Il calcio al di là del Muro

Il regime della Germania Est aveva sempre usato lo sport come strumento di prestigio all'estero, ma dopo il 9 novembre 1989 si comprese che del gioco del pallone aveva capito ben poco


Nell'autunno del 1957, la Coppa dei Campioni era al terzo anno di vita. Nei sedicesimi di finale, i campioni tedesco-orientali del Wismut Karl-Marx-Stadt furono sorteggiati contro l'Ajax. I lancieri non erano ancora lo squadrone che avrebbe sbaragliato ogni concorrenza appena qualche lustro dopo, ma una formazione semi-sconosciuta i cui giocatori solo da un paio di anni erano diventati professionisti e nel cui settore giovanile era appena arrivato il decenne Johan Cruijff, all'epoca conosciuto come il figlio della signora che puliva gli spogliatoi dello stadio. Quelli del Wismut se possibile vincevano per inesperienza, essendo la prima compagine del loro altrettanto recente paese a competere nel maggior torneo continentale per club. Al primo turno, i tedeschi avevano superato i polacchi del Gwardia Varsavia per sorteggio: le gare di andata e ritorno si erano concluse con risultati speculari e lo spareggio in corso a Berlino Est fu interrotto sull'1-1 per un corto circuito che spense i riflettori. Agli ufficiali UEFA non restò che affidarsi alla sorte e la monetina premiò la formazione della Germania Est. Al secondo turno, la prima partita oltre Cortina finì con un comodo successo degli ospiti per 3–1, cui il Wismut doveva render visita il 27 novembre. Per recarsi nella capitale olandese, i tedeschi viaggiarono in treno e poi in autobus, ma persero la coincidenza che doveva portarli nei Paesi Bassi e rimasero confinati in Germania Ovest, con pochi soldi in tasca. Per assicurare vitto e alloggio ai suoi giocatori nella città di Bentheim, l'allenatore Fritz Gödicke dovette impegnare il suo orologio, che bastò per un pasto frugale e qualche stanza di albergo, dove i giocatori dormirono tre per letto. Poco sorprendentemente, il giorno dopo persero anche il match di ritorno per 1–0. In un raro esempio di solidarietà fra "nemici" ideologici, mentre la Guerra fredda era in una fase di aspra recrudescenza, gli olandesi pagarono le spese della pensione e riscattarono l'orologio di Gödicke.

Il significativo aneddoto è raccontato da Alan McDougall in The People's Game. Football, State and Society in East Germany e restituisce meglio di molte analisi politiche, sociali, economiche o culturali uno spaccato dell'Europa della fine degli anni '50 e del paese, nonché del più generale sistema di potere che dominava l’Oriente europeo, che cominciarono a cessare di vivere il 9 novembre 1989. A far cadere il Muro non fu una pallonata, una schiacciata ben eseguita o un poderoso lancio di giavellotto, ma anche attraverso lo sport è possibile ripercorrere la parabola di uno degli esperimenti politici, istituzionali e sociali più singolari partoriti dalla dura contrapposizione fra Est e Ovest.

La Repubblica Democratica Tedesca (RDT), a oltre dieci anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, si dibatteva ancora in gravi ristrettezze economiche (basti dire, a titolo di esempio, che il razionamento sarebbe stato revocato solo nel 1958) e non di meno cercava affannosamente di accreditarsi come legittimo Stato sovrano, anche e soprattutto attraverso lo sport. Anzi, a dire il vero, il riconoscimento sportivo venne assai prima di quello politico, come dimostrato dal fatto che le adesioni alla FIFA (1952) e al CIO (1968) precedettero l’ingresso nell’ONU (1973). Insieme a molte altre nazioni del blocco comunista, i tedeschi orientali aderirono nel 1954 anche alla neo-costituita UEFA, che, a differenza di vari altri organismi sovranazionali rimasti circoscritti ai paesi dell’Europa Occidentale (più notabilmente la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che preluse al Trattato di Roma e alla creazione della Comunità Economica Europea del 1957), nacque come una federazione genuinamente pan-europea. Nel 1960, l’edizione inaugurale della Coppa Henry Delaunay, i primi Campionati europei di calcio per nazioni, schierò ai nastri di partenza le principali selezioni orientali, mentre Inghilterra, Italia e Germania Ovest si astennero dal partecipare, a causa del dichiarato affollamento del calendario internazionale (tesi che appare oggi poco meno che ridicola, di fronte alla parossistica proliferazione di partite dovuta all’incontrastata commercializzazione del gioco) e soprattutto indietreggiando di fronte al rischio di esacerbare il contrasto Est-Ovest o di riaprire ferite non ancora rimarginate a pochi anni dalla fine della guerra.

Mentre lo sport in generale aiutò la giovane e impopolare Germania Est a conseguire un grado accettabile di credibilità, il calcio spiegò nell’impresa i suoi effetti con un certo margine di ambiguità, sia all’interno che all’esterno. Se alla costante e qualificata presenza di tedeschi orientali negli enti calcistici mondiali e continentali faceva da contraltare una generale modestia di risultati sia a livello di club che di nazionale, era sul piano del coinvolgimento popolare che il Fussball poneva al SED (Partito di Unità Socialista di Germania, in tedesco Sozialistische Einheitspartei Deutschlands) un intrico di problemi di ardua risoluzione.

Il 22 agosto 1961, sul settimanale "Die Neue Fußball-Woche", una fotografia ritrae i calciatori della nazionale della RDT Konrad Dorner e Christian Hofmann, che offrono un mazzo di fiori a un soldato che staziona di fronte al costruendo Muro di Berlino

Il 22 agosto 1961, sul settimanale "Die Neue Fußball-Woche", una fotografia ritrae i calciatori della nazionale della RDT Konrad Dorner e Christian Hofmann, che offrono un mazzo di fiori a un soldato che staziona di fronte al costruendo Muro di Berlino

Gli incontri internazionali approntarono un terreno di scambio regolare con i “nemici” del campo capitalista e funsero da canale di trasferimento culturale, dando ai cittadini della RDT opportunità altrimenti impensabili di venire in contatto con i paesi occidentali. Quando il regime decise infine di erigere il Muro per cingere il territorio di Berlino Ovest e arrestare i milioni di Ossi che dal 1949 erano passati a Occidente dalla frontiera aperta che tagliava in due la città, i giocatori della nazionale furono assoldati nella campagna propagandistica volta a difendere l’odiosa decisione. Il calcio era di gran lunga lo sport più seguito e quello nel quale si esprimevano con maggior ambivalenza i sentimenti contrastanti di appartenenza e di resistenza alla dittatura comunista. Nel 1954, il “miracolo di Berna” fu festeggiato dagli appassionati dell’Est come una loro vittoria, che persino il settimanale dell’organizzazione dei giovani comunisti salutò come il più grande trionfo nella storia del calcio tedesco”. Appena due anni dopo, i campioni dell’Ovest del Kaiserslautern, capitanati dal leggendario Fritz Walter e con altri quattro campioni del mondo in squadra, sfidarono proprio il Wismut Karl-Marx-Stadt nel nuovo stadio di Lipsia e lo superarono agevolmente per 5-3 di fronte a 110.000 spettatori. Il risultato e la massiccia affluenza di pubblico (altre 200.000 richieste di biglietti erano rimaste inevitabilmente non soddisfatte) preoccuparono doppiamente i vertici comunisti: dal punto di vista strettamente tecnico, era evidente l’ampio divario con i rivali occidentali, mentre l’entusiasmo con cui i tifosi dell’Est avevano accolto gli avversari testimoniava l’esistenza di una solidarietà inter-tedesca che il calcio riattizzava ogni volta e che sconfessava alla radice le ragioni stesse dell’esistenza della Germania Est.

Nella partita contro il Wismut, Fritz Walter segnò una rete che in Germania molti considerano il gol del secolo, una sorta di "colpo dello scorpione"

Nella partita contro il Wismut, Fritz Walter segnò una rete che in Germania molti considerano il gol del secolo, una sorta di "colpo dello scorpione"

Il calcio pareva possedere l’irreprimibile forza di evidenziare le falle della dittatura e di dare libero sfogo alle frustrazioni e al desiderio di libertà delle persone. Una partita (se vinta) contro gli avversari politico-ideologici poteva offrire al SED l’inestimabile occasione di dimostrare la superiorità del sistema socialista, ma soprattutto apriva insperati spazi ad azioni e comportamenti popolari ostili o non promossi dalle autorità. Sorsero i “dissidenti del calcio”. Erano schiere di tifosi che stazionavano nei pressi del Muro per seguire le partite della Hertha Berlino, che era uno dei club meno vincenti della Bundesliga, ma che giocava in uno stadio vicino allo sbarramento; oppure, si trattava di appassionati il cui unico interesse era tifare contro la nazionale o le squadre del regime tutte le volte che erano opposte a squadre straniere (meglio se tedesche occidentali), o seguire le gesta di queste ultime ogni volta che erano impegnate in città del blocco comunista, dove i tedeschi orientali potevano viaggiare, sovente pedinati e sorvegliati in queste trasferte – va aggiunto – dagli onnipresenti agenti della Stasi, il famigerato servizio di sicurezza e spionaggio di Berlino Est.

Né il SED, né la Stasi riuscirono mai a comprendere veramente, e quindi a contenere o indirizzare a fini di indottrinamento e propaganda, l’ascendente che il calcio esercitava sulle persone. Da un lato, erano preoccupati dalle decine di migliaia di persone che tifavano le compagini del campo capitalista o gridavano slogan contro il regime nell’anonimato garantito dalla folla o dagli ultras che si abbandonavano ad atti di vandalismo o agli eccessi del bere al pari delle più esecrate tifoserie occidentali, o che manifestavano apertamente simpatie naziste; dall’altro, nel maldestro tentativo di governare questi fenomeni, operavano senza alcun riguardo per la passione calcistica dei fan, per esempio spostando le squadre da una città all’altra, in smaccato disprezzo del radicamento locale del tifo, o forzando il trasferimento dei migliori giocatori nelle formazioni sponsorizzate dal regime, o ancora indirizzando gli esiti delle contese a beneficio di queste ultime con esplicite pressioni sugli arbitri, di cui beneficiava soprattutto la Dinamo Berlino, che sotto l’egida dell’onnipotente Ministero degli Interni, manca a dirlo, vinse dieci campionati in fila fra il 1979 e il 1988.

Questi goffi e grezzi interventi limitarono anche il naturale trasporto che i giovani pur dimostravano o avrebbero potuto dimostrare nei confronti delle squadre della Oberliga. Nell’annus mirabilis 1974, persino molte ragazze furono rapite dal fascino del calcio, come fu poi raccontato dalla romanziera Annett Gröschner, che scrisse un libro dedicato agli eroi di Rotterdam, i giocatori del Magdeburgo che l’8 maggio di quell’anno si aggiudicarono la Coppa delle Coppe, battendo in finale il Milan di Gianni Rivera: i festeggiamenti in città andarono avanti tutta la notte e anche la programmazione dei cinema fu modificata per dare la notizia della vittoria. L’indomani, tuttavia, il quotidiano Magdeburger Volksstimme mise in prima pagina i notabili del regime nell'atto di tributare la loro riconoscenza ai fraterni amici sovietici, nell'anniversario della fine della Seconda guerra mondiale in Europa. 

La rete di Sparwasser, che decise la sfida fa le due Germanie ai Mondiali del 1974

La rete di Sparwasser, che decise la sfida fa le due Germanie ai Mondiali del 1974

Anche il celebre confronto dei Mondiali di quell’estate, contro i padroni di casa della Germania Ovest, battuti inaspettatamente grazie al gol di Jürgen Sparwasser, fu accolto nella RDT con sentimenti contrastanti. Molti, è vero, sostenevano i Wessi, ma molti altri li avversavano sinceramente e citavano ragioni politiche per tale avversione. Si è già affermato che il regime aveva usato lo sport come arena di confronto ideologico. Nel corso degli anni e con il succedersi delle affermazioni degli atleti dell’Est (molto aiutate invero da additivi chimici, si sarebbe scoperto poi), la cosiddetta relazione asimmetrica con i più ricchi cugini occidentali era stata ribaltata in molte discipline sportive. Inoltre, pare che nel calcio provochi sempre un piacere supplementare il successo di chi non gode dei favori del pronostico e la nazionale orientale era certamente sfavorita contro i campioni d’Europa in carica e i futuri campioni del mondo, il che spostò addirittura non pochi oppositori del SED dalla parte della nazionale del regime che pure criticavano aspramente. Ha ricordato Sandra Dassler, una giornalista con un passato da dissidente nella Chiesta Protestante della RDT: «Avevo 13 anni e tifavo per il Bayern Munich, ma quando pensavo alle nostre vacanze sul Lago Balaton, in Ungheria, e ai tedeschi occidentali che arrivavano a bordo delle loro lussuose Mercedes, mi era chiaro, mentre sedevo nella misera Trabant dei miei genitori, chi appartenesse alla squadra sfavorita».
In ultimo, i vertici della RDT voltarono le spalle al calcio. Dedicarono i loro sforzi e abbondanti risorse a potenziare il movimento sportivo nelle discipline più suscettibili di innalzare il prestigio del paese all’estero, le discipline nelle quali era anche più facile selezionare i migliori attraverso una filiera che partiva dalla scuola e arrivava ai centri di addestramento e perfezionamento gestiti dal Ministero dello Sport, dove i prescelti, al pari dei loro antagonisti occidentali, conducevano una vita da professionisti, godevano di privilegi sconosciuti al resto della popolazione, si nutrivano dei cibi che non arrivavano negli sfornitissimi negozi per i cittadini comuni, sottostavano alle dovute lezioni di indottrinamento ideologico dovendo dimostrare adeguata dedizione alla causa comunista e soprattutto ricevevano più o meno consapevolmente e docilmente – sotto l’inflessibile supervisione della Stasi – le prescritte dosi di sostanze dopanti, la cui ampia e sistematica somministrazione non fu per nulla estranea al dominio della Germania Est nei medaglieri delle Olimpiadi estive e invernali.

Paolo Bruschi

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