Storia del confine difficile, il reportage delle scuole di Empoli e Pisa

È iniziato dal Sacrario di Redipuglia il viaggio ‘dentro’ la Storia del ‘confine difficile’con cui termina il percorso didattico e formativo che ha visto nei mesi scorsi impegnati decine di studentesse, studenti e docenti dell’IIS ‘da Vinci – Fascetti’, dell’IIS ‘Santoni’ di Pisa e dell’IIS ‘Brunelleschi – Ferraris’ di Empoli.

Le studentesse e gli studenti selezionati, accompagnati dai propri docenti si sono riuniti agli altri partecipanti provenienti da 25 scuole di tutta la Toscana che hanno aderito al progetto della Regione Toscana Per una storia del confine difficile: l’Alto Adriatico nel ‘900, coordinato dall’ISGREC di Grosseto nell’ambito delle attività della Rete Toscana degli Istituti Storici della Resistenza.

Un viaggio emozionante che ha portato studentesse e studenti a vedere con i propri occhi alcuni dei luoghi simbolo della tragica storia del ‘900 e di cui si sono occupati nel corso degli incontri precedenti.

Un viaggio documentato dai reportage dal vivo realizzati dalle studentesse e dagli studenti coinvolti nel progetto e che riportiamo di seguito:

I tappa

Redipuglia - Sacrario militare di Redipuglia: struttura d'epoca fascista (inaugurato da Mussolini nel settembre del 1938), al tempo riguardava la potenza e la forza del movimento fascista, dimora dell'autoproclamata "Armata in vita".
Ad oggi la memoria persiste ma con ideologia avversa, in questo stesso luogo risiede il ricordo degli orrori della guerra.

II tappa

Trieste

Multiculturalità, unità, unità d'Italia, caratteristiche che variano in base alle scelte del popolo, le quali determinano soprattutto una convivialità con le altre culture, nazioni e identità.
Trieste, che era caratterizzata da tre identità nazionali, quella italiana, slovena e croata, con la partecipazione al conflitto ebbe un’ascesa nazionalista e la conseguente scomparsa di questa "armonia".

Autori: Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli e Arbesa Spahiu (IIS "da Vinci - Fascetti" e IIS "Santoni - Pisa)

III tappa

Campo di concentramento di Gonars
Campo di concentramento fascista a Gonars per internati jugoslavi. Il campo fu attivo dalla primavera del 42 fino all'8 settembre del 43. Qui furono internati circa 4000 tra donne uomini e bambini, di questi 500 morirono.
Il memoriale è composto da quattro opere incastonate su cippi, riprese dai disegni fatti da deportati.
La lavanda che circonda il memoriale, che rimanda al filo spinato che circondava il campo, si espande nel tempo in modo indefinito deformando il confine.
Un'altra particolarità del memoriale è l'assenza di date incise simbolo di dover ricordare a prescindere di quando sia successo.

Autori: Stefano Anguillesi e Filippo Cataldi, Ferraris -Brunelleschi di Empoli

IV tappa

Trieste, Narodni Dom

Il Narodni Dom in sloveno "casa nazionale" o "casa della cultura" fu costruito tra il 1902 e il 1904. Fu il centro della vita economica, politica ,culturale, artistica e sociale della minoranza slovena triestina. Nel 1920 l'edificio fu distrutto da un incendio per mano di fascisti. Oggi appartiene all'università degli studi di Trieste presso la cui Aula Magna abbiamo seguito gli interventi di Daniela Schifani-Corfini Luchetta, presidente della fondazione Luchetta Ota D'Angelo Hrovatin, di
Aleksander Koren, direttore della testata della comunità slovena Primorski Dvevnik e di Pierluigi Sabatti, direttore del quotidiano triestino Il Piccolo.
I relatori hanno chiaramente mostrano che se la storia è affare serio e va indagata in modo rigoroso, la memoria è soggettiva e fallace. Allora è stato bello ascoltare le storie individuali e quindi diverse perché ricostruite dalla memoria di chi ha vissuto le esperienze di questa "tettonica a zolle culturale" che è questa parte d'Europa, come l'ha definita il prorettore dell'Università di Trieste.

Autori: Filippo Cataldi e Stefano Anguillesi dell'IIS "Ferraris-Brunelleschi" di Empoli

V Tappa

Basovizza

In memoria di quanto accaduto nel 1930 a Basovizza è stato eretto un pilastro, monumento in ricordo dei 4 antifascisti sloveni appartenenti al TIGR (Trieste, Istria, Gorizia e Rijeka), morti giustiziati in seguito dell’attentato ad uno dei giornali fascisti di Trieste. Cosa fecero: un gruppo di 9 antifascisti attentò con una bomba uno dei giornali di Trieste. Dei 9 processi solo 4 sentenze vennero emesse. Essi vennero processati e giustiziati nell’allora poligono di tiro. In memoria, dietro al pilastro vennero poste 4 lapidi.

Ma queste terre sono state teatro di ulteriori episodi in questo tragico contesto di guerra totale, che porta a una frammentazione di identità. Infatti, dal 1943 al 1945 vennero usate le cavità carsiche (foibe) presenti a Basovizza come luogo di esecuzioni da parte di jugoslavi contro italiani: ad esempio, coloro che indossavano una divisa, percepita come simbolo di una identità nemica (persino i bidelli).

Successivamente, con l’arrivo degli Americani, vi fu il tentativo di riesumare i corpi, ma nonostante gli sforzi ne furono riscoperti solo una decina, poiché le ricerche furono fermate, per motivi al tempo non definiti.

Al giorno d’oggi, in memoria di ciò abbiamo 2 monumenti: il primo una lapide che riporta i dati di quella foiba e simboleggia in generale questa tragedia; il secondo rappresentante lo sforzo degli Americani di riportare alla luce quanti più corpi possibile.
Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli, Arbesa Spahiu (IIS ‘da Vinci – Fascetti’ e IIS ‘Santoni’ – Pisa)

VI Tappa

Risiera di San Sabba

Un’altra tappa importante del viaggio è stata la Risiera di San Sabba a Trieste, l’unico lager nazi-fascista in Italia dotato di un forno crematorio. Da qui sono partiti i 2/3 di tutti i convogli di deportati dall’Italia verso i lager nazisti. I nazifascisti, al momento della loro ritirata, fecero saltare in aria il forno crematorio e parte della struttura che oggi è possibile visitare anche grazie al restauro che ha puntato alla monumentalizzazione del sito data la necessità di non perdere la memoria.

L’ingresso suscita nei visitatori una sensazione di oppressione con le sue mura alte 11 metri in cemento armato che si replica nel perimetro del cortile centrale. L’area dove era presente il forno attualmente è coperto da delle lastre di metallo mentre la ciminiera del forno è stata sostituita da un monumento composto da travi in metallo verticali che ricordano il fumo che usciva dal camino.
Stefano Anguillesi, Filippo Cataldi (IIS Brunelleschi – Ferraris, Empoli)

VII Tappa

Magazzino 18

Un memoriale o un museo?
Visitando il Magazzino 18, abbiamo potuto osservare quello che è la memoria dei profughi che hanno vissuto l’esodo.
È aperto al pubblico da circa 10 anni, da quando Simone Cristicchi ha deciso per volontà propria di visitare questa memoria. Da allora è divenuto visitabile.
Alla fine della guerra, con l’assegnazione dell’Istria alla Jugoslavia di Tito, agli Istriani è stata posta una scelta: rinnegare il loro passato o fuggire in Italia.
Per non abbandonare la loro storia, in molti decisero di portare via dalle loro case i loro averi di uso quotidiano e di andarsene spargendosi per tutta Italia e per tutta Europa.

Le persone scappate inizialmente portarono i loro averi di vita quotidiana nel Magazzino 26; successivamente, per la demolizione del magazzino, dovettero trasferire le loro masserizie nel Magazzino 22. A causa di un incendio, venne bruciata una parte dei loro possessi e ciò che si salvò venne portato nel Magazzino 18.

Dopo la visita fatta abbiamo constatato che il Magazzino 18 non può essere definito museo, poiché un museo è una raccolta specifica organizzata da uno storico. D’altra parte, non può essere definito Memoriale, poiché un memoriale è un monumento ideato da delle istituzioni per far riflettere una comunità pubblica.

Al contrario, Magazzino 18 espone una raccolta di memorie personali che si apre al pubblico solo in seguito, e resta gestito dalla comunità degli esuli.

Nonostante ciò, una volta entrati, si prova una emozione, un sentimento, come se il tempo tornasse indietro a quel periodo e si congelasse.
Il tempo “congelato” in quel magazzino è quasi opprimente a causa della quantità di oggetti.
Dunque, quello che siamo andati a vedere, come definito dal suo direttore, è “solo una umile raccolta di masserizie”, ma che nello stesso tempo trasmette la tragedia, per ogni esule, dell’abbandono e della separazione.

Flavio Mancini, Melissa Pasmaciu, Giacomo Sbaragli, Arbesa Spahiu (IIS ‘da Vinci – Fascetti’ e IIS ‘Santoni’ – Pisa)

Il giornale triestino Primorski Dvevnik, che compie 75 anni nel 2020, è figlio del giornale clandestino "Quotidiano partigiano" fondato dai partigiani italosloveni che sulle colline intorno a Trieste si opposero all'occupazione nazifascista.
Lo si può definire un quotidiano tridimensionale: la prima dimensione è quella che riguarda la realtà della comunità slovena di Trieste. La seconda dimensione è quella comune ad un qualunque quotidiano che tratta temi politici nazionali e locali accanto a temi di attualità e di cronaca. La terza dimensione è transfrontaliera e tratta le questioni della confinante Slovenia e guarda in generale all'ex Jugoslavia.
Insieme a Il Piccolo, Primorski Dvevnik ha contribuito non poco a fare dialogare le varie anime della città sui temi che abbiamo avuto modo di affrontare in questi giorni tanto che se le barriere non sono cadute del tutto, si sono sicuramente abbassate.
È da notare però la grande importanza che ha un giornale in lingua d'origine per la minoranza slovena perché la rappresenta: si contano infatti più di tremila abbonati alla rivista.

Autori: Stefano Anguillesi 5A, Filippo Cataldi 5B (IIS Brunelleschi-Ferraris), Flavio Mancini 4Inf/B (IIS da Vinci-Fascetti)



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