La Città delle Pievi, dalla nascita statutaria del Comprensorio al trasferimento delle concerie

thumbnail_26. Santa Croce. Associazione conciatori

In parallelo con l’aumento del peso economico di tutta la zona, negli anni 1970-1972, - erano gli anni dello shock petrolifero - si ebbe la nascita statutaria del Comprensorio del Cuoio e delle Calzature che comprendeva comuni sulla riva destra e sinistra dell’Arno fra i quali Santa Maria a Monte, Castelfranco di Sotto, Santa Croce, Fucecchio, San Miniato e Montopoli.

Allora un fattore trainante fu il forte incremento dell’industria della scarpa cui si accompagnò un notevole sviluppo delle meccaniche e anche un fiorire di botteghe, negozi, imprenditoria commerciale di vario tipo, soprattutto lavorazioni per conto terzi. Certo non fu un quadretto idilliaco: gli sbalzi valutari incenerivano sacrifici di anni o creavano fortune senza merito. La competizione mondiale si faceva sentire, le speculazioni non mancavano sul mercato delle materie prime, lo sviluppo urbanistico proseguiva in maniera caotica sorvolando sulle buone intenzioni e i proclami dei vari amministratori. I motivi di crisi, crisi relativa, in effetti si trattava di minori guadagni, derivavano dalla concorrenza di paesi come l’India e il Pakistan, dalla caduta della domanda, dalla forte inflazione, dalle colpe “immense” delle banche.

Per questi e altri motivi legati alla depurazione delle acque, al trasferimento delle concerie dalle aree urbane, alla necessità di interloquire con i soggetti politici, anche a Santa Croce sorse nel 1976 una struttura associativa che si chiamò Associazione Conciatori. Il 1976 fu un anno di grandi profitti per le concerie. Profitti dovuti ad innovazioni tecnologiche anche semplici: si pensi a ciò che significò un’innovazione trasportata da Igualada in Spagna: nuovo modo di asciugo dalle ottocentesche forchette in legno, ai ganci mobili. Fu una delle innovazioni che permetteranno definitivamente l’abbandono della casa concia di concezione ottocentesca, col bottale interrato, le fosse degli ammolli, le piccole finestre a mezzaluna, le pelli nel cortile di casa. La conceria si avviava a diventare un luogo arioso, lontano dall’abitazione, in apposite zone destinate alle industrie. Fu un distacco anche troppo repentino, traumatico, e che si tenterà di ricucire in altra forma, con nuovi metodi, dalla fine del secondo, all’inizio del terzo Millennio. Ci sarà come vedremo, per fra molti problemi, un ritorno alla tradizione, un’ associazione fra natura e prodotto, produzione e ambiente.

In quegli anni, intanto, nell’emiciclo della “Bourse de Commerce” a Parigi si parlava italiano o meglio “pontegolese” e “santacrocese”. Seguirono nel 1978 una Mostra a Bologna sotto lo stand “Consorzio Conciatori” e, nel 1979, la campionaria milanese. In quello stesso anno, sul finire di quegli anni Settanta, anni di piombo e di lutti in tutta Italia, il Consorzio conciatori appaltò il 1° lotto di quella che sarà la Cuoio depur: una realizzazione decisiva nella depurazione delle acque dei processi conciari. Naturalmente esistevano concrete ragioni di fondo ai timori e alle paure per l’inquinamento e delle acque e dell’aria: morie di pesci, lezzi pestilenziali, malesseri per i fumi acri. Su questi temi, accanto a contributi responsabili anche severi, si accompagnavano interventi che fecero assai discutere come quello di Sergio Saviane sull’ Espresso del luglio 1978 che, con un titolo ad effetto: L’inferno Cromo, definì gratuitamente il Comprensorio del cuoio e delle calzature la zona più inquinata d’Italia.

Sul finire degli anni settanta, nacquero missioni commerciali in Europa e nelle due Americhe. I sapienti del Censis spiegavano che nel 1979 “si iniziò il passaggio da una fase, basata sullo spontaneismo individualistico e sullo sfruttamento incondizionato delle risorse, ad una di razionalizzazione del processo produttivo e di risanamento dell’ambiente”.

Il 25 luglio dello stesso anno 1979 un avvenimento scatenò gli umori della gente: non fu convertito in legge il decreto, emanato dal dimissionario governo Andreotti, con il quale si prorogavano al 13 dicembre i termini per l’entrata in vigore della legge Merli 319. Nel settembre, a concerie chiuse, si giunse a bloccare il traffico a Ponte a Egola. Fiorirono dibattiti e il Comprensorio del cuoio divenne il capro espiatorio del dissesto ambientale anche se da Firenze, a Prato, a Carmignano, tutti sversavano tranquillamente in Arno.

Verso la metà degli anni Ottanta, anni di edonismo, del riflusso nel privato, della febbre del sabato sera, come fu detto da un certo giornalismo che diventava sempre più attento al borotalco e al gossip, "Pelle e cuoio si trovarono lentamente ma strettamente legati a questo sistema, avendo come destinazioni finali le calzature, la pelletteria, l'abbigliamento e gli accessori. Gli stilisti s'imposero sul mercato, trasformarono le marche in griffe e i loro nomi in autentici status symbol, fecero delle loro scelte indicazioni precise per consumatori. Guardando alle attività produttive, si è assistito, sempre in quel decennio, ad una notevole concentrazione dell’attività conciaria. Fu fondato dai Gruppi C.M.C. e G.B., il primo Consorzio Export del Cuoio. Si sentì anche l’esigenza, con la costituzione del Consorzio Vero Cuoio Italiano nel 1985, di valorizzare il cuoio di produzione italiana rafforzando le attività promozionali esistenti e diffondendo il marchio.

Alla fine degli anni Ottanta i problemi ambientali: depurazione delle acque, effetti collaterali come fanghi di resulta e discariche, interagirono aggravando la stagnazione del comparto conciario che risentiva anche della crisi strutturale del calzaturiero, difficoltà di approvvigionamento delle materie prime e concorrenza dei paesi in via di sviluppo. Per affrontare la vasta problematica dello smaltimento dei rifiuti industriali e la loro destinazione, il 22 giugno 1988 fu costituito il C.I.S. S.p.A. Consorzio Impianti di Smaltimento, primo presidente Sergio Cerrini. A quest’organismo composto per il 60% da rappresentanti delle associazioni degli imprenditori e per il 40% da rappresentanti dei comuni del Comprensorio venne affidato il compito della progettazione e della gestione delle discariche di Casa Carraia. Non fu un compito facile perché il primo modulo di Casa Carraia trovò una "opposizione durissima della gente e degli ambientalisti".

Nel 1988 fecero irruzione nella vita consortile nuove forze giovani. Il Gruppo Giovani Imprenditori di Ponte a Egola: Giuseppe Volpi, Simone Remi, Michele Matteoli, Massimiliano Senesi, Marco Nigi, Andrea Ghizzani che diventerà presidente del Consorzio Vera Pelle Italiana Conciata al Vegetale, impresse un dinamismo e coltivò un nuovo menagement ricco di energie che non tardò a dare i suoi frutti”.

Tuttavia fu un periodo diffricile che mise a prova la capacità diplomatica dei dirigenti del Consorzio Conciatori di Ponte a Egola e dell’Assoconciatori di Santa Croce. Si parlò di Stato di crisi del settore. I partiti della zona furono attraversati dal riaccendersi dei dibattiti sullo “Sviluppo zero” e del “Produrre senza inquinare” che avevano segnato la fine degli anni settanta. Ombre cupe aleggiavano sull’avvenire della conceria ma prevalsero la creatività e il felice connubio con la moda. La pelle e il cuoio rappresentarono già da allora un volano formidabile. Dall’ amministrazione comunale di San Miniato fu dato il via al programma di trasferimento delle concerie dal centro urbano di Ponte a Egola entro il 30 giugno 1992 - come fu dichiarato a mezzo stampa - doveva essere presentato dal Consorzio Conciatori un Piano di Lottizzazione”.

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Valerio Vallini

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