“Il Pontedera ai Mondiali" nel ricordo di Giulio Drago

Paolo Bruschi insieme a Giulio Drago

Paolo Bruschi insieme a Giulio Drago

Ci mette un secondo a smontare la metafora di Davide contro Golia o la tesi (quasi) sempre vera dell’imponderabilità del calcio, delle partite che cominciano tutte per 0-0 e della retorica che pali e traverse, stellone e miracoli sulla linea di porta possono castigare i migliori e premiare i brocchi: «Quel giorno fummo semplicemente più bravi. Giocammo a memoria, il nostro solito bel calcio di quella stagione, gli schemi a zona che sapevamo fare; loro andarono subito in difficoltà, erano appannati, non ci prendevano proprio; noi sembravamo la nazionale e loro gli sparring partner!».

Così parla Giulio Drago, che difendeva la porta del Pontedera il 6 aprile 1994, quando la nazionale di Arrigo Sacchi invitò a Coverciano i granata per la tradizionale partitella infrasettimanale durante uno degli stage di preparazione ai Mondiali americani che si sarebbero giocati un paio di mesi dopo. Finì clamorosamente con una vittoria dei semiprofessionisti toscani per 2-1, gli azzurri in evidente imbarazzo e i giornalisti alla ricerca dei titoli a effetto per rendere giustizia alla verità inverosimile cui avevano assistito.

Il titolo della Gazzetta dello Sport

Il titolo della Gazzetta dello Sport

Il “Corriere della sera” parlò di “realtà romanzesca” e la “Gazzetta dello sport” sparò in prima pagina un provocatorio “Ai Mondiali il Pontedera”, con l’eloquente occhiello “Lezione di gioco della regina di C2”. Sì, perché quell’anno il Pontedera stava dominando il campionato e, con un record di imbattibilità che durava da 24 partite, si accingeva al salto di categoria, oltretutto con la stretta applicazione del verbo calcistico “sacchiano”, cui l’allenatore Francesco D’Arrigo aderiva convintamente. Per questo aveva meritato l’invito della nazionale di Maldini e Baresi, di Albertini e Baggio e perché il modo di giocare dei toscani, a detta del ct Sacchi, assomigliava a quello di Norvegia e Messico, che l’Italia avrebbe incontrato nel girone eliminatorio della Coppa del Mondo.

Come detto, fra i pali del Pontedera giocava Giulio Drago, vecchia conoscenza dei tifosi dell’Empoli, di cui aveva difeso la porta nel primo biennio di serie A negli anni ’80 e attuale preparatore dei portieri della “Primavera”: gli abbiamo chiesto di rievocare quel giorno di gloria a vent’anni di distanza.

Giulio Drago  con la maglia dell'Empoli

Giulio Drago con la maglia dell'Empoli

DOMANDA – Cosa ti ricordi di quella partita?

RISPOSTA – Mi rammento questa chiamata, durante la pausa del campionato, e il nostro entusiasmo per l’onore di giocare contro l’Italia. Eravamo nel pieno della cavalcata che ci avrebbe garantito la promozione in C1 e giocavamo alla perfezione. D’Arrigo era arrivato dalla Sestese e io l’avevo seguito, insieme ad altri compagni. Il nucleo portante della squadra era dunque costituito da atleti che si conoscevano bene e che credevano nel gioco a zona di D’Arrigo: difesa alta, ripartenze e pressing asfissiante in tutte le zone del campo, con alcune individualità che alzavano il livello del gioco come Moschetti, Pane e Aglietti. D’Arrigo mi incoraggiava a giocare molto alto, al limite dell’area, fungevo in pratica da libero aggiunto, lo facevo con disinvoltura e mi dava grande soddisfazione partecipare alla costruzione del gioco.

D. – Ovviamente, eravate preparati al ruolo delle vittime sacrificali. Come succede in questi casi, vi chiesero di andarci piano nei contrasti e di non esasperare i toni agonistici?

R. – Certo, questo capita sempre in situazioni del genere, nessuno si doveva far male e noi rispettammo le consegne, soprattutto perché la partita la facevamo noi, avevamo in mano il pallino del gioco e sorprendentemente erano gli azzurri che ci inseguivano. Anzi, accadde il contrario: dopo il vantaggio iniziale di Rossi, raddoppiamo subito con Aglietti e furono loro ad alzare il livello della competizione con alcune entrate più decise. Non si lasciarono andare a manifestazioni di collera o di rabbia fra di loro, ma era chiaro che si stavano innervosendo: avevano forse messo in conto la nostra partenza lanciata, sulle ali dell’entusiasmo, ma dopo mezz’ora erano sotto di due reti e non la prendevano mai!

D. – Quale fu allora la vostra reazione?

R. – Beh, eravamo lì per la classica sgambata di metà settimana, ma essendo in vantaggio dopo il primo tempo ci cominciammo a credere e, se possibile, moltiplicammo l’impegno. Ci riusciva tutto, con grande naturalezza: loro erano in grande impaccio, in ritardo sulle chiusure, con i tempi sempre sbagliati, insomma sembrava che l’Italia fossimo noi! Nel secondo tempo, entrarono in campo più determinati e accorciarono le distanze con Daniele Massaro. A quel punto, serrammo i ranghi e  ci preparammo a resistere all’assedio. Loro tenevano l’iniziativa e io fui chiamato a due parate niente male, mentre una volta fui salvato dalla traversa su un’altra conclusione di Massaro. Ma i minuti trascorrevano e noi eravamo sempre avanti, non ci furono altre occasioni eclatanti per l’Italia. Poi l’arbitro Pierluigi Collina ci mise lo zampino: prima dell’inizio ci eravamo accordati per due tempi da quaranta minuti, ma dopo il quarantesimo Collina non fischiava, evidentemente aveva parlato con Sacchi e cercava di agevolare il pareggio degli azzurri. Ma non gli bastarono nemmeno 47 minuti, alla fine dovettero arrendersi!

D. – Ci furono dei ritorni di popolarità dopo quella vittoria?

R. – La domenica successiva Simona Ventura ci chiamò alla “Domenica sportiva”, finimmo sulle pagine dei quotidiani più importanti, ma niente di più. Nessuno di noi ebbe offerte significative per salire di categoria, anche se poi Aglietti esordì in serie A due anni dopo.

D. – A quei Mondiali, è noto, l’Italia partì in sordina e poi perse la finale con il Brasile soltanto ai rigori: ci furono sensazioni particolari da parte tua nel seguire il cammino degli azzurri?

R. – Dopo la partenza falsa degli azzurri, si scherzava fra di noi: guarda, dicevamo, non si sono ancora ripresi dalla nostra batosta! Quando invece ingranarono la quarta, fu un ulteriore motivo di orgoglio: avevamo dimostrato che con una buona organizzazione e un po’ di fortuna si possono raggiungere traguardi insperati.

D. – In campionato, però, dopo il lungo sprint iniziale arrivaste secondi dietro il Gualdo.

R. – Dopo la partita con la nazionale, forse un po’ troppo galvanizzati dal risultato, il nostro rendimento scemò e due domeniche dopo patimmo la prima sconfitta stagionale, dal Baracca Lugo, che all’andata avevamo seppellito sotto un eloquente 6-0. Poi inanellammo quattro pareggi consecutivi, il primo contro il Ponsacco il giorno della morte di Ayrton Senna durante il Gran Premio di Imola e il terzo all’Ardenza contro il Livorno, che tentava la disperata rimonta. Quel giorno c’erano più di diecimila persone, lo stadio era una bolgia, ma noi eravamo una squadra di qualità e con la personalità sufficiente a reggere la pressione di un ambiente carico e ostile: quello 0-0 fu decisivo per la conquista della promozione.

Dopo quella stagione memorabile, il Pontedera si sfaldò: D’Arrigo, come Drago, lasciò la squadra per approdare proprio all’Empoli, da cui peraltro sarebbe stato presto esonerato. I granata si affacciarono alla C1 per subito retrocedere. Della squadra che giocava a occhi chiusi e che aveva messo in riga i futuri vice-campioni del mondo non rimase niente. Solo il dolce ricordo di un’impresa da raccontare ai nipoti e, per gli increduli tifosi, la memoria dei caroselli di auto fuori stagione, quelli che percorsero le vie della cittadina per celebrare la vittoria di Coverciano.

Il tabellino della partita

Italia: Marchegiani (Peruzzi), Panucci, Maldini, Albertini, Costacurta, Baresi (Negro), Donadoni, Conte, Signori (Massaro),  R. Baggio (Casiraghi), Stroppa (Fontolan).

Pontedera: Drago, Vezzosi, Paradiso, Rocchini (Russo), Allori (Ardito), Cecchi (Maraia), Rossi, Moschetti, Cecchini, Pane (Pontis), Aglietti.

Marcatori: 19' Rossi (P), 22' Aglietti (P), 52' Massaro (I)