«Nulla è più scandaloso del Candide di Voltaire, e l’opera di Leonard Bernstein ne è una riproduzione fedelissima» racconta il regista Francesco Micheli «Provate a pensare a qualcosa di negativo: uccisioni, stupri, pedofilia, cannibalismo? È tutto già scritto nel Candide, ma in modo così ironico che non si può fare a meno di ridere».
Il nuovo allestimento pensato per l’Opera di Firenze è ambientato in una fabbrica immaginaria – la Westphalia che fa da sfondo all’inizio del romanzo – dove l’ingenuo giovanotto Candide è un semplice operaio, mentre gli altri personaggi sono i prodotti di una “human factory”, che realizza stereotipi come Maximilian, il bravo ragazzo, Cunegonde, la moglie ideale, e Paquette, la servetta di cui abusare sessualmente.
La storia, che nel romanzo si sposta dalla Germania al Portogallo, dal Venezuela controllato dai Gesuiti a una Venezia in preda a uno sfrenato Carnevale, è racchiusa sul palcoscenico in grandi scatole aperte e chiuse come finestre, o disposte come soprammobili, disegnate dalla scenografa Federica Parolini ispirandosi agli imballaggi e alle confezioni industriali.
A muoversi sul palcoscenico nei coloratissimi costumi di Daniela Cernigliaro ci sono anche attori: a impersonare Voltaire è Lella Costa nelle vesti di donna delle puliziedell’azienda. Muovendosi sui pattini a rotelle è lei a costruire attraverso gli intermezzi parlati il collegamento tra la storia e ciò che si vede in scena.
I cattivi dell’opera, gli uomini di potere, sono nascosti da grandi mascheroni e mani adunche di cartapesta «per riportare l’idea che il vero potere, quello di chi decide, non è identificabile in una persona dalle fattezze umane», rivela il regista Francesco Micheli.
Candide nasce come una satira a chi pensa che questo sia “il migliore dei mondi possibili”: se nel ‘700 si trattava di una critica al pensiero filosofico di Leibnitz, negli anni ’50 Leonard Bernstein, nato da una famiglia di ebrei polacchi, crea un’opera-musical che ironizza sul maccartismo. «Rappresentare quest’opera» dichiara il regista Francesco Micheli «significa evidenziare le analogie tra palcoscenico e “fabbrica”, indicando con evidenza la continuità tra chi agisce davanti al pubblico e il grande ingranaggio retrostante, in cui tutti sono operai della musica e del teatro».
Fonte: Maggio Musicale Fiorentino
<< Indietro