Hagler vs Mugabi, trent'anni fa

Il combattimento del 10 marzo 1986 proiettò il "Meraviglioso" nell'olimpo dei più grandi di sempre, ma fu l'inizio della fine per entrambi i pugili


Hag

Alla fine degli anni ’70, la boxe cominciò ad avvitarsi in un declino che si sarebbe accentuato nei decenni successivi, fino all’attuale punto di totale prostrazione, che pare destinato a non conoscere redenzione. Muhammad Ali aveva riconquistato il titolo per la terza volta contro Leon Spinks, anche grazie alla benevolenza dei giudici, e nel 1978 annunciò di volersi ritirare – non sarebbe più stato il campione dei pesi massimi, anche se due ulteriori e penose esibizioni contro Trevor Berbick e Larry Holmes, suo vecchio sparring-partner e nuovo detentore della corona dei massimi, avrebbero drammaticamente minato la sua salute e con ogni probabilità predisposto le condizioni perché il suo corpo fosse attaccato dal Parkinson. Nell’altra categoria che storicamente ha sempre attirato l’attenzione della stampa e acceso la fantasia dei fan, quella dei pesi medi, dopo la conclusione del regno di Carlos Monzon, si erano avvicendate al vertice figure di secondo livello, incapaci di coniugare il talento pugilistico al cuore e all’emozione. Fra questi, figuravano l’argentino Hugo Corro e anche l’italo-americano Vito Antuofermo, succeduto proprio al sudamericano, e l’inglese Alan Minter, che spodestò l’azzurro del New Jersey.

Nonostante pugni come questo, i giudici decretarono il pareggio nel primo incontro fra Antuofermo e Hagler

Nonostante pugni come questo, i giudici decretarono il pareggio nel primo incontro fra Antuofermo e Hagler

Poi, arrivò Marvin Hagler, presto ribattezzato The Marvelous, che mise ordine e dette un padrone a uno stuolo di pretendenti senza il tocco della grazia. Gli ci vollero però ben sei anni per guadagnarsi la chance per il titolo: era nero, era mancino ed era forte, e pur figurando in cima alla lista degli aspiranti, senza un promoter di primo piano, faticava a trovare avversari di alto profilo. Quando finalmente fu ammesso a un combattimento per la cintura iridata, dominò e perfino scherzò Antuofermo, ma i giudici furono impressionati dall’indomita resistenza del campione e lo premiarono oltremisura con un pareggio. Infine, dopo sette anni e oltre cinquanta incontri, Hagler si impossessò del titolo a 26 anni, demolendo Minter a Londra nel settembre 1980. Uscì dal ring scortato dalla polizia dopo che il clima era stato incendiato da dichiarazioni razziste dell’inglese.

Hagler, Hearns, Leonard e Duran, i fantastici quattro della boxe degli anni '80

Hagler, Hearns, Leonard e Duran, i fantastici quattro della boxe degli anni '80

Ebbe allora inizio l’ultima età dell’oro della boxe, poiché Hagler fu presto affiancato da altri tre grandi, Roberto Duran, Thomas Hearns e Ray Sugar Leonard. I quattro si sarebbero sfidati nove volte nel decennio, estraendo il meglio da se stessi e dai rivali e dando vita a epiche battaglie che accumularono borse in denaro senza precedenti. Hagler sconfisse i primi dopo match memorabili, venendo alla fine detronizzato dalla reincarnazione di Ray Sugar Robinson, anche in questo caso dopo un verdetto che The Marvelous contestò aspramente, dichiarando di aver pagato nell’occasione la scarsa stima che il sistema dei media gli aveva sempre riservato: «Non avete mai riconosciuto il pieno valore di quello che ho fatto. Quando divenni campione dei medi, affermai che avrei combattuto contro ogni sfidante di alto livello. Così ho fatto, e li ho battuti tutti», si lamentò, rinfocolando la polemica con i giornalisti e gli osservatori. Con loro non aveva mai legato, fin da quando appena diciannovenne, nella sua città di Boston, aveva partecipato a una riunione dilettantistica che includeva futuri olimpionici e campioni del mondo come lo stesso Leonard, Aaron Pryor e i due fratelli Spinks. Il giovane apprendista metalmeccanico fu la stella della settimana, ma finì sui giornali con il nome di Nagler. Nel 1982, già dominatore assoluto dei medi e stufo che i cronisti non gli si rivolgessero con il soprannome di “meraviglioso”, cambiò legalmente il nome in Marvelous Marvin Hagler.

Uno dei test più duri che Hagler dovette superare e che tuttavia fu l’inizio della sua fine fu quello contro John the Beast Mugabi, tenutosi al Ceasars Palace di Las Vegas il 10 marzo di trent’anni fa. Fu uno dei combattimenti più spettacolari e violenti della storia del pugilato, che consacrò Hagler come uno dei più grandi di sempre. Originariamente calendarizzato per il 14 novembre precedente, fu rimandato dopo la frattura del setto nasale procurata al campione da un’involontaria testata di Zachary Hewitt, durante un allenamento.

Quanto all’ugandese Mugabi aveva conquistato l’argento ai Giochi di Mosca del 1980 ed era ancora invitto dopo 26 incontri, tutti vinti per KO. Non ci si aspettava dunque che fosse preparato per un lungo match, che molti ritenevano in ogni caso improbabile date le caratteristiche di picchiatori di entrambi i boxeur.

Frequenti scrosci di pioggia abbassarono la temperatura nel deserto del Nevada e costrinsero anche i vip delle prime file a entrare nell’arena con poco eleganti impermeabili d’incerato. Con un’insolita temperatura di poco più di 10°C, i pugili iniziarono a colpirsi con rara violenza e Hagler prese un leggero vantaggio, subendo però colpi terribili da un avversario sorprendentemente in grado di incassare e contrattaccare. Come si vede nelle immagini dell’eccitata telecronaca di Rino Tommasi, tutto sembrò finire al sesto round, allorché Mugabi fu investito da una gragnuola di fendenti potenti e precisi. Sul punto di cedere, barcollante sulle corde, trovò insperate energie in qualche remoto anfratto del suo animo e fu addirittura capace di rispondere con forza. Alla pausa crollò sullo sgabello, lamentando una frattura al pollice destro, ma respinse il consiglio di lasciare e prese a colpire alla figura per smorzare il dolore alla mano. Alla settima e alla decima ripresa, ampie porzioni del pubblico presero a incitare l’ugandese, ammirate da tanto coraggio e orgoglio. All’undicesima l’occhio destro di Hagler era virtualmente chiuso, ma lo sfidante era stremato e sopportava ficcanti jab di inaudita pesantezza. Una combinazione di quattro pugni, chiusa da una coppia di ganci destri, mise fine al combattimento: Mugabi franò sulle corde, cadde riverso sul tappeto e mentre veniva contato fino a dieci tutto quello che riuscì a fare fu di mettersi seduto. Dopo quell'atterramento, non sarebbe più tornato agli stessi livelli.

Il trionfo di Hagler, la sua dodicesima difesa consecutiva della corona mondiale, non oscurarono la comparsa di alcuni segni di decadenza. L’inevitabile logorio fisico ne aveva rallentato il movimento di gambe e l’agilità delle braccia; anche il tronco era divenuto meno flessibile, offrendo un bersaglio più facile da centrare. E lo stile era cambiato: il letale connubio di forza, scioltezza e velocità aveva lasciato il posto a un incedere più legnoso, solo in parte compensato dall’intatta potenza del pugno. Fra gli spettatori a bordo ring, questa involuzione non sfuggì a Sugar Leonard, che prese a considerare il suo ritorno dal ritiro.

Dopo il combattimento, Hagler espresse neanche velatamente propositi di abbandono, condivisi dal suo manager Bob Arum. Pochi giorni dopo, tuttavia, incontrò Leonard durante l’inaugurazione di un ristorante di un amico comune. I due si appartarono e parlarono. Alla fine, Leonard seppe di aver preso all’amo il suo uomo: Hagler accantonò i propositi di smettere e accettò il guanto di sfida di Leonard.

Il Ceasars Palace fu teatro anche del match Hagler-Leonard

Il Ceasars Palace fu teatro anche del match Hagler-Leonard

Si sarebbero incontrati il 4 aprile dell’anno successivo e, con una risicata vittoria ai punti, Sugar avrebbe pensionato The Marvelous.

Paolo Bruschi