Lettera insegnanti 'pro-Pal' e occupazione Virgilio, la scuola deve promuovere neutralità o partecipazione?
Prima la lettera di 96 professori dell'Istituto comprensivo di Montelupo che nel condannare "l'assedio del popolo palestinese" affermava che "educare è un atto politico e morale: implica il coraggio di scegliere da che parte stare, soprattutto quando i valori fondanti della convivenza civile vengono messi in discussione" (qui il testo); poi l'occupazione dell'Istituto Virgilio di Empoli con cui i ragazzi hanno inviato una chiara indicazione: "Vorremmo che a scuola gli studenti potessero avere più attività, assemblee, incontri, per poter parlare" del "genocidio" palestinese, "e che più in generale l'attualità entrasse a far parte del programma scolastico, e potesse essere conciliato con quello che si studia sui libri".
La risposta a questi due fatti è stato anche un ampio ventaglio di offese, rimbrotti paternalistici, invettive anti-ideologiche piene di ideologia e un po' di ipocrisia contro docenti e ragazzi che hanno riempito i social, tanto che associazioni, sindacati e partiti politici hanno sentito il dovere di esprimere solidarietà. Non aggiungerebbe niente di serio al dibattito scendere sul terreno di quei commenti, ma forse l'occasione per fare un dibattito serio può arrivare da "un padre e cittadino di Montelupo" che ha inviato una lettera a gonews.it.
È una la questione di fondo: è giusto che a scuola si discuta, si affronti temi di attualità, si 'prenda posizione'? Nella lettera, indirizzata in particolare ai docenti di Montelupo, il 'padre-cittadino' si dichiara "basito" dalla 'presa di posizione' degli insegnanti e in modo secco risponde negativamente alla domanda: "Non nel nome dei miei figli":
"Il ruolo della scuola forse non è più quello di educare al rispetto delle regole, promuovere la responsabilità e l’autonomia? Forse non è più il luogo dove si aiutano i ragazzi a sviluppare nuove conoscenze e progetti, promuovere la creatività, la curiosità e la capacità di pensare con la propria testa? Forse non è più il luogo di incontro che favorisce l’inclusione e mira a garantire pari opportunità a tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro esperienza e provenienza? Come si possono sviluppare tutte queste capacità se non si è neutrali rispetto al mondo e se non si è focalizzati solo sull’educazione? Non essere neutrali e prendere una posizione implica una parte giusta e una sbagliata, in questo caso riconducibile a fazioni politiche. [...] Da genitore vi prego e vi scongiuro di tornare a fare ciò che vi compete in maniera seria e imparziale. Il vostro ruolo è fondamentale allo sviluppo cognitivo dei miei figli, ma anche allo sviluppo della società [...] Se fosse stata la Pace, e solo la Pace, la guida del vostro ragionamento, il colore della bandiera da sventolare avrebbe dovuto essere l’Arcobaleno"
Ad avvalorare questa dovuta imparzialità il lettore avanza anche una disquisizione tecnico-giuridica su cosa deve essere la Scuola secondo il nostro ordinamento:
Il decreto legislativo n. 165/2001 (Testo Unico sul pubblico impiego), all’art. 1 comma 2, definisce le scuole come pubbliche amministrazioni e, di conseguenza, il personale scolastico, in quanto dipendente pubblico, deve agire con imparzialità, astenendosi dal fare propaganda politica esplicita, specialmente durante lo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali. Inoltre, la Costituzione, oltre a garantire la libertà di insegnamento, impone ai docenti di agire in modo oggettivo e pluralista, come indicato nelle linee guida per l’educazione civica (legge 92/2019). In ultima istanza, lo Statuto delle studentesse e degli studenti (D.P.R. 249/1998) ci dice che, pur riconoscendo il diritto degli studenti alla partecipazione attiva e dunque anche alla discussione di temi politici e alla libertà di espressione, promuove un ambiente formativo, pluralista e di dialogo costruttivo. L’esercizio di questi diritti deve essere bilanciato nel rispetto della persona e della dignità di tutti. Anche se personalmente non ne trovo l’utilità, vi siete resi conto che di fronte alle vostre cattedre avete dei bambini dai 6 ai 14 anni?
Uscire da questo stretto e asettico abito a cui sarebbe relegata la scuola significherebbe, secondo colui che scrive, addirittura un ritorno al più buio totalitarismo fascista e a forme di "indottrinamento":
"La scuola, nella sua storia, è già stata oggetto di indottrinamento, è già stata imparziale, ed ebbene sì, era il 1926, e questo mi fa tanta paura. La parte politica che aveva capito il valore dell’indottrinamento scolastico non oso nominarla; da italiano me ne vergogno, ma l’organizzazione sotto la quale aveva preso forma posso citarla: si chiamava ONB, Opera Nazionale Balilla. Questa organizzazione aveva come obiettivo principale formare la coscienza dei giovani secondo gli ideali fascisti, e mi chiedo: ma davvero ci state spingendo a questo? Davvero volete manipolare in modo così plateale le menti dei nostri ragazzi?"
Posizione simili emergono anche dal centrodestra locale. Per FdI Empoli "la scuola deve insegnare a pensare, non a schierarsi", i temi di attualità vanno affrontati "con pluralità di voci, confronto reale e rispetto reciproco" e "non serve occupare un edificio per aprire un dialogo: gli studenti che vogliono approfondire questi temi possono rivolgersi ai docenti o anche a noi". Per il gruppo consiliare Centrodestra per Empoli "la scuola debba restare un ambiente di formazione, dialogo e confronto, mai un terreno di scontro o di contrapposizione ideologica [...] è un luogo dove si impara a pensare, non a schierarsi" e l'occupazione "non aiuta il percorso educativo degli studenti né contribuisce a costruire un vero spazio di riflessione". Voci critiche contro questa posizione sono arrivate, invece, dal mondo dell'associazionismo e della sinistra, come anche gonews.it ha ampiamente riportato (vedi qui).
Qualche equivoco e un'ambiguità
Quale che sia il giudizio su questo dibattito, la sensazione è che ci sia qualche equivoco e un'ambiguità. Non è ben chiaro, intanto, come non possa convivere il conflitto, la protesta o lo 'schierarsi' con il dialogo, il confronto e la formazione libera di un'opinione. In una democrazia ridotta ormai all'indicazione stanca di un voto e dove cresce sfiducia e disimpegno, avere spazi di discussione, trasformare la scuola-nozionificio anche in un luogo di dibattito, significa formare cittadini e riformare la democrazia: l'istituzione-Scuola proprio per ottemperare al suo compito di formare cittadini, ha forse bisogno di 'prese di posizioni', di 'schieraramenti' e di partecipazione, a patto di mantenere quelle idee pienamente all'interno dei principi costituzionali.
A chi sprezzante dice, "beh ma potevano farlo fuori dalle lezioni, senza occupare una scuola, vogliono solo non fare lezione", sono gli stessi ragazzi a rispondere con i fatti: dal giorno dell'occupazione hanno organizzato nell'istituto dibattiti e workshop, invitato giornalisti ed esperti di conflitti internazionali o di altri temi, hanno contattato associazioni ed enti del territorio, dando vita ad un fitto programma di iniziative per discutere, parlare, farsi un'idea sul mondo.
Una voglia di discutere e di esserci che i ragazzi intendono portare avanti anche dopo l'occupazione con progetti e iniziative sull'attualità da affiancare anche fuori orario ai piani di studio, sintomo che, non fosse lapalissiano, l'occupazione è un atto il cui valore sta proprio nella sua eccezionalità, nel prendersi l'attenzione. La democrazia, dopotutto, è anche conflitto, mantenerlo nel perimetro del dialogo e del compromesso è al tempo stesso la sua più grande sfida e la sua più grande affermazione. L'idea di una società pacificata e priva di conflitti, popolata da 'senza voce' che restano con il cerino in mano mentre scelgono liberamente chi può parlare a loro nome è sempre stata, invece, l'arma culturale dell'immobilismo.
Che i ragazzi vogliano partecipare, dialogare, esserci, non può, e non deve, spaventare; richiede, semmai, che le istituzioni, le forze politiche, le associazioni e i cosiddetti 'corpi intermedi' siano in grado di sollecitarli, guidarli ed ascoltarli. Bollare con posture paternalistiche i ragazzi di "fancazzismo" o considerarli troppo giovani e troppo influenzabili, "hanno solo 14-16 anni", è di una presunzione assoluta.
L'altro equivoco è quello di considerare i valori promossi da studenti e insegnanti come ideologie 'cattive' o estremismi di sorta: eppure, basterebbe leggere attentamente le rivendicazioni dei ragazzi, "vorremmo che a scuola gli studenti potessero avere più attività, assemblee, incontri, per poter parlare", o quelle dei docenti che si impegnano a "promuovere momenti di riflessione pubblica" condannando "ogni forma di occupazione, apartheid, colonialismo e genocidio", per capire che sul piatto non c'è solo la rivendicazione di una bandiera, ma due principi: una richiesta di partecipazione e coinvolgimento dei giovani nel dibattito pubblico e la promozione di principi basilari di giustizia e umanità che sono sanciti dalla nostra Costituzione e che, se si è studiato un po' quel testo, sono principi normativi del nostro ordinamento. Se si è fuori da quelli, si è fuori dalla Costituzione e dalla legge.
L'ambiguità, che è poi il paravento dell'intera questione, è quindi che dietro questa costruzione asettica dell'istituto-scuola, dietro la novella formula della "imparzialità-oggettività-pluralità" contro ogni ideologia vi sia forse una forte presa di posizione ideologica che non accetta, o lo fa a condizioni limitate, la lettura che si fa del genocidio palestinese: la sensazione, insomma, è che non si sia tanto preoccupati di fare della scuola un momento di riflessione ideologica, ma di farla dalla parte che si ritiene sbagliata. Se a contrapporsi alla ideologica cosiddetta 'pro-Pal' è una non-ideologia molto ideologizzata, tutto il castello concettuale messo su, però, tende a cadere.
Il movimento pro-Pal ha effettivamente aggregato intorno a sé istanze che vanno oltre la Palestina da parte di esuli che non trovano da tempo rappresentanza politica, ma vedere una bandiera rossa dove c'è quella della Palestina è un'operazione abbastanza miope, sarebbe come vedere dietro queste posture anti-Pal una giustificazione del genocidio palestinese. Ci si attenga quindi alle motivazioni rivendicate, fino a prova contraria.
Si può non essere d'accordo, ritenere che la questione israelo-palestinese sia più complicata di quella che viene proposta da ragazzi e docenti, ma si sia disposti a parlarne, discutere, mobilitarsi senza nascondersi dietro manierismi o istituzionalismi di sorta, o peggio sottoporre i ragazzi ad una reductio ad ridiculum e tagliare con l'accetta giudizi sprezzanti da dietro uno schermo. È legittimo sottolineare e complicare la lettura proposta, altrettanto lecito assicurarsi che i docenti non usino la loro posizione per 'forzare' il pensiero dei ragazzi o che si ritenga un'occupazione non utile, o a maggior ragione denunciare eventuali atteggiamenti intimidatori o idee che sono fuori dai valori della nostra Costituzione; ma non sembra questo il caso.
Squalificare, invece, la discussione che non ci piace o voler trasformare la scuola in un monolite 'asettico', una sorta di database a cui i ragazzi accedono come fossero chiavette usb, oltre a essere un torto che facciamo alla salute della nostra democrazia, mostra l'autoinganno, o peggio la falsa coscienza di chi non vuol discutere o forse mettere in discussione i propri pregiudizi.
Giovanni Mennillo