Fine vita, Consulta: "Verifiche tecniche su auto-somministrazione". Ass. Coscioni: "Si faccia presto"
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile l’intervento attivo di un medico nella somministrazione del farmaco letale, anche nei casi in cui la persona malata, pur avendo diritto al suicidio medicalmente assistito, non sia in grado di autosomministrarselo. Lo ha stabilito con la sentenza n. 132/2025, riguardante il caso di “Libera”, una 55enne toscana completamente paralizzata, affetta da sclerosi multipla in fase avanzata.
La decisione della Corte
La Corte ha rigettato per motivi procedurali le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente) sollevate dal Tribunale di Firenze. Secondo i giudici, il tribunale avrebbe dovuto svolgere ulteriori approfondimenti tecnici a livello nazionale, prima di chiedere un pronunciamento sulla norma.
In particolare, la Consulta sottolinea che il giudice a quo “non ha motivato in maniera né adeguata, né conclusiva” la presunta impossibilità di reperire strumenti per l'autosomministrazione che potessero essere utilizzati anche da una persona nelle condizioni di “Libera”, come ad esempio una pompa infusionale attivabile con voce, bocca o occhi. La richiesta si è fermata a un'interlocuzione con l’Azienda sanitaria locale, mentre avrebbe dovuto coinvolgere organismi centrali come l’Istituto Superiore di Sanità, ritenuto organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale.
Secondo la sentenza, “dove questi dispositivi potessero essere reperiti in tempi ragionevolmente correlati allo stato di sofferenza della paziente, la donna avrebbe diritto ad avvalersene”.
La posizione dell’Associazione Luca Coscioni
L'Associazione Luca Coscioni, che assiste “Libera” tramite un collegio legale coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, ha sottolineato che la Corte non ha rigettato il ricorso nel merito, ma ha chiesto solo ulteriori verifiche tecniche. “La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione per motivi strettamente procedurali”, ha spiegato Gallo. “Secondo i giudici, infatti, il tribunale di Firenze avrebbe dovuto fare una ricerca a livello nazionale, e non solo regionale, di un presidio che ‘Libera’ possa utilizzare per autosomministrarsi il farmaco”.
Gallo ha aggiunto: “È stato confermato dai Giudici che l’azione utilizzata era l’unico strumento per sollevare il dubbio di legittimità costituzionale dell'articolo 579 del codice penale, che è l’unica norma che si frappone tra ‘Libera’ e il suo diritto ad autodeterminarsi”.
L’associazione ora chiederà con urgenza che sia il tribunale stesso a procedere con l’indagine tecnica richiesta, coinvolgendo anche il Ministero della Salute, già citato nel ricorso ma che “non ha fornito alcuna informazione utile”. Il timore è che i tempi della giustizia siano incompatibili con la rapida progressione della malattia.
Anche Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, ha commentato la sentenza: “Dalla decisione della Corte emerge chiaramente che il ruolo del Servizio sanitario nazionale è posto a garanzia delle persone malate che chiedono di procedere con il fine vita”. Una posizione, ha sottolineato, in netta contrapposizione con il disegno di legge in discussione al Senato, che mira a escludere il Servizio sanitario nazionale dalle procedure di verifica nel fine vita. Per questo, ha ribadito l’appello al Parlamento a respingere la proposta del Governo e approvare invece la legge di iniziativa popolare sull’eutanasia legale.
La storia di 'Libera'
“Libera” aveva già ottenuto dal Servizio sanitario nazionale il via libera al suicidio medicalmente assistito secondo i criteri stabiliti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, ma il trattamento resta di fatto inaccessibile: è completamente paralizzata dal collo in giù, non può deglutire e dipende dai caregiver per ogni attività quotidiana. Nonostante ciò, ha rifiutato la sedazione profonda, scegliendo di rimanere lucida e cosciente fino alla fine.
Aveva chiesto al tribunale di autorizzare un medico a somministrarle direttamente il farmaco, ma l’intervento attivo del medico, secondo l'attuale normativa, configurerebbe il reato di omicidio del consenziente, punito con fino a 15 anni di carcere. È per questo che il Tribunale di Firenze aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del codice penale, ma ora tutto è rinviato: il giudice dovrà prima verificare se esistano presìdi compatibili con le condizioni della paziente.