Nello studio di Angela Gatti Pellegrini

Ecco, scrivo di nuovo su una novantenne e sulla sua fede, cioè ancora sui “Folli di Dio”, che a me pare assomiglino molto agli artisti; vivendo essi stessi la follia della spiritualità. Certo questo è il caso di Angela Gatti Pellegrini, tra l’altro anche pittrice, allieva dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, ai corsi di Domenico Purificato e Carlo Alberto Severa, parte del gruppo dei pittori che facevano riferimento alla Galleria dello Sprone, ancora di Firenze. Si allegano le immagini di due disegni fatti a Roma negli anni ’90 (la città delle periferie, la città dei poveri) e di alcuni quadri.

Angela Gatti vive da molti anni a Lorenzana, in provincia di Pisa, anche se la sua vita si è svolta prevalentemente a Livorno, con una parentesi iniziale ad Asti (dov’è nata) e poi a Firenze, dove ha vissuto per lunghi periodi. Angela ha appena pubblicato (Firenze 2020) un libro di memoria molto bello, intitolato “Spiriti liberi”, edito – come altri suoi (La guerra dei piccoli; Diario di una catechista; Il nostro piccolo Giovanni Bosco) – dalla Florence Art Edizioni.

In questo volume, con una interessante postfazione di Anna Scattigno, Angela scrive una sorta di diario, in cui racconta la sua vita, ma racconta anche l’emozione di riscoprirne le tracce, le carte raccolte in ventiquattro faldoni gelosamente riuniti, pieni di manoscritti, di fotografie, di testi di conferenze, per rivivere e far rivivere al lettore, l’appassionante vicenda di un vero e proprio Partito Cristiano Sociale, nato dalla Resistenza e che ebbe una stagione importante nei primi anni del dopoguerra, quando – soprattutto a Livorno – riuscì a coinvolgere gruppi di lavoratori dei Cantieri Orlando e di altre fabbriche, in quello che era un progetto legato alla Dottrina sociale della Chiesa. Progetto contestato dall’interno, in modo anche radicale, fino appunto – nota la Gatti – a papa Francesco, anche lui spesso ostacolato e disapprovato da alcune frange della chiesa di Roma.

Il racconto è ricco di personaggi e di episodi di grande spessore, con nomi importanti come quello di don Milani, di padre Balducci, di La Pira, ma anche con quelli di uomini meno noti, a cui Angela restituisce qualcosa di più di un profilo. Infine anche di sacerdoti, non meno fondamentali, almeno per la storia di questo gruppo. Sto

parlando di don Renato Roberti e, prima di lui, di don Roberto Angeli, internato nei campi di concentramento, militante nelle file della Resistenza bianca.

È un libro di notevole valore, che si aggiunge a pochi altri su quella stagione sconosciuta e che offre testimonianza su quelli che all’inizio erano giovani e giovanissimi (come l’autrice, che comincia il suo percorso prima dei diciott’anni), e che poi sono diventati adulti, restando comunque fortemente legati alle loro idee primitive.

Ciò che comunque affascina nel libro, è la tecnica narrativa, che lo accomuna con altri diari di donne: Angela Gatti Pellegrini è fortemente interessata a sé che scrive, si osserva dall’esterno e mette il lettore nella stessa condizione. È qualcosa che oggi è diventato parte dell’universo mediatico, ci sono programmi televisivi, ma anche pagine social dove il protagonista si auto riprende, mostra se stesso e anche ciò che gli si pone davanti, le sue sensazioni, le sue emozioni.

Angela fa un po’ lo stesso, descrive il divano sul quale sta scrivendo, i faldoni colmi di carte, la sua emozione a scoprirne il contenuto. Mostra il colore arrossato delle sue guance, se stessa che è ancora travolta da quei fatti: è una ragazzina di poco più di sedici anni – siamo nel 1946 – e scopre le tracce dell’amato marito, di Franco – che è scomparsonel dicembre 2017, ma che qui torna a rimettersi in gioco, come co protagonista, vicino ad Angela, nel suo racconto di fede e di militanza politica, che lei riannoda quasi fosse un’opera d’arte (qui una foto di Angela e Franco sotto la pergola; e una di Franco con alle spalle l’amato panorama della valle).

Vede la sua vita, riempiendo quello che potrebbe essere un semplice diario, di notazioni critiche, e soprattutto – come nota Anna Scattigno – se è ben fatto, il racconto può ancora “infiammare”. Lì dove ad esempio l’autrice si riferisce alle madri di Plaza de Mayo, ai desaparecidos, alla Teologia della Liberazione, che stava dietro a tutto, e a cui Angela dedicò tempo ed energie, testimoniate anche stavolta dai suoi faldoni, quasi certamente destinati all’Archivio di Stato di Livorno, per raccontare un’epoca che la città ha vissuto in prima persona.

Angela tesse il suo lenzuolo di memorie, fa come Clelia Marchi, la contadina di Poggio Rusco, in provincia di Mantova, diventata simbolo dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. Clelia ha raccolto su un grande lenzuolo la storia della sua vita. Queste lenzuola – dice la contadina - “non le posso più consumare con il marito e allora ho pensato di adoperarle per scrivere”. Angela fa lo stesso, scrive la sua storia per ridarsi alla vita. È un’operazione non comune, ma che restituisce senso al proprio esistere, al passaggio provvisorio dell’esistenza,

Tra le foto che pubblichiamo ce n’è una in particolare che ci ha davvero colpito, è quella di Angela Gatti che racconta. Ha un lungo abito rosso che le copre le gambe, un cappotto verde forse di loden, sta leggendo un libro, la sua mano è rivolta in alto, vuole conquistare il pubblico, il dito indice è teso, chi l’ascolta la deve star bene a sentire. Questa foto assomiglia moltissimo alle immagini in un libro di inizio Novecento, “Le novelle della nonna” di Emma Perodi, dove l’anziana signora abbigliata pressappoco come Angela, sembra ipnotizzare il suo pubblico, con la mano alzata. Una mano che tiene in pugno i bambini, ma anche gli adulti, e persino le galline, che sembrano osservare la narratrice. L’autore dei disegni era il grande Carlo Chiostri, uno dei primi e più bravi illustratori del “Pinocchio “ di Collodi.

Per dire che quella che abbiamo di fronte, Angela Gatti Pellegrini è una narratrice di valore, che si è fatta – come la nonna della Perodi – la sua esperienza di vita, tra l’altro diventando, per anni, la maestra catechista di centinaia di bambini, per i quali non ha usato le frasi fatte del catechismo classico (che lei non conosceva – così racconta appunto nel libro), ma è stata - pur non avendone appunto le qualifiche -, una straordinaria insegnante. A partire proprio dalle sue esperienze, anche quelle di fede, in questo caso davvero preziose.

Cronaca di Andrea Mancini



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