UPMC, la concussione cerebrale nello sport: a Chianciano gli esperti internazionali a confronto

In Europa si contano ogni anno circa 1.700.000 traumi alla testa; oltre 130 mila in Italia (di cui oltre 90mila con conseguenze).
Negli Stati Uniti ogni anno si stimano in un anno circa 300.000 casi di questo tipo correlati soprattutto alla pratica sportiva (Boxe, Rugby, Calcio, Karate Kick Boxing) una cifra che secondo gli studiosi sarebbe ampiamente sottostimata.

È un tema molto rilevante in questo momento nel settore sport (sia agonistico che amatoriale) e anche in incidenti domestici, auto e moto. La medicina dello sport a livello internazionale è alla ricerca di un approccio diagnostico affidabile sia per effettuare la diagnosi della concussione, sia per determinare il pieno recupero della funzionalità cerebrale per un ritorno privo di rischi all’attività sportiva.

I maggiori esperti del settore, dunque, si sono riuniti a riuniti oggi a Chianciano nel corso del primo workshop internazionale organizzato da UPMC sulla “Concussione cerebrale” per fornire a medici, specialisti e personale sanitario gli strumenti necessari per identificare e diagnosticare correttamente la concussione cerebrale e indirizzare il paziente presso un centro appropriato per il trattamento.

“La concussione cerebrale è un argomento molto discusso. La medicina dello sport a livello internazionale è alla ricerca di un approccio diagnostico affidabile sia per effettuare la diagnosi della concussione, sia per determinare il pieno recupero della funzionalità cerebrale per un ritorno privo di rischi all’attività sportiva – spiega Chuck Bogosta vice presidente esecutivo UPMC e presidente UPMC International- per questo motivo UPMC, tramite la divisone di medicina dello sport ha sviluppato un programma ad hoc su questa patologia (UPMC Sports Medicine Concussion Program), con trattamenti personalizzati in base alle esigenze specifiche e agli obiettivi di recupero per ciascun paziente”.

“Qualsiasi tipo di concussione cerebrale - spiega Giovanni Vizzini direttore attività cliniche UPMC Italy, professore di medicina Università di Pittsburgh - può rappresentare un problema medico molto serio tale da richiedere un’assistenza immediata da parte di un professionista sanitario, adeguatamente formato nella gestione delle concussioni cerebrali. Per evitare il ripetersi delle lesioni è fondamentale gestire la concussione fino al completo recupero”.

“Vi sono diversi tipi di concussione cerebrale distinti per gravità- sottolinea Roberto Vagnozzi, professore associato di neurochirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma - i cui effetti possono essere poco significativi o, nelle situazioni più severe, giungere fino al pericolo di vita. Generalmente la concussione si presenta sotto 2 forme: semplice o complessa. Nel primo caso la commozione si risolve nel 70-80% dei casi con un periodo di riposo – afferma Vagnozzi -. La seconda è caratterizzata dalla perdita di coscienza, e/o presenza di specifiche complicanze, e/o deficit cognitivo prolungato per più di 7-10 giorni, e persistenza di sintomi post-concussivi”.

“La gestione del trauma cranico concussivo negli atleti dovrà quindi prevedere una valutazione medico-specialistica attenta sia nell’immediato che a distanza di giorni dall’accaduto, che preveda sia indagini cliniche che strumentali multidisciplinari. La risposta di vista ed esami deve essere alla base della decisione di una ripresa piena dell’attività agonistica per non far correre rischi allo sportivo. I sintomi caratteristici della concussione, oltre un breve transitorio deterioramento neurologico a risoluzione spontanea, possono essere diversi: perdita di coscienza, cefalea, nausea/vomito, visione annebbiata, problemi di equilibrio, problemi di concentrazione e attenzione, amnesia. A questi si aggiungono una serie di segni visibili: stordimento, sguardo assente, confusione, perdita di coscienza, cambiamenti umorali, stato di confusione.

“Tutti coloro che sono coinvolti in sport di contatto (medici, tecnici, preparatori atletici) devono sempre tenere presente il rischio di una concussione cerebrale ed impegnarsi nel prevenirla.- aggiunge Giuseppe Lazzarino professore di biochimica (Università di Catania dipartimento di scienze biomediche e biotecnologiche)- bisogna sempre tener presente che la complicanza più grave di un trauma cranico lieve è il non riconoscerlo. Nel dubbio ricordarsi sempre che è meglio perdere un incontro che pregiudicare una stagione.”

L’esigenza è quella di ricorrere ad indagini che forniscano dati oggettivi per determinare quando si è guariti da una concussione ha fatto sì che fossero introdotti test neurocognitivi sia cartacei sia computerizzati.

“Attualmente tali test sono molto utilizzati, soprattutto negli Stati Uniti - aggiunge Simone Marziali dirigente medico del dipartimento di diagnostica per immagini Fondazione Policlinico Tor Vergata Roma, Università degli studi di Roma Tor Vergata(dipartimento biomedicina e prevenzione) - per determinare i tempi di ritorno all’attività degli atleti traumatizzati. Si è visto che in un atleta in cui la scomparsa soggettiva dei sintomi avviene in 4 giorni la normalizzazione dei test neuropsicologici avviene in una settimana. Più di recente sono state introdotte anche prove computerizzate per la valutazione dell’equilibrio”.

Ma come si fa a poter definire il grado di compromissione metabolica e lo stato dei processi di riparazione cellulare?
“la concussione- prosegue Michael Collins direttore esecutivo programma concussione cerebrale medicina dello sport UPMC - è di solito associata alla negatività degli esami tradizionali di neuroimmagine. Siamo quindi consapevoli di trovarci di fronte ad un tipo di danno biochimicamente ben definito, ma visibile solo grazie all’individuazione tramite test neuropsicologici per misurare la funzione cognitiva che possono essere effettuati da giorni o settimane dopo l'evento traumatico o in tempi diversi per dimostrare il decorso. Noi di UPMC abbiamo elaborato un approccio multiplo attraverso uno screening completo neurocognitivo dove poter accertare l’esistenza o meno della concussione cerebrale”.

La decisione del ritorno in campo degli atleti deve essere basata su più metodi e aprocci: sicuramente valutare il loro quadro clinico, eseguire test neuropsicologici, sottoporli a risonanza magnetica spettroscopica, provare anche il test dell’equilibrio; tutti questi ci guideranno poi a far tornare in campo senza rischi per l’atleta atleta.

“I numeri della concussione cerebrale sono notevoli negli stati Uniti- aggiunge Anthony Kontos, direttore della ricerca sulla concussione cerebrale medicina dello sport di UPMC- si segnalano 3,8 milioni di casi ogni anno; con un impatto economico annuale di 17 miliardi di dollari. La diagnosi precoce ed il rapido inquadramento sono alla base di una buona gestione della concussione e sono essenziali per decidere se l’atleta è in grado di proseguire la gara. Recenti studi hanno mostrato come la concussione diagnosticata precocemente e su atleti giovani (10-19 anni) gli atleti possono proseguire la propria attività sportiva senza ripercussioni”

Fonte: Terme di Chianciano - Ufficio Stampa

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