Pentecoste, il cardinale Betori: "L'insegnamento di Papa Francesco per una chiesa 'in uscita'"

Il cardinale Giuseppe Betori (foto gonews.it)

L'omelia che l'Arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori proclamata in Cattedrale per la Solennità di Pentecoste.

 

Cattedrale di Santa Maria del Fiore

8 giugno 2014

Solennità di Pentecoste

[At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23]

OMELIA

Il fragore come di vento impetuoso e il fuoco in forma di lingue, che richiamano il contesto in cui al monte Sinai Mosè ricevette la legge di Dio, costituiscono solo la scena dell’evento che accade a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste, giunto al suo compimento. Ciò che avviene in questo scenario è il raccogliersi di una folla, che, stupita, si pone all’ascolto di un gruppo di uomini, fino ad allora esitanti e impauriti, chiusi nella loro stanza e colmi di interrogativi circa il futuro dopo la morte in croce del loro Maestro, le cui apparizioni come risorto non avevano tolto ogni dubbio dal loro cuore. Ora, invece, questi stessi uomini si sentono all’improvviso cambiati, percepiscono in se stessi una presenza nuova, di luce e di coraggio, che fa superare loro ogni incertezza e li proietta fuori, sulla piazza, «colmati di Spirito Santo» (At 2,4) e capaci di raggiungere ciascuno dei presenti nella sua lingua, nella sua cultura, nella sua condizione umana. Il lungo elenco dei popoli, che Luca si preoccupa di enumerare, copre dall’oriente all’occidente, dal settentrione al mezzogiorno la carta delle nazioni allora conosciute. Nessuno dei popoli sembra poter sfuggire all’incontro con la parola che esce dalla bocca di quegli uomini, ora pieni di coraggio e di capacità di incontro. Ma, soprattutto, va messo in risalto il contenuto di quella parola: «Li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (At 2,11).

Ciò che accade a Pentecoste ha questo ultimo intento: annunciare le opere di Dio. Così la Chiesa nascente, al momento del suo rivelarsi al mondo, si mostra nella sua natura più intima e nella sua missione più propria: mostrare alle genti Dio e il suo mistero, così come si è rivelato nella persona di Gesù di Nazaret. Subito dopo questa narrazione che apre ilsecondo capitolo del libro, gli Atti degli Apostoli presentano la prima predicazione cristiana, il discorso dell’apostolo Pietro, in cui egli proclama: «Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni… – … voi, per mano di pagani, l’avete crocifissoe l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questo lo tenesse in suo potere…Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,22-24.36). Al centro delle parole di Pietro sta un’affermazione sconcertante, che si scontra contro ogni evidenza umana, ma che sola permette alla storia dell’uomo di aprirsi alla speranza: «Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (At 2,32).

Mentre facciamo memoria dei primi passi della Chiesa, siamo ricondotti alle sue radici. Con le parole del Papa Paolo VI, dobbiamo riaffermare: «Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare» (Evangeliinuntiandi, 14). Portare il Vangelo nel cuore di ogni uomo e al centro della nostra società, è questa la missione della Chiesa a cui essa non può sfuggire, pena il rinnegare la propria identità. Non c’è chi non veda come questo compito di evangelizzazione assuma oggi particolare urgenza, a fronte di una comunità cristiana bisognosa di una profonda riforma, nel senso di una più coerente assunzione del Vangelo come parametro della propria vita, e a fronte di un contesto culturale in cui questo Vangelo appare sempre più distante, dimenticato o poco e male conosciuto, soffocato da modelli di esistenza piegati a una presunta spontaneità e di fatto schiavi di logiche di profitto e di potere.

Ma l’urgenza dell’evangelizzazione è anzitutto un’urgenza interna alla stessa dinamica della fede, per cui, con l’apostolo Paolo non possiamo non affermare che essere stati afferrati da Cristo ce ne rende doverosi testimoni: «Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor9,16).

Questa dinamica evangelizzante è tradotta nell’insegnamento di Papa Francesco nell’immagine di una Chiesa “in uscita”: «L’evangelizzazione obbedisce al mandato missionario di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt28,19-20)… Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria… L’intimità dellaChiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione “si configura essenzialmente come comunione missionaria” (Giovanni Paolo II;Christifideles laici, 32). Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura.… La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano»(Evangelii gaudium, 19; 20; 23; 24).

L’invito del Papa è chiaro e non ammette esitazioni. Occorre checiascuno come discepolo di Gesù e insieme come comunità di discepoli riprendiamo con coraggio questo slancio evangelizzatore e individuiamo le strade che lo Spirito mostra per raggiungere le periferie del nostro cuore e quelle delle vite dei fratelli attorno a noi. Senza nasconderci che lo strumento primo e immediato dell’evangelizzazione è la nostra stessa esistenza, che deve potersi mostrare agli altri come rinnovata e trasfigurata dall’incontro con Gesù, colma di gioia per la pienezza di umanità che abbiamo scoperto nel mistero della sua persona.

L’esperienza del Vangelo come esperienza di incontro con la persona di Gesù e non come un confronto con aride verità e fastidiosi precetti, è un altro elemento qualificante della missione evangelizzatrice nel nostro tempo. Si tratta di ricondurci al centro del Vangelo, al suo nucleo fondamentale, in cui risplende, secondo le parole del Papa: «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Evangelii gaudium, 34). È il mistero della misericordia, che risuona anche nelle parole di Gesù ascoltate nel testo del vangelo di Giovanni, dove il Risorto, comunicando lo Spirito, invia alla missione rivelando che il dono dello Spirito costituisce il fondamento del perdono offerto a ogni uomo: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (Gv 20,22-23).

La misericordia è anche fondamento della riconciliazione e della pace. È doveroso ricordarlo oggi, nel giorno in cui a Roma il Papa ha invitato i responsabili d’Israele e del popolo palestinese per un incontro che, nel segno della preghiera, vuole essere un auspicio e un invito alla pace per la Terra Santa. Un incontro in cui i discepoli di Cristo, con la presenza del Patriarca di Costantinopoli accanto al Vescovo di Roma, vogliono presentarsi con il volto di una comunione almeno desiderata senon ancora pienamente realizzata. Vogliamo anche noi far sentire la nostra vicinanza ai protagonisti di quell’incontro e lo facciamo con la preghieracon cui invochiamo la riconciliazione e la pace dalle mani del Dio Padre di ogni misericordia.

 

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