissimo sulle spalle di di mio babbo, che quando il Rimini fece gol mi tirò per aria, mi spaventai anche. Quindi ho cominciato facendo tutte le giovanili, per poi arrivare a 16 anni e mezzo a fare l'esordio in prima squadra che è stato veramente un una gioia incredibile, entrare dentro lo stadio della mia città”
Però a Rimini hai fatto solo sette partite e zero gol…
“Esatto, ho fatto due partite quell'anno, che avevo 16 anni e mezzo, poi l'anno successivo arrivò a Arrigo Sacchi. Feci cinque partite e tra l'altro una stagione molto sfortunata per me, una bellissima stagione per la squadra. La prima giornata di campionato dovevamo giocare contro la Jesina e il sabato mattina il mister, mettendo la squadra che pensava di far giocare il giorno dopo, mi mise fra i titolari. Per me una sorpresa, onestamente. Nell'ultima partitella di quella mattina del sabato in un colpo mi ruppi la costola e quindi persi i primi mesi, poi quando rientrai la squadra stava facendo molto bene, aveva trovato la sua quadratura e quindi feci fatica a trovare molto spazio, feci solo cinque altre presenze e nessuna da titolare. Quindi ecco, un gol con la maglia del Rimini mi manca, ma è andata così”
C'è una cosa bellissima nella tua carriera, che è una delle più romantiche carriere della storia dei calciatori di Serie A, una cosa che mi piace tantissimo. Su una decina di squadre in cui hai giocato, quasi tutte sono città di mare, cioè le sceglievi o capitavano e sono sono state anche casuali?
“Devo dire che quando mi si presentava l'occasione di giocare una città di mare lo facevo con più entusiasmo perché io sono nato sul mare, so cosa significa per una persona nata sul mare, il mare in particolar modo d'inverno, perché quello d'estate lo conosciamo tutti, da turisti o da cittadini. D'inverno, secondo me, solo chi è nato in città di mare può capire, può comprendere ed è quella cosa che ti dà una sensazione di apertura, di respirare. Ci sono dei momenti in cui è sufficiente prendere la macchina, andare a fare un giro, anche solo a guardarlo e si riparte”
Andiamo al 1985. In quell'anno come arriva il passaggio a Livorno?
“Il passaggio a Livorno nel 1985 arriva perché l'anno prima dei dirigenti che avevo avuto a Rimini, Bergamini e Galassi, da Rimini erano passati al Livorno, quindi mi conoscevano, mi avevano visto e credevano nelle mie potenzialità. Tra l'altro, in maniera un po' strana, perché io feci un provino per la Primavera del Milan, andai a Milano e facemmo una partita Beretti contro Primavera del Milan. Io giocavo nella Beretti, c’era anche Paolo Maldini, che poi è stato anche mio compagno di squadra in un nazionale giovanile, segnai due gol e il Milan mi prese. Mi chiesero se volevo andare a Milano a fare la Primavera o a Livorno a giocare in Serie C. E io avevo una grande voglia di confrontarmi con il calcio professionistico, con i grandi e quindi dissi: "No, preferisco andare a Livorno a fare la Serie C e poi magari, se torno, tornare al Milan e magari andare in ritiro con la prima squadra, se faccio bene". E in quell'anno il presidente del Milan Farina ebbe delle problematiche. Tutti i giocatori che erano a Livorno, non ero l'unico che in teoria era in prestito dal Milan, al tempo le cose si facevano sulla parola, non c'era bisogno di tantissimi documenti, c'eravamo io, Deste, Gadda, Zaninetti, Ferrari, dico i primi che mi vengono in mente, eravamo tutti giocatori del Milan che erano a Livorno in prestito, ma in prestito sulla parola. Quindi, col fatto che cambiò la proprietà al Milan, noi ci ritrovammo tutti a Livorno in maniera definitiva, di proprietà del Livorno”
E quei 3 anni a Livorno come furono? Cioè lì ti sei un po' innamorato? È lì che hai fatto poi la promessa di tornare?
“Sì, io mi sono innamorato, una città aperta, mi hanno subito adottato, mi chiamavano “il Bimbo” perché ero giovanissimo, giocavo anche in maniera continuativa in prima squadra e i primi due anni segnando pochi gol perché comunque venivo da un percorso a livello giovanile dove facevo il centrocampista, quindi poi piano piano mi hanno spostato sempre un pochino più avanti e il discorso del gol l'ho dovuto metabolizzare piano piano, anche perché che ero abituato a cercare di far fare gol agli altri. Poi quello per fortuna mi è rimasto anche dopo, pur facendone tantissimi, i miei compagni di squadra hanno fatto il loro record di gol nella categoria in cui abbiamo giocato insieme, perché avevo questo modo di giocare in cui sì, mi piaceva fare gol, pensavo a fare gol, ma
non era il mio unico obiettivo, cercavo di farlo fare anche al mio al mio compagno d'attacco e quindi questa è stata una caratteristica che mi sono portato dietro a Livorno, quando sono arrivato appunto, mi sono innamorato, poi mi sono fidanzato, ho trovato quella che poi è diventata mia moglie ed è stata mia moglie per tantissimi anni, fino a qualche anno fa. E quindi tutta una serie di cose che mi hanno poi tenuto legato a questa gente che vedevo anche sofferente, perché quando sono arrivato nell'85 mi dicevano ‘sono 15 anni che non andiamo in Serie B’, poi quando sono ritornato nel ‘99 erano diventati 30. Quindi mi ero ripromesso, e avevo promesso anche alla gente che se fossi andato via, come è successo per un fatto economico, promisi che sarei tornato”
Sei andato via per un fatto economico?
“Sì, la società mi vendette alla Virescit per un motivo economico, perché il Livorno aveva bisogno di soldi per fare il campionato, infatti con quei soldi fece il campionato, successivamente arrivò il fallimento”
Poi sei tornato, nel 1999...
“Per aiutare la città e la squadra a tornare almeno in Serie B”
E quella cosa sui compagni di squadra che fanno tanti gol, chi erano? Io ricordo Tovalieri che fece il record di gol con te, ne fece 17...
“Sì, Kennet Andersson ne segnò 12, che credo poi abbia eguagliato anche a Bologna, c'è stato Margiotta, alla Reggiana, in Serie C Lorenzini il primo anno segnò più di 10 gol, che è stato il suo record, Fabio Alteri uguale in Serie C a Livorno e Bellucci in Serie A al Napoli fece 10 gol, cosa che poi credo abbia ripetuto alla Sampdoria, però comunque sia record eguagliato”
Eppoi c’è Cristiano, che ne fece 29 in Serie B…
“Cristiano, vabbè, Cristiano è una cosa a parte. Cristiano fece il suo record in Serie B, l'anno in cui abbiamo vinto il campionato 29, e l'anno dopo 24 in Serie A, diventando capocannoniere. Quindi, ripeto, avevo questa doppia funzione in campo, quella di volere e dover far gol, ma quella di volere e dover far segnare anche il mio compagno d'attacco”
[Continua con nella seconda parte di tre...]
René Pierotti
