Europa: storia di un’idea

Quando uscirono i due volumi: Europa storia di un’idea, a cura del Prof. Carlo Curcio, docente di Storia delle dottrine politiche alla Cesare Alfieri dell’Università di Firenze, era il 1958. Da due anni era stata repressa nel sangue la rivolta del popolo ungherese dagli stati dell’allora impero sovietico. L’ungherese Francois Feito, parlava di una lotta di revisionisti contro dommatici; l’Europa occidentale accettò questa ferita con qualche sussulto e ripensamento circa la bontà del sistema sovietico; molti intellettuali uscirono dalle file del Partito Comunista per confluire in quello Socialista e nella Socialdemocrazia. L’Europa pareva allora rassegnata ad una divisione fra area d’influenza degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica. L’idea d’Europa era costretta, dallo strapotere delle maggiori potenze e dall’equilibrio del terrore: il quotidiano timore di un conflitto atomico, a restare latente, frustrata, delusa.

Rileggendo oggi, dopo il crollo dell’impero sovietico, la storica decisione dei trattati di Maastricht, la virtuale concretezza dell’Euro con la quale si negoziano titoli e altre operazioni di Borsa, alcuni passaggi di questo capillare lavoro di filosofia politica, ci si accorge come certe intuizioni furono esatte, alcune questioni pretestuose, altre idee filosofiche decisamente fuorvianti.

A.J. Toynbee, in quei primi anni ‘50 del secolo, dopo la seconda guerra mondiale, definiva l’Europa “Una passeggera curiosità storica” . Al suo posto era ormai l’America degli Stati Uniti.

L’idea della costruzione di una federazione di stati europei fu portata avanti e in quegli anni, da uomini liberal-cattolici come Adenauer in Germania, De Gasperi in Italia e Schuman in Austria, solo per citare i più famosi. Del famoso Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e Ernesto Rossi e Colorni, erano in pochi a parlare. Il dibattito verteva allora su una contrapposizione di civiltà. In un convegno a Venezia nel 1955, che proseguiva il Convegno di Roma nel 1954, si focalizzava l’attenzione degli studiosi e dei politici, su una nuova idea d’Europa: cristiana e antiutilitaristica. Si ricercava, dopo la tragedia di due guerre mondiali combattute in larga parte da europei contro europei sul suolo europeo e nel resto del mondo, una ridefinizione del concetto d’Europa, un ripartire da zero, alle proprie radici. Si cercava di uscire da quella “Waste Land” generata dalla Grande Guerra, dalle tragedie di Auschvitz e Dachau, dal putridume di civiltà e di concezioni politiche degenerate nel Nazismo e nello Stalinismo di cui menti ostinate e volutamente cieche negavano crimini altrettanto paurosi.

Si riprese un’idea d’Europa viva nel mito della piccola Grecia. Ci si attardò su interpretazioni romantiche, sui caratteri spirituali dell’Europa cari a M.me De Stael e poi a Napoleone espressi in una rivista si chiamò Europa. Erano visioni francocentriche o cristianocentriche. Era un’Europa a misura delle singole ideologie o dei singoli stati. Era un’ Europa occidentale e atlantica contrapposta al blocco orientale. Oggi che finalmente l’Europa si basa su un vasto mercato, su strumenti finanziari, si può misurare tutta la sua impotenza politica e morale. Questo gigante economico purtroppo un’anatra zoppa e invalida che non riesce neppure a far sì che trionfi una dottrina “Monroe” per l’Europa, a fare in modo che “L’Europa sia degli europei” non in senso imperialistico o di dominio di alcuni paesi sugli altri, ma nel senso di una autonoma e forte presenza in quest’area, del pianeta. Le tragedie dei Balcani: da Srebrenica a Vukovar, a Sarayevo al Kosovo, forse non si sarebbero avute in un Europa forte e libera e capace da sola di impedire genocidi e massacri di un popolo sull’altro. Ma così va il mondo. L’illusione, a parer mio, di fare a meno di una azione culturale profonda e capillare per costruire una confederazione di stati, genera la politica delle patate, dei piccoli tornaconti dove gli egoismi individuali dei singoli stati necessariamente trionfano. Infine, se queste nuove elezioni per il Parlamento d’Europa serviranno soltanto a consolidare il potere e il portafoglio delle solite lobbies politiche ed economiche, se il Parlamento Europeo non ridurrà le sovranità dei singoli stati, l’Europa continuerà a presentarsi poco più di una pura espressione geografica.

Valerio Vallini

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