Lavoro e Coronavirus, nell'Empolese 300 ammortizzatori sociali. Lavoratori preoccupati per la salute

Paolo Aglietti (gonews.it)

Preoccupazione per la salute, esuberi e cassa integrazione nell'Empolese Valdelsa. Se ne parla con Paolo Aglietti della Cgil


Nella guerra al Covid-19 in prima linea ci sono ovviamente i medici, i volontari e tutto il personale medico, quotidianamente sottoposti ad una 'trincea sanitaria' senza precedenti. Ma nelle immediate retrovie ci sono i lavoratori, i quali ogni giorno rischiano la loro salute per fronteggiare una doppia necessità: garantire il rifornimento del sistema sanitario e dei beni di prima necessità, ma anche ridurre al minimo l'impatto di una emergenza economica che certamente seguirà quella sanitaria.

Nel Dcpm dell'11 marzo il Governo ha lasciato i cancelli aperti delle fabbriche, ma "raccomanda" forme di "lavoro agile"o smart working, rotazione del personale, riduzione del monte ore e la fruizione di ferie pregresse, infine la "sospensione dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione": insomma si può stare aperti, ma bisogna ridurre il rischio contagio, che tradotto in termini aziendali significa ridurre la mole di lavoro o addirittura la chiusura volontaria di quelle attività "non indispensabili". Con il decreto #Cura Italia il Governo ha invece stabilito le misure economiche per sostenere questo progetto, in particolare il potenziamento della cassa integrazione (oggi si è firmato l'accordo in Regione).

Ma insieme alle raccomandazioni il Governo ha imposto anche un divieto categorico: o si rispetta le norme minime di sicurezza igienico-sanitarie per contrastare la diffusione del virus o i cancelli si chiudono. Ciò è previsto anche nel protocollo d'intesa firmato tra Confindustria e sindacati nei giorni scorsi dove si legge che "la prosecuzione delle attività produttive può avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione".  Le condizioni richieste sono la sanificazione degli ambienti di lavoro, le dotazioni di sicurezza per i dipendenti (mascherine, guanti, detergenti) e il rispetto del metro di distanza tra lavoratori, raccomandandosi nuovamente di ridurre il più possibile la loro presenza.

Ma dal punto di vista legislativo e politico il Governo si muove nel solco tracciato con la quarantena dei cittadini, ossia con un piede nelle raccomandazioni e l'altro nei divieti, rimettendosi soprattutto alla responsabilità dei soggetti coinvolti: molte delle misure restano "raccomandazioni", resta poi difficile verificare in piena emergenza il rispetto dei divieti, così come diventa difficile in un industria di filiera e fatta di migliaia di comparti collegati capire quali siano le attività indispensabili e quali no, su cui comunque è il datore di lavoro a decidere l'eventuale cessazione volontaria.

Nella pratica quindi cosa succede? Dove finiscono le raccomandazioni e dove i divieti? Come vivono questa situazioni i lavoratori? Quale è l'impatto economico e sociale? Cosa accade, per fare un esempio, nell'Empolese Valdelsa? Ne abbiamo parlato con il segretario locale della Cgil Paolo Aglietti che parte da una constatazione: "i lavoratori sono preoccupati".

Quale è il clima tra i lavoratori nell'Empolese Valdelsa?

"Riceviamo segnalazioni tutti i giorni, i lavoratori sono molto preoccupati. A volte le preoccupazioni derivano dal clima generale che sta sorgendo, ma spesso sono basate su concreti motivi. La preoccupazione peraltro è doppia: c'è un'emergenza sanitaria, ma anche la paura di perdere il posto di lavoro e quindi emergono forme di ricatto o di debolezza del lavoratore che preferisce non segnalare la cosa. È quindi difficile fare un bilancio".

Come garantire la sicurezza dei lavoratori?

"Non possiamo pensare che si imponga una quarantena generale e addirittura un metro di distanza tra persone per fare la spesa e poi quelle stesse regole non vengono rispettate a livello di fabbrica, facendo dell'operaio carne da macello. Il decreto parla di messa in sicurezza: servono guanti, mascherine, il rispetto di un metro, non solo sui macchinari, ma anche nel refettorio, negli spogliatoi e all'entrata, regolando gli accessi e le uscite. Il decreto su questo è chiaro: o si rispettano queste norme oppure l'attività non può proseguire. Questo è anche quanto è stato concordato con le categorie degli imprenditori e su questo aspetto non è possibile transigere"

Si stanno rispettando queste regole sul territorio?

"Lo scenario è molto variegato e anche difficile da analizzare, perché i controlli sono quasi nulli sia da parte dell'autorità che da parte nostra che ovviamente non possiamo girare per le fabbriche in questo momento. Ci atteniamo alle segnalazioni che ci giungono. In alcune realtà più strutturate si è trovato accordi tra le parti e ci sono stati grandi segnali di attenzione al problema della salute: si è attivato lo smart working, riduzioni di orario, sanificazioni dell'ambiente di lavoro. Ma in generale si vive alla giornata: nelle realtà più piccole è difficile controllare e riceviamo tante segnalazioni di lavoratori spaventati. La nostra realtà economica è fatta soprattutto di piccole imprese, lì servono maggiori controlli e anche maggiore responsabilità dei datori di lavoro. Gli organi dello stato devono vigilare il rispetto del decreto laddove c'è una segnalazione, questo è importante. Ma in generale non dovrebbe essere necessario: sta alla responsabilità dell'imprenditore. Purtroppo c'è ancora scarsa consapevolezza dell'emergenza in cui siamo".

Come far rispettare le regole?

"Il decreto è chiaro sulla necessità di rispettare le norme sanitarie. Bisogna che se queste non vengono rispettate gli organismi di controllo le facciano rispettare. Noi riceviamo le segnalazioni, ma abbiamo bisogno di una spalla più grossa. Rivolgiamo quindi un appello stringente al Prefetto ed alle autorità competenti di controllo affinché queste condizioni vengano rapidamente poste in essere e rispettate. Si parla peraltro di un problema sanitario che riguarda tutti: non è plausibile mettere le persone in quarantena e creare focolai nelle fabbriche. Dobbiamo impedire che la curva dei contagi cresca, perché più cresce più le restrizioni dureranno, colpendo tutti. Oltre le norme, lo ripeto perché è il cuore del problema, serve responsabilità da parte di tutti, perché pensare a norma più strette o addirittura all'esercito è preoccupante per il grado di attenzione di tutti noi al problema".

Si può fare una stima dell'impatto sociale ed economico nel territorio?

"Abbiamo notizie di contratti a termine lasciati scadere e abbiamo ricevuto oltre 300 domande di ammortizzatori sociali, alcuni dei quali senza scadenza, altri fino ad agosto. È un numero importante per il nostro territorio che dimostra quanto sia forte il sacrificio sia dei lavoratori che delle aziende. Non sappiamo peraltro se questi ammortizzatori sociali sono stati attivati per far fronte al calo di vendite, oppure perché le aziende non sono in grado di adeguarsi alle norme sanitarie. Questa valutazione verrà fatta ex post, così come quella delle effettive perdite di posti di lavoro".

Nell'emergenza sanitaria è giusto tenere le aziende aperte?

"Ci sono attività indispensabili: gli ospedali devono funzionare, il rifornimento di cibo deve essere garantito, così come i servizi essenziali. È inoltre difficile in un'economia di sistema fatta di filiere collegate tra loro capire quali siano le produzioni non necessarie e quelle che lo sono, senza contare peraltro che chiudere certi settori significherebbe non far lavorare tantissime persone. Ma così come prevede il decreto bisogna tutelare i lavoratori, se questo è possibile bene, altrimenti l'attività va chiusa. Ci sono strumenti a nostra disposizione per tutelare i lavoratori, non c'è nessun obbligo di chiusura, ma sta alla responsabilità del datore di lavoro capire quando è il caso di continuare e quando no. Chiudere o meno è a discrezione del datore di lavoro, ma a noi preme però chiarire che le aziende possono rimanere aperte, ma solo se rispettano le condizioni previste dal decreto. Se così non è le aziende devono chiudere".

La Cgil resta attiva sul territorio?

"Proprio per garantire i lavoratori abbiamo drasticamente ridotto gli assembramenti di personale e l'attività per il territorio. I nostri funzionari sono però attivi e raggiungibili. Il nostro presidio sul territorio continua ad essere presente ed efficace, garantendo il sostegno ai lavoratori. Riceviamo le segnalazioni, stiamo seguendo alcune vertenze iniziate già da tempo anche attraverso videoconferenze e siamo attivi per sostenere chi ha bisogno"

Fonte: A cura di Giovanni Mennillo

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