Muhammad Ali, morto ma non dimenticato

"Il più grande" se n'è andato, ma il suo lascito è più vivo che mai


Poiché questo blog cerca di abitare il frastagliato confine che separa e unisce lo sport e la storia, sono stati diversi i post dedicati a Muhammad Ali, mancato ieri a Phoenix all'età di 74 anni dopo una lunga battaglia contro il morbo di Parkinson. Perciò si rimanda a quelli per alcuni dei passaggi più significativi della carriera del pugile più famoso del mondo: dalla sorprendente vittoria contro il temibile Sonny Liston, al sensazionale incontro con i Beatles; dal celeberrimo Rumble in Jungle alla sanguinosa difesa del titolo contro l'arci-rivale Joe Frazier nel 1975.

Il presidente Barack Obama, per ovvi motivi più in grado di altri di apprezzare il ruolo giocato da Ali nelle vicende del secolo breve, lo ha sinteticamente omaggiato rendendogli il merito di aver cambiato e reso migliore il mondo nel quale viviamo. Per questo, vale la pena di ricordare le parole che l'allora 23enne campione pronunciò all'atto della renitenza alla leva e del conseguente rifiuto di andare a combattere in Vietnam, senza dubbio la sua affermazione politica di maggior rilievo: «Perché mai dovrebbero chiedermi di mettermi una divisa e andare quindicimila chilometri lontano da casa a sparare bombe e proiettili sulla gente di colore del Vietnam, mentre i cosiddetti "negri" di Louisville vengono trattati come cani? No, non andrò quindicimila chilometri lontano da casa ad aiutare a uccidere e bruciare un altro povero paese, al solo scopo di perpetuare la dominazione degli schiavisti bianchi sulle persone di colore. Questo è il giorno in cui simili mali devono avere una fine. Sono stato avvertito che prendere una tale posizione metterebbe a repentaglio il mio prestigio e mi farebbe perdere milioni di dollari, ma l'ho detto una volta e lo dirò ancora: il vero nemico del mio popolo è proprio qui. Non disonorerò la mia religione, la mia gente o me stesso diventando lo strumento per schiavizzare quelli che combattono per la giustizia, la libertà e l'uguaglianza. Se andare in guerra significasse portare libertà e uguaglianza a 22 milioni di persone del mio popolo, non ci sarebbe bisogno di coscrivermi, partirei domani. Ma io devo obbedire o alle leggi della terra o alle leggi di Allah. Non ho niente da perdere opponendomi e seguendo le mie convinzioni. Siamo stati in prigione per quattrocento anni».

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