"Alla fine ti innamori di Tristoia"

La città di Pistoia, sede di numerosi eventi culturali e musicali, è stata ribattezzata da Ray Banhoff, autore presso Rolling Stone con il nome di 'Tristoia'. Capitale italiana della Cultura nel 2017, e non europea come affermato dalla rivista musicale, Pistoia è stata letteralmente massacrata a partire dalla Fiera del Disco.

Michael Cantarella, responsabile della comunicazione per la Diocesi di Pistoia ed editorialista per il settimanale cattolico La Vita, ha risposto all'articolo, definendolo un pugno nello stomaco.

Riportiamo per intero il pezzo a firma di Michael Cantarella.

L’articolo apparso in questi giorni su Rolling Stones (lo trovate diffusamente su social network o sul web), una nota rivista di rockettari, è un vero e proprio pugno nello stomaco. La cosa positiva è che però dà modo di parlare di Pistoia. Per lo scriba, in questo caso non pistoiese, è l’occasione per replicare alle tante mezze verità descritte nel piccolo (brutto) panegirico scritto per la città. Chiusa su se stessa, boriosa, decadente, elitaria, triste. Tristoia, l’hanno pure ribattezzata. Insomma, si è capito il concetto. Che in effetti è proprio quello. Passeggiando da stranieri in città ci si accorge di essere catapultati in un universo parallelo, fatto di usi e detti, di personaggi e vicoli davvero peculiari. In questa città di provincia si respira ancora il vero gusto del paese. Già, perché di fatto Pistoia è un paesone, costruito su un po’ di città e tante frazioni, con tutti - ma proprio tutti - i pregi e i difetti del paese. Nel paese si mormora perché ci si conosce tutti e in fondo, a ben vedere, siamo quasi tutti parenti. Del paese i paesani odiano praticamente ogni cosa. Poveri e sventurati coloro che intendono amministrarlo, animarlo, innovarlo, promuoverlo, a qualunque titolo, in qualunque tempo. Falliranno, sempre. Proprio loro infatti sono le prime e ambite vittime del principale sport cittadino, col quale si deve sempre fare i conti: la vis polemica. Del paesone, il paesano, non ama certo la noia, la consuetudine, quella sensazione che poco più in là, oltrepassando il San Baronto o Serravalle, si stagli il giardino del bengodi e le montagne di parmigiano. Insomma, si capisce, ogni motivo è buono per criticare un po’.

La verità però è tutt’altra. Perché alla fine sei costretto a innamorarti di questo paesone come ti innamori della tua amica: quella che usciva con te nel gruppo delle uscite del week end, che non avevi notato e anzi, era un po’ bruttina e ti stava perfino antipatica. Te ne innamori perché la incontri là, dove con te non era stato nessuno. Te ne invaghisci passeggiando per le strade che portano in centro, mentre ti accorgi che sui campanelli delle case ci sono ancora i nomi di esseri umani e non di studi professionali o multinazionali. La noti attraversando Piazza della Sala, perché riporta alla mente gli odori di un tempo, della tua infanzia, quando al mercato c’erano tre banchi e la fila al banco del pollo. La studi immersa nella nebbia, nei lunghi, freddi inverni che ti propone, grazie alla maestosità degli Appennini che l’abbracciano, la proteggono, la incatenano. Ti stupisce, quando scopri l’inestimabile patrimonio artistico conservato tra le sue antiche mura, quasi tutto ispirato a quella grande rivoluzione che è il Cristianesimo. Ed allora è lì che conosci il suo spirito altruista, l’universo di associazioni, circoli, adunanze che pullulano a ogni angolo della città. Spesso esperienze uniche di attivismo sociale, culturale, di carità. Ed è qui che te ne innamori, perdutamente, mentre aspetti che tramonti il sole in Piazza del Duomo, al cospetto di San Jacopo, in una bella giornata di primavera o di tardo autunno. E non capisci precisamente il motivo, perché alla fine non ti piaceva, non l’avevi notata. Poi l’hai scoperta e non puoi più farne a meno. Anche se a volte ti fa proprio arrabbiare. E non sai più se stai parlando di Pistoia o della madre dei tuoi figli.



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