Come finì la "Primavera di Praga"

Annunciato da un aspro confronto di hockey fra Cecoslovacchia e Urss, l'esperimento riformista di Alexander Dubček si chiuse dopo le manifestazioni seguite a una sfida sul ghiaccio fra le due nazionali


Cinquant'anni fa, in questi giorni, la crisi originatasi dalla “Primavera di Praga” non era ancora finita. L'afflato riformista di Alexander Dubček, da poco segretario del Partito comunista cecoslovacco (PCC), aveva generato nel paese fondate speranze di democratizzazione, che furono però spente dall'invasione dei carri armati sovietici e del Patto di Varsavia il 21 agosto 1968.
I riformisti dovettero piegarsi ai diktat dell'Urss, ma l'ampio sostegno popolare li salvò da una dura punizione e Mosca ritenne di lasciare Dubček al suo posto, pur circoscrivendone il potere in attesa di dargli il benservito. L'occasione per giubilarlo fu infine offerta dal doppio confronto del marzo 1969 fra Cecoslovacchia e Urss ai Mondiali di hockey su ghiaccio di Stoccolma.

Cittadini cecoslovacchi circondano i carri armati sovietici dopo l'invasione del 21 agosto 1968

Cittadini cecoslovacchi circondano i carri armati sovietici dopo l'invasione del 21 agosto 1968

L'hockey è lo sport più amato in Boemia e a Praga può capitare ai turisti di bere una birra al bar “Nagano 98”, così chiamato per ricordare l'unico oro olimpico conquistato dalla Repubblica Ceca nella città giapponese. La passione per la mazza e il disco si diffuse a Praga e dintorni quando ancora il paese faceva parte dell'Impero austro-ungarico. La Federazione nazionale nacque nel 1908 e una rappresentativa ceca prese parte ai primi campionati europei, vincendoli nel 1911, 1912 e 1914, mentre la selezione dello Stato appena costituito conseguì il bronzo alle Olimpiadi del 1920. La popolarità dell'hockey su ghiaccio era seconda solo al calcio, per quanto i fanatici praticanti dovessero arrangiarsi in un contesto in cui le superfici di gioco gelavano solo per poche settimane all'anno. All'inizio degli anni '30, nella capitale fu costruito il primo palasport con ghiaccio artificiale e la nazionale continuò a coprirsi di gloria nel periodo precedente la Seconda guerra mondiale.

Dopo la guerra, il gioco avvinse anche i sovietici, che si rivolsero ai nuovi alleati per apprenderne i segreti. I cecoslovacchi furono onorati dalla richiesta: nutrivano una sincera ammirazione per il paese dei Soviet, cui erano grati per la recente liberazione dal giogo nazista, e le simpatie comuniste erano assai diffuse, come aveva dimostrato il 38% di suffragi ottenuti dal PCC alle consultazioni generali del 1946, la più alta percentuale mai conseguita da un qualunque partito comunista in elezioni libere.

La sincera stima per la superpotenza sovietica ebbe tuttavia vita breve, principalmente per fattori politici, ma anche lo sport giocò un ruolo preminente nella caduta di popolarità del Cremlino.
Il “colpo di Praga” del febbraio 1948, ossia la formazione di un governo sotto il controllo assoluto del PCC e la morte del ministro socialista Jan Masaryk, “precipitato” da una finestra del suo ufficio, gettarono un'ombra lugubre sulle relazioni fra i due paesi e il malcontento cecoslovacco trovò una valvola di sfogo nei palaghiaccio. Nel 1949, la Cecoslovacchia si laureò campione del mondo, ma l'anno seguente non poté difendere il titolo nell'edizione in programma in Gran Bretagna. Il virtuoso tennista Jaroslav Drobný, che avrebbe conquistato la corona di Wimbledon nel 1954, era appena fuggito all'estero e il regime comunista non poteva correre il rischio che gli osannati hockeysti chiedessero asilo politico in qualche ambasciata occidentale; con un futile pretesto, fu revocata la partecipazione alla kermesse iridata. I giocatori lo appresero durante una cena di gruppo, che si concluse con una rissa quando il ristorante fu visitato da alcuni agenti del servizio segreto: gran parte della squadra fu processata e condannata a lunghi anni di lavori forzati.

Nello stesso torno di tempo, gli allievi superarono i maestri e l'Urss affermò il suo dominio sull'hockey internazionale: fino al 1990, i sovietici avrebbero vinto 24 dei 30 maggiori tornei disputati. L'inverosimile adulazione e l'ostentata devozione con cui i giornali, asserviti ai vertici del PCC, elogiavano sperticatamente tutto quanto riguardava la Russia – incluse le frequenti affermazioni sportive, presentate come l'ovvia conseguenza di un modello sociale da importare pedissequamente -, concorsero in ultimo a mutare la spontanea russofilia popolare in un sentimento di ironico disprezzo e di malcelata superiorità culturale. I match con l'Unione Sovietica divennero sfide cariche di tensione, che andavano ben oltre la sfera agonistica e che rimestavano il coltello nella piaga del frustrato orgoglio patriottico.

Nel marzo 1967, la lacerazione della "Primavera di Praga" fu anticipata a Vienna dal solito confronto ai Mondiali di hockey. L'Urss superò la Cecoslovacchia per 4-2, conquistando la quinta iride consecutiva, ma il finale della partita fu oscurato dalla rissa che coinvolse molti giocatori, nonché dagli insulti dei tifosi cechi all'indirizzo dell'inno sovietico e dal rifiuto degli sconfitti di congratulare i vincitori secondo la prassi consolidata. Tali episodi, insieme alle notizie riguardanti i molti tifosi cecoslovacchi, polacchi e ungheresi che avevano chiesto asilo politico all'Austria, abbondantemente rilanciate dalla stampa occidentale come segni delle frizioni esistenti oltre la "Cortina di ferro", giunsero all'attenzione del politburo del PCC, che diramò preoccupate note riservate nelle quali si stigmatizzavano i tifosi che avevano urlato slogan anti-sovietici e deriso l'amicizia con il partito "fratello". A Mosca, l'allarme fu amplificato dalla lettura di Rudé právo, l'organo ufficiale del PCC, sul quale comparvero ricostruzioni che i Sovietici giudicarono non imparziali e non allineate alla prescritta "fraterna amicizia" fra i membri del blocco comunista.

Dubček con Leonid Brežnev, quando ancora godeva dei favori del segretario del PCUS

Dubček con Leonid Brežnev, quando ancora godeva dei favori del segretario del PCUS

Le difficoltà dell'economia, l'insofferenza generata dalla censura, le prime avvisaglie di un movimento di riforma dentro le alte sfere del PCC complicarono il quadro, suscitando opposti sentimenti di allarme e fiducia. Lo sport retrocesse sullo sfondo della lotta ingaggiata fra riformisti e conservatori: in principio prevalsero i primi, ma poi il cosiddetto "aiuto fraterno" represse duramente gli sforzi per dar vita al "socialismo dal volto umano". Dubček e gli altri innovatori cedettero alle pressioni degli ortodossi per non esporre la popolazione a un bagno di sangue, come quello che aveva soffocato la rivolta di Budapest del 1956. Gli spiriti di rivolta parvero scomparire, in realtà entrarono in uno stato di latenza e lo sport diventò il catalizzatore del malcontento popolare. Nel 1969, le superpotenze dell'hockey si ritrovarono a Stoccolma per l'annuale edizione dei Campionati del mondo. La Cecoslovacchia nutriva dopo 20 anni giustificate ambizioni di successo, che si moltiplicarono dopo la vittoria contro l'Urss del 21 marzo. Colta nell'anniversario dell'inizio dell'occupazione, la vittoria scatenò un'ondata di entusiasmo che prese inevitabili sfumature anti-comuniste ("Questo è il nostro 21, i russi hanno avuto il loro in agosto", fu scritto sui muri), ma ancora niente in confronto a quanto capitò dopo il 28 marzo, giorno della gara di ritorno, che tutta la Cecoslovacchia attese in un febbrile stato di eccitazione, frustrato nazionalismo e ansia di rivalsa. La sera dell'incontro, il 93% degli apparecchi televisivi si sintonizzarono sulla partita e i tifosi videro che i loro beniamini erano animati dalla stessa voglia di riscatto: con il nastro adesivo, molti di loro coprirono la stella rossa sulle divise, mentre il capitano Jozef Golonka puntò il proprio bastone contro gli avversari a mo' di fucile. I russi furono di nuovo battuti e tutta la Cecoslovacchia si riversò in strada in uno spontaneo moto di protesta collettiva. Piazza Venceslao, a Praga, fu l'epicentro dell'esplosione di festa e di rivolta: la distruzione e il saccheggio degli uffici dell'Aeroflot, la compagnia di bandiera sovietica, simboleggiò l'intensità della contestazione, per quanto l'assai ritardato intervento delle forze di polizia a protezione di un obiettivo così sensibile, abbia indotto diversi storici a ritenere che l'incidente fosse stato architettato a bella posta per fornire ai falchi la scusa per un ulteriore e definitivo giro di vite.

Il 1° aprile, Andrei Grechko, Ministro della Difesa dell'Urss, volò a Praga per un incontro con il collega cecoslovacco, cui spiegò che Mosca non avrebbe tollerato il ripetersi di simili incidenti, né avrebbe ritirato le truppe senza prima aver “stabilizzato” la situazione. Dubček fu accusato di irresolutezza e forzato a rassegnare le dimissioni in favore del più malleabile Gustáv Husák, che portò a compimento il processo di normalizzazione, rimanendo al potere per i successivi 20 anni.

Così come era stata annunciata da una partita di hockey, la “Primavera di Praga” andò in archivio in seguito a un'altra sfida su una pista di ghiaccio.

Paolo Bruschi