Il giorno in cui crollò l'impero britannico

Billy Wright e Ferenc Puskas

Il calcio, si sa, ha remotissime origini. Si trovano tracce di giochi molto simili nella Cina del secondo millennio avanti Cristo e pure in Grecia e nella Roma Imperiale; è anzi verosimile che sospinto dai piedi dei legionari romani il pallone abbia varcato la Manica e colonizzato le Isole Britanniche, dove alla metà del XIX secolo fu infine codificato come il gioco che ancora ipnotizza le folle di tutto il pianeta. L’Inghilterra, che fondò la prima federazione calcistica mondiale nel 1863 e diede il via ai primi campionati regolari, si è perciò sempre considerata la patria del football e come tale ha a lungo guardato con alterigia e senso di superiorità i movimenti calcistici degli altri Paesi.
La supponenza calcistica britannica è sopravvissuta per molto tempo, benché l’imbattibilità dei primi decenni avesse lasciato il posto a sonore e frequenti sconfitte nelle crescenti occasioni di confronto internazionale. Tanto per citare degli esempi, il Regno Unito era stato eliminato dalla Norvegia (!) alle Olimpiadi di Anversa nel 1920 e dalla Polonia a quelle di Berlino nel 1936. Forse a mo’ di rappresaglia o per sfuggire agli avversari che cominciavano a superare i presunti “maestri”, gli Inglesi altezzosamente decisero di non partecipare ai Campionati del Mondo del 1930, 1934 e 1938, per presentarsi infine in Brasile a quelli del 1950, dove furono battuti addirittura dagli Stati Uniti per 1-0 – pare che alla ricezione dei dispacci di agenzia che riportavano l’inatteso risultato, molti giornali britannici abbiano creduto a un errore tipografico, mandando in stampa la vittoria dei “Leoni di Albione” per 10-0!

Insomma, il 25 novembre 1953, quando l’Inghilterra ricevette nell’invitto stadio di Wembley l’Ungheria guidata da Ferenc Puskas per celebrare i 90 anni della Football Association, c’erano ormai molti buoni motivi per considerare tramontato il periodo dell’incontrastato dominio inglese. Ma non per i “bianchi” sudditi di Sua Maestà, che entrarono in campo dileggiando proprio la stella magiara, apostrofato come un “piccoletto grassottello” con ai piedi strani stivaletti tagliati sopra la caviglia. E invece, dopo appena 27 minuti di gioco, l’Ungheria conduceva per 4-1 e Puskas aveva già realizzato due gol, il primo dei quali dopo un rapido gioco di gambe che aveva mandato a vuoto l’irruente tackle del capitano inglese Billy Wright, che fece la figura del toro schivato dall’elegante matador. Al termine, il punteggio di 6-3 sembrò stare addirittura stretto agli ospiti, che avevano tirato in porta 35 volte contro le sole 5 dei padroni di casa!

La sensazione euforizzante di appartenere alla razza eletta e di possedere il segreto del gioco aveva convinto l’Inghilterra che la sua superiorità iniziale fosse oggettiva e assoluta, e come tale destinata a durare in eterno. Il tracotante isolazionismo che ne era derivato e la mancanza di ibridazione, come succede a ogni essere vivente soggetto alla legge dell’evoluzione, aveva prodotto gravi danni. Quel pomeriggio brumoso di novembre, l’Ungheria allenata da Gustav Sebes sembrava sbarcata da un’altra galassia. Al cospetto dell’impacciata e rigida formazione inglese, i “meravigliosi magiari” mostrarono una flessibilità ultra-moderna. Le ali Zoltan Czibor e Laszlo Budai svariavano sul fronte d’attacco togliendo riferimenti ai rispettivi marcatori, mentre Sandor Kocsis e lo stesso Puskas, che pur indossando i numeri 8 e 10 erano le vere punte della squadra, si inserivano comodamente nei larghi spazi che lasciava davanti a sé il finto centravanti Nandor Hidegkuti, la cui inedita interpretazione del ruolo originò da allora l’espressione “centravanti alla Hidegkuti”, con cui si prese per l’appunto a indicare un attaccante di manovra. Il tutto era confezionato da un fraseggio insistito e breve e da continui scambi di posizione, il che faceva apparire vergognosamente arcaico il classico stile inglese imperniato sul vetusto “run-and-gun” (cioè, “corri-e-tira”).

Per gli Inglesi, che mai avevano perso in casa contro una squadra non britannica, fu l’alba di una nuova era, nella quale non sarebbero più stati i maestri del calcio neanche nella loro benevola auto-rappresentazione. I 105.000 spettatori che affollarono Wembley quel mercoledì di sessant’anni fa avevano tristemente assistito al crepuscolo degli Dèi, alla fine dell’Impero britannico del calcio, al passaggio del testimone fra l’età in cui il canone del gioco stava oltre la Manica e il periodo nel quale avrebbero dovuto essere gli Inglesi a vestire gli umili panni degli apprendisti.

L’Ungheria, dal canto suo, proseguì la sua ineguagliata serie di successi, cominciando proprio dalla gara di rivincita che, a campi invertiti, si disputò al Nepstadion di Budapest, il 23 maggio 1954 e che la vide dominare per 7-1, che costituisce ancora oggi il più pesante passivo mai subito dall’Inghilterra nella sua storia calcistica. Dal 1949 al settembre 1956, alla vigilia della rivoluzione d’Ungheria che fu soffocata nel sangue dai carri armati sovietici, la nazionale ungherese disputò 50 incontri e segnò 215 gol, ottenendo 42 vittorie, 7 pareggi e subendo una sola sconfitta, che però capitò proprio nella finale dei Campionati del Mondo del 1954, contro la Germania Ovest.

Ma questa è un’altra storia e ci sarà senz’altro occasione di parlarne.

I tabellini delle due partite:

Wembley, Londra, 25 novembre 1953: Inghilterra-Ungheria 3-6

Inghilterra: Merrick, Ramsey, Eckersley, Wright (c), Johnston, Dickinson, Matthews, Taylor, Mortensen, Sewell, Robb

Ungheria: Grosics (c), Buzánszky, Lantos, Bozsik, Lóránt, Zakariás, Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Czibor

Reti: 1’ Hidegkuti, 13' Sewell, 20’ Hidegkuti, 24’ e 27’ Puskas, 38’ Mortensen, 50’ Boszik, 53’ Hidegkuti, 57’ Ramsey

Spettatori: 105.000 - Arbitro: Leo Horn (NL)

Nepstadion, Budapest, 23 maggio 1954: Ungheria-Inghilterra 7-1

Ungheria: Grosics (c), Buzánszky, Lantos, Bozsik, Lóránt, Zakariás, Toth, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Czibor

Inghilterra: Merrick, Staniforth, Byrne, Wright (c), Owen, Dickinson, Harris, Sewell, Jezzard, Broadis, Finney

Reti: 10’ Lantos, 17' Puskás, 19' e 57’ Kocsis, 59' Hidegkuti, 63’ Toth, 68’ Broadis, 71’ Puskas

Spettatori: 92.000 - Arbitro: Giorgio Bernardi (I)

Paolo Bruschi