Fattoria Bini - Vinsanto 65 Lune 2007: tesoro della tradizione toscana

Ho spesso scritto nei precedenti articoli dello stretto legame fra tradizione viticola e territorio; se Toscana e vino rappresentano un binomio riconosciuto e apprezzato ovunque nel mondo è in gran parte merito del Sangiovese e delle sue varie espressioni, dal Chianti al Brunello di Montalcino, ma c’è anche un altro tipo di vino, molto particolare, indissolubilmente e intimamente legato alla nostra cultura: il Vinsanto. Piccolo gioiello della tradizione contadina, il Vinsanto era, ed è in parte ancora oggi, il vino delle grandi occasioni, delle feste, il vino da offrire all’ospite di riguardo.

Le sue origini si perdono nei secoli e sono ammantate di leggenda, ma la versione più accreditata è che sia nato come variante “povera” dei vini dolci importati dalla Grecia per le tavole dei nobili. Anche il suo nome infatti deriverebbe non da qualche connessione con le celebrazioni religiose, ma dalla parola greca xanthos, giallo, o dalla similitudine con i vini provenienti dall’isola egea di Xantos, l’odierna Santorini.

Quale che sia la sua origine, il metodo di preparazione del Vinsanto è stato tramandato di generazione in generazione e, a differenza di molte altre tipologie di vino che hanno subito trasformazioni dovute all’evoluzione del mercato e delle tecnologie di produzione, è rimasto pressoché immutato fino ai giorni nostri.

Il Trebbiano Toscano e la Malvasia Bianca del Chianti sono da sempre le principali uve con cui si produce. Un mix unico in cui l’acidità e la freschezza apportati dall’uno bilanciano alla perfezione gli aromi e la struttura di cui è responsabile l’altra. Sono però l’appassimento delle uve e la lenta fermentazione in botticelle di legno, dette caratelli, a rendere speciale questo vino; da essi dipendono infatti la tipica dolcezza e le peculiari caratteristiche organolettiche.

Il Vinsanto del Chianti DOC 65 Lune di Fattoria Bini, storica azienda empolese attiva fin dai primi anni dell’800, viene prodotto seguendo minuziosamente il processo produttivo tradizionale.

Oltre al Trebbiano e alla Malvasia è presente nell’uvaggio anche una piccola percentuale di San Colombano, altra varietà storica Toscana, un tempo molto diffusa nel nostro territorio. Le uve, che sul finire del mese di settembre vengono vendemmiate a mano in modo da poter scegliere solo i grappoli più sani, provengono da un’unica vigna di circa un ettaro, la cui esposizione a sud-ovest garantisce un’insolazione ottimale e una certa ventilazione, fondamentali per il raggiungimento della maturazione ideale. Dopo la raccolta i grappoli vengono portati all’appassitoio, un locale grande e ben aerato dove sono in parte sistemati su graticci e in parte appesi su penzane (telai verticali di metallo). Qui rimangono fino a inverno inoltrato, esposti alle correnti d’aria che ne provocano la disidratazione e la conseguente concentrazione di zuccheri e componenti aromatiche. Al termine di questa fase le uve vengono pressate e il mosto di ognuna delle tre varietà è messo a fermentare, separatamente, in caratelli di rovere e di castagno di dimensione variabile, dai 30 ai 100 litri, sistemati nella vinsantaia della Villa del Terraio, storica sede dell’azienda, a Monterappoli.

Solitamente la vinsantaia è, come in questo caso, un locale ricavato in un sottotetto, esposto perciò a forti escursioni termiche giornaliere e stagionali. Qui, all’interno dei caratelli, il vino fermenta non per l’aggiunta di lieviti, ma grazie all’aiuto della cosiddetta “madre”, ovvero le fecce ricche di sostanze nutrienti e fermenti vivi che al termine della vinificazione precedente vengono lasciate nei caratelli e riutilizzate per la fermentazione successiva. A causa degli sbalzi di temperatura, dell’elevata concentrazione di zucchero e, in seguito, di alcol, la fermentazione avanza molto gradualmente, con accelerazioni e rallentamenti, arresti e ripartenze, in un processo che, per il Vinsanto di Fattoria Bini, dura più di 5 anni, o 65 lune, come quelle a cui deve il nome, e grazie al quale si sviluppano profumi e aromi ricercati e complessi.

Terminati i lunghi mesi di affinamento i caratelli vengono aperti ed i vini al loro interno assaggiati uno per uno allo scopo di determinare l’assemblaggio finale e la giusta dolcezza del Vinsanto che, una volta imbottigliato, prosegue nel vetro la sua maturazione.

Il Vinsanto è vero nettare d’uva, lo si versa centellinandolo; porta con sé il valore del tempo, dell’alternarsi delle stagioni, della paziente attesa, e darne una valutazione il più possibilmente oggettiva, soprattutto di uno come il 65 Lune, prodotto scrupolosamente alla maniera tradizionale, equivale forse a sminuirlo. Quelli del Vinsanto sono profumi e sapori che risvegliano in tutti noi ricordi legati a momenti felici, trascorsi insieme a famiglia e amici; scomporli per realizzarne una descrizione non rende loro piena giustizia, ma proverò comunque a farlo.

Il 2007 che ho assaggiato assieme ad Andrea Ciattini, direttore tecnico di Fattoria Bini, è decisamente intenso al naso, con un profilo olfattivo ricco e molto ampio in cui si inseguono note dolci e calde di fiori passiti, albicocca sciroppata, datteri, fichi secchi, arancia candita, caramello e miele di castagno, poi mandorla, erbe aromatiche e profumi più speziati di cannella, noce moscata, chiodi di garofano, uniti da una vena eterea e da un accenno di ossidazione propri di questa tipologia di vini.

In bocca è molto morbido e concentrato, risaltano il calore dell’alcol la dolcezza, non eccessiva, dovuta al residuo zuccherino. Sensazioni ben bilanciate dall’acidità, che alleggerisce il sorso e contribuisce a lasciare pulita la cavità orale, in cui perdurano gli aromi di miele e frutta secca e passita già percepiti al naso.

Venendo agli abbinamenti, non sono di quei puristi che si scandalizzano se si accostano Vinsanto e cantuccini: il 65 Lune con i cantuccini ci sta bene, e sta bene anche con panforte e ricciarelli, visto che siamo in periodo natalizio. Consiglierei però di uscire anche un po’ fuori dalle righe e provare ad assaggiarlo insieme ad un formaggio erborinato o con i crostini di fegatini, vale davvero la pena.

www.fattoriabini.it

Matteo Corsini

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