Viaggio tra le opere di Luca Macchi

Lo studio di Luca Macchi, come quello del suo maestro, Dilvo Lotti, si può godere anche dall’esterno, dalla strada che vi passa a fianco. Ha una decorazione di fiori, che si appoggia su un bel cancello di ferro battuto. Luca ci lavora seguendo con cura le piante rampicanti, come se fossero una sua opera artistica.

Si entra lì di fianco, lo studio è la sua casa, dove i quadri illuminano le stanze (anche in questo assai simile a quella di Lotti), ma lo studio è anche lì, in un piccolo ambiente, subito sulla destra.

L’artista vi si muove con straordinaria agilità, soprattutto se si pensa alle dimensioni ragguardevoli di molte sue opere.

Ci accorgiamo di avere a che fare con un eccezionale artigiano, che qui riesce a costruire il suo mondo, con una precisione davvero invidiabile.

Ogni figura, ogni curva da lui progettata entra da protagonista dentro l’opera, sia nel taglio scelto, sia nei suoi scarti.

Proprio dalle parti scartate - quelle che “i costruttori hanno scartato” - Luca riesce a elaborare la sua “pietra d’angolo”, quella che a me pare la più intensa, dove il segno del taglio diventa esso stesso espressione, con risultati di grande poesia.

I volti di Orfeo, con gli occhi coperti d’alloro, che ci arrivano addosso, come splendido risultato di una sovrapposizione di piani e di colore, nascono proprio da qui, sono segni che fuoriescono da altri segni.

Possiamo anche ignorarne l’origine, e per questo risultano ancora più forti e inquietanti.

Il riferimento va alla nascita di queste tavole scartate, alle grandi figure mitologiche, in piani di legno multistrato. Tavole che rispondono ad una precisione nordica, quasi scandinava e che sembrano coincidere con il suo desiderio espressivo.

Credo che Macchi possa amare l’algida sensibilità di un Ingmar Bergman o di un Carl Theodor Dreyer, il loro è un cinema che nasce da una natura tutt’altro che mediterranea, freddo. Un cinema che riesce però a scaldare le anime, ad avere una grande forza spirituale.

Insomma un po’ come la pittura di Macchi, dove tutte le cose sono al loro posto, perfettamente costruite in ogni aspetto, con un non banale riferimento alla classicità, quella antica dei Greci o dei Romani, o quella altrettanto formidabile degli artisti del Rinascimento, da Leonardo fino a Caravaggio.

Ma vorremmo dedicare ancora qualche riga allo studio di artista, dove Luca progetta e costruisce il suo lavoro, prima di parlare di quella che è senza dubbio la sua mostra più importante, ancora aperta (fino al 29 settembre 2020) nella Sala delle Esposizioni dell’Accademia delle Arti del Disegno, a pochi metri dalla Galleria dell’Accademia. Quel luogo cioè dove sono esposte alcune opere di Michelangelo, soprattutto il suo magnifico David, a cui Macchi deve qualcosa di più di un’ispirazione.

Lo studio di Macchi occupa, l’abbiamo già detto, uno spazio piuttosto ristretto. Macchi vi tiene qualche libro e raccolti in scaffali sulle pareti, i suoi quadri. Sulla destra c’è una grande finestra, che occupa l’intera parete, quella che appunto si vede dall’esterno della casa. Poi al centro della stanza un piano di lavoro, poco d’altro, se escludiamo gli attrezzi, i pennelli, il colore, con i quali realizza gran parte delle sue opere “dove antichi eroi continuano ad illuminarci con la loro immagine di gloria e di potenza. Non c’è altro, si mostrano e alzano la loro luce sullo spettatore, lo osservano, distanti, sono mito, un mito che i normali fatti quotidiani non scalfiscono. Luca Macchi ne è sacerdote, anche la sua esistenza appare scandita da queste immagini, il mondo, almeno in apparenza, può scorrere come il fiume sotto al ponte, lasciandolo indifferente. L’oro che spesso appare nei suoi quadri è il colore della luce, ma anche quello della distanza, insieme alla ieraticità delle sue rappresentazioni pittoriche”.

La citazione è mia e va bene anche per l’oggi di Macchi, per questa bellissima mostra di Firenze, curata da Nicola Micieli e voluta da Cristina Acidini. Una mostra che rappresenta se si vuole, uno snodo espressivo, una specie di approdo “Nel Tempo del Sogno” (questo il titolo), un sogno che è tutto rappresentato in un’opera parzialmente riprodotta nella copertina del bel catalogo, edito da Bandecchi & Vivaldi, con l’appoggio della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato.

Il quadro si intitola appunto “Il viaggio sognato”, un’opera del 2018 non grandissima, 110 x 80.

Luca è seduto nel suo studio, immagina l’elaborazione formale del suo quadro: in primo piano una figura mitologica, probabilmente Orfeo, il dio sciamano, dell’arte e della poesia.

La testa è reclinata verso la sinistra di chi guarda, e verso una mano e il suo braccio, in grande evidenza e anch’essa reclinata.

Sugli occhi c’è il ramo di alloro, con le foglie colorate, un po’ come le onde che dietro alla figura reggono una grande nave.

La nave è come un’ombra che incombe sul quadro, le sue vele sono pesanti, ottenute dalla sovrapposizione di quelli che sembrano legni, al

centro una foglia dipinta, attraversata dalle tracce di un cordame, il simbolo stesso della pittura di Macchi.

Orfeo è dentro uno spazio verde, forse un prato, nel quale, ci sono dei fiori che potrebbero essere lamine d’oro, e che forse non lo sono.

Alla destra dello spettatore, c’è in ombra, un'altra mano aperta, una specie di segno di pace o forse la mano di Dio.

Non possiamo non notare che il quadro è dipinto come se fosse la citazione di un altro quadro, è un quadro dentro al quadro, con un significato di notevole interesse, soprattutto se si pensa alle sovrapposizioni di piani dei quali abbiamo appena parlato.

I colori del mantello del dio poeta, sono un costume da Arlecchino, la letteratura che ne parla è davvero vastissima, lo lasciamo all’immaginazione del lettore.

A noi sembra che almeno questo quadro possa rappresentare l’inizio di un nuovo ciclo di opere, quella nave che arriva da dietro, e che per adesso non è che una sagoma scura, potrebbe portare un carico importante nella pittura di Macchi.

Lo vediamo ancora, il pittore, sta riflettendo seduto nel suo studio, con una calma serafica, dietro la quale si nasconde un atteggiamento di forte creatività. Nell’aria un forte odore di trementina, uno degli odori dell’arte.



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