Ecco le omelie del cardinal Betori per Giovedì Santo

Il cardinale Betori (foto gonews.it)

OMELIA

Prima di entrare nel Triduo pasquale la Chiesa colloca questa celebrazione in cui il Vescovo, segno di Cristo Pastore in mezzo al suo popolo, benedice gli oli che accompagnano la vita sacramentale della comunità cristiana, chiamando inoltre i suoi preti a rinnovare le promesse con cui, al momento dell’ordinazione, si impegnarono a servire Cristo nella Chiesa.

Siamo dunque invitati a rendere grazie al Padre perché, facendoci suoi figli, ci fa partecipi dell’unzione dello Spirito Santo con cui egli ha consacrato come Messia il proprio Unigenito Figlio, costituendolo Profeta, Sacerdote e Re. Siamo inoltre invitati a meditare come al centro di questa consacrazione, che da Cristo si estende a tutti i membri del popolo di Dio, si pone la mediazione del sacerdozio ministeriale, che i presbiteri esercitano a vantaggio dei proprio fratelli.

La nostra riflessione deve doverosamente muoversi dal mistero su cui si fondano sia la vita di fede dei credenti sia il ministero dei presbiteri, cioè la consacrazione di Gesù come Messia. Ne parla Gesù stesso nel vangelo di Luca, dicendo che in lui si compiono le parole del profeta Isaia che egli proclama nella sinagoga di Nazaret. Al centro di tale consacrazione sta la missione di Gesù come evangelizzatore dei poveri, nella cui luce vanno quindi comprese le sue funzioni profetica, sacerdotale e regale.

Non si tratta di incarichi di potere e di onore, che lo pongono al di sopra dell’umanità, ma di un servizio di annuncio e rivelazione della grazia di Dio, che ha come destinatari privilegiati coloro che, nella loro condizione di fragilità ed emarginazione, in quanto privi di proprie risorse e di sostegni esterni, sono pronti a consegnarsi con fiducia alla totale misericordia del Padre. E solo chi si farà povero così – dirà Gesù nelle Beatitudini –, potrà incontrare il dono del suo Regno.

Se questo è l’orizzonte del servizio messianico di Cristo, con ciò ci è anche offerta una chiara indicazione sulla destinazione e le modalità del ministero della Chiesa e dei presbiteri e dei diaconi in essa: con i poveri, per i poveri e in forme povere. Lo ricorda con forza Papa Francesco: «Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri» (Evangelii gaudium, 48). Di qui scaturisce anche un altro insistente insegnamento del Papa, cioè fare della Chiesa una casa per tutti: «La Chiesa deve essere il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possono sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo (Evangelii gaudium, 114).

Questo Gesù compie nella sua missione di Profeta, Sacerdote e Re. E questo triplice compito continua nella missione della Chiesa. Come Chiesa siamo chiamati ad annunciare, con il coraggio dei profeti, la parola di verità e di salvezza che Cristo ci ha consegnata, per mostrare agli uomini e alle donne del nostro tempo come in questa parola viene offerta a tutti una figura dell’umano che ne svela l’altissima dignità, offrendo, nella libertà, la piena realizzazione delle sue più autentiche attese.

È una missione che non poche volte ci mette a confronto con visioni che si pongono oggettivamente contro l’uomo e la sua identità. Non possiamo indietreggiare di fronte a tali ostacoli, non per brama di dominio o intento di prevaricazione, ma per servizio all’uomo e alla verità. Ciò implica che la verità sia proposta nella forma della testimonianza di vita e sia sempre accompagnata dall’amore: «agendo secondo verità nella carità», come ammonisce l’apostolo Paolo (Ef 4,15).

Nella sua funzione sacerdotale, la Chiesa è poi chiamata farsi strumento di mediazione tra Dio e l’uomo, portando all’uomo il dono della grazia che scaturisce dalla misericordia del Padre e innalzando al Padre la lode e il ringraziamento dell’uomo raggiunto dalla grazia. Luogo di tale incontro è la liturgia, che esige di essere celebrata nella fedeltà alle forme prescritte dalla Chiesa e nella ricerca di espressioni degne del mistero che vi si attua, cariche quindi di bellezza e di splendore. Ma la liturgia non si esaurisce nel rito, bensì si prolunga nella vita, luogo di trasfigurazione dell’umano per rivelarne la destinazione trascendente e quindi l’aspirazione innata a innalzarsi fino al divino.

Dice ancora l’apostolo Paolo: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.

Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,1-2).

Infine, la regalità di Cristo, la sua signoria sulla storia, si prolunga in una Chiesa che vive il suo rapporto con il mondo nel segno del servizio e della carità, che, impregnando di sé le relazioni tra gli uomini, contribuisce a rendere più giusta e fraterna la convivenza umana. Si consuma qui la nostra responsabilità verso la storia, da aprire al suo fine trascendente e alla sua meta escatologica, aiutando l’uomo a uscire dalla prigione della propria autosufficienza e dalla nociva cultura individualistica che ne deriva.

Una regalità che si fa servizio è principio di fraternità e di cura dei poveri e degli emarginati. «Il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale – ricorda Papa Francesco –: nel cuore stesso del Vangelo ci sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri. […] Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale» (Evangelii gaudium, 177; 183).

Fin qui le considerazioni che si rivolgono alla comunità cristiana nella sua interezza, alla luce della consacrazione che la vita sacramentale dona a ciascuno dei discepoli di Gesù. Ma, come ho ricordato, questa celebrazione si caratterizza anche per il suo riferimento al sacerdozio ministeriale. Leggiamo nella Premessa del Rito della Benedizione degli Oli: «La Messa crismale, che il Vescovo concelebra con i presbiteri delle diverse zone della diocesi e durante la quale benedice il santo crisma e gli altri oli, è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui».

Vi ringrazio, dunque, anzitutto, cari presbiteri perché con la vostra presenza date visibilità alla realtà della comunione del nostro presbiterio. Senza questa comunione il nostro ministero – il mio come vescovo e il vostro come preti – si svuoterebbe del suo significato e perderebbe la sua efficacia. So che posso contare su di essa non solo quest’oggi ma ogni giorno, e ne trovo verifica consolante nella visita pastorale che sto compiendo, in cui è lo stesso popolo a testimoniare la generosità e l’insostituibilità del vostro servizio.

Oggi però devo ricordare, a me e a voi, che a dare sostanza alla comunione non è l’obiettivo di una maggiore efficacia del servizio che ci è chiesto e neppure una fraternità affidata ai soli sentimenti, che pur non vanno disprezzati. Il fondamento della nostra comunione è infatti ben più profondo ed è la persona stessa di Gesù, di cui siamo stati chiamati e consacrati a essere immagine per i nostri fedeli. È allora la nostra unione personale a Cristo, la nostra sempre più profonda configurazione a lui, che dà fondamento e sostanza alla comunione del nostro presbiterio.

Ciò che ci è chiesto è dunque anzitutto un percorso spirituale, con cui cresciamo nella nostra conoscenza di Cristo e nella nostra assimilazione dei suoi sentimenti e atteggiamenti. Fatti più simili a Cristo, saremo anche più uniti tra noi, per l’edificazione del popolo di Dio. Sta qui il segreto di ogni ministero, che ha Cristo come radice e Cristo come meta.

Lo ricorda ancora l’apostolo Paolo: "Ed egli [il Cristo] ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo" (Ef 4,11-13).

La configurazione a Cristo ha poi come percorso una strada comune, quella della tradizione della Chiesa, che sola garantisce la certezza della comprensione del mistero di Cristo e la fedeltà della continuità nella storia. Non solo ci è dunque chiesto di essere uomini di Cristo, ma anche uomini della e nella Chiesa, accogliendo con convinzione il magistero dei suoi pastori, a cominciare dal vescovo di Roma e dal vostro vescovo, condividendo l’esercizio del culto nelle forme in cui essa ce lo affida, promuovendo l’esercizio della carità con uno sguardo attento ai bisogni più nascosti, materiali e spirituali, del nostro tempo.

So che condividete con me queste linee di fondo del nostro ministero pastorale e ve ne sono grato. So che tutto questo richiede, non poche volte, sacrifici e generosità non comuni, anche in considerazione del nostro numero che si va contraendo sempre più; e anche di questo vi sono grato. Come pure, con voi, dico grazie alle comunità che vi accolgono e vi sorreggono nel vostro servizio.

Una parola di particolare gratitudine, infine, per quanti tra voi, celebrano quest’anno particolari anniversari giubilari, per quanto in questi

anni hanno donato alla Chiesa fiorentina; come pure voglio fare memoria di grato ricordo di quanti dallo scorso anno ci hanno lasciati per raggiungere nella casa del Padre il premio del loro esemplare servizio ecclesiale.

Lo Spirito di Cristo sia sempre l’anima del nostro ministero. Lo invochiamo per l’intercessione di Maria e dei nostri santi fiorentini.

 

Giuseppe card. Betori

Fonte: Ufficio Stampa

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