Stan Cullis, l'uomo che non si coprì di vergogna

Il 14 maggio 1938, l'Inghilterra rese visita alla Germania nazista allo stadio Olimpico di Berlino e i giocatori rivolsero alle tribune il lugubre saluto nazista. Tutti, eccetto il giovane centromediano che era nato il 25 ottobre 1916


Il 30 settembre 1938, il premier britannico Neville Chamberlain si concesse un bagno di folla all’aeroporto londinese di Heston, sventolando con soddisfazione il testo di un patto appena siglato con Adolf Hitler. Chamberlain era di ritorno dalla conferenza di Monaco, al termine della quale, con la mediazione di Benito Mussolini e del francese Édouard Daladier, aveva acconsentito all’occupazione dei Sudeti da parte delle truppe tedesche, di fatto ponendo la Cecoslovacchia sotto il protettorato tedesco: «Noi consideriamo l’accordo firmato ieri il segno del desiderio dei nostri due popoli di non andare più in guerra l’uno contro l’altro», dichiarò orgogliosamente.

Chamberlain mostra alla folla l'accordo siglato con Hitler

Gli esiti della conferenza di Monaco furono l’apice della politica dell’appeasement, che intendeva contenere l’aggressività tedesca attraverso concessioni e accomodamenti di vari gradi e natura. Fra i pochi a dissentire clamorosamente dall’ottimismo ostentato da Chamberlain, vi fu Winston Churchill, che commentò lapidariamente: «La Gran Bretagna poteva scegliere fra il disonore e la guerra. Ha scelto il disonore e avrà la guerra».

Pochi mesi prima, anche lo sport conobbe la massima dimostrazione dell’estesa applicazione dei principi dell’appeasement, quando la nazionale inglese, all’epoca rinserrata in un arrogante e altero isolamento calcistico, tanto da non partecipare ai neonati Campionati del mondo organizzati dalla FIFA, accettò di disputare una partita amichevole a Berlino contro la Germania. La Germania si era appena rinforzata in virtù degli effetti dell’anschluss, l’annessione dell’Austria ottenuta dai nazisti due mesi prima della gara – l’Austria era all’epoca una delle nazionali europee più forti, autorevole esponente del redditizio e spettacolare “calcio danubiano”, che privilegiava un sistema di gioco fondato sul controllo di palla e su una fitta e insistita rete di passaggi. La scomparsa dell’Austria liberò un posto per gli imminenti Mondiali che si sarebbero disputati in Francia e la FIFA offrì proprio all’Inghilterra la possibilità di occuparlo. La Football Association (FA) declinò l’invito, ma prima della partita di Berlino chiese che nessun calciatore austriaco scendesse in campo con la maglia tedesca. I governanti nazisti accettarono (anche se l’ex giocatore austriaco Hans Pesser fu alfine schierato e segnò pure un gol), poiché consideravano l’incontro una meravigliosa occasione di propaganda politica e, per prepararlo al meglio, spedirono la squadra in ritiro per due settimane nella Foresta Nera.

In vista del match, in programma il 14 maggio 1938, su pressante raccomandazione dell’ambasciatore inglese a Berlino, Sir Neville Henderson, presidente della FA, e il suo segretario Stanley Rous, che avrebbe presieduto la FIFA dal 1961 al 1974, istruirono i giocatori inglesi affinché si unissero agli avversari nel celebre e già lugubre saluto nazista, di fronte a Hermann Göring, Joseph Goebbels, Rudolf Hess e Joachim von Ribbentrop, tutti schierati in tribuna. La fotografia che ritrae l’episodio rappresenta ancora oggi il nadir della storia sportiva britannica. Stanley Matthews, che quel giorno guidò il centrocampo dei sudditi di Sua Maestà, che avrebbe giocato fino a 50 anni e che fu insignito del primo Pallone d’oro della storia, quale sorta di riconoscimento alla carriera, scrisse nella sua biografia: «Il giorno seguente, la fotografia della squadra inglese nell’atto di fare il saluto nazista apparve sui giornali di tutto il mondo, diventando eterno motivo di vergogna per ogni giocatore e per tutta l’Inghilterra».

In maglia bianca, i giocatori inglesi alzano il braccio nel saluto nazista

In maglia bianca, i giocatori inglesi alzano il braccio nel saluto nazista

Disgraziatamente, come documenta con accuratezza Simon Kuper (“Ajax, la squadra del ghetto”, Isbn Edizioni, 2005), la ricostruzione di Matthews soffre della malattia del “senno di poi”, ossia è stata inventata quasi di sana pianta dopo la fine della guerra, quando si sapeva bene che i nazisti erano come il diavolo incarnato, avendo gassato milioni di ebrei, messo a ferro e fuoco mezza Europa e commesso inenarrabili atrocità contro i civili e i resistenti in tutti i territori occupati. La versione recitava il classico copione: i giocatori inglesi erano contrari al saluto ma furono costretti, dai dirigenti e dagli eventi, poiché si apprestavano a giocare in un ambiente ostile, in una sorta di fossa dei leoni, di fronte a un pubblico invasato e astioso e contro dei mostri ariani arroganti e sicuri della vittoria. In realtà, come sempre per le amichevoli internazionali negli anni ’30, il fair play era parte integrante della vicenda e le squadre si scambiarono prima, durante e dopo la gara attestati di stima e rispetto reciproci. Analogamente, il pubblico si comportò entusiasticamente e cavallerescamente anche di fronte alla disfatta dei padroni di casa, che furono seppelliti sotto un umiliante 6-3, peraltro festeggiato dalla folla come evidente e inequivocabile manifestazione di superiorità dei maestri inglesi, da cui c’era solo da imparare. La rievocazione di Matthews è mendace anche perché accomuna indistintamente tutti i giocatori inglesi sotto il medesimo sentimento di imbarazzo.

La statua dedicata a Cullis, allo stadio dei Wolves

La statua dedicata a Cullis, allo stadio dei Wolves

Invece, Stan Cullis, all’epoca ventiduenne centromediano dei Wolverhampton Wanderers, si oppose all’incalzante invito della FA e si dichiarò indisponibile a fare il saluto nazista. Fu pertanto lasciato fuori dall’undici titolare e vide dalla panchina i compagni coprirsi d’infamia. Cullis è oggi celebrato come esempio di suprema integrità e rettitudine, non solo per l’episodio di Berlino nel fatidico 1938, ma anche per la sua cristallina carriera di calciatore e poi di allenatore, sempre dei Wanderers, che guidò dal 1948 al 1964, conquistando per due volte la Coppa d’Inghilterra e in tre occasioni il campionato. Nel 1954, il Wolverhampton risarcì l’orgoglio ferito del calcio albionico. Dopo la duplice sconfitta patita dalla nazionale dei Tre Leoni per opera dei “meravigliosi magiari”, per 3-6 a Wembley e per 1-7 a Budapest nella rivincita, la squadra diretta da Cullis superò la Honvéd di Budapest in amichevole nel 1954 e prontamente si dichiarò “campione del mondo”. Quella partita, e le speculazioni che la seguirono intorno alla forza dei diversi movimenti calcistici continentali, è a ragione collocata all’origine del processo che condusse alla nascita della Coppa dei Campioni per club nel 1956.

Stan Cullis nacque esattamente 100 anni fa, il 25 ottobre 1916, ed è mancato il 28 febbraio 2001.

Paolo Bruschi