Informazione e potere, per il giornalista toscano Lepri "fino agli anni Sessanta censura prassi abituale"


Mentre il dibattito sulla libertà di espressione si fa sempre più acceso, specialmente in riferimento alle censure operate sui social network, c’è chi ricorda quando l’informazione in Italia era realmente succube dei “poteri forti”, molto più di oggi. È Sergio Lepri, direttore dell’Ansa dal 1961 al 1990, oggi centenario, che nell’ultimo numero della rivista «Nuova Antologia» (a. CLV, n. 2296) affronta il complesso tema delle relazioni tra giornalismo e politica.

“Oggi è impensabile e, grazie agli attuali mezzi tecnologici, praticamente impossibile impedire la divulgazione di un documento importante”, spiega Lepri, che è stato ringraziato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo ruolo di protagonista nella storia dell’informazione, “ma negli anni Sessanta l’intervento censorio del potere politico e anche economico era prassi abituale, così come l’autocensura dei giornali”. Nel suo contributo cita uno scontro con l’allora presidente del Consiglio Aldo Moro, impegnato a scoraggiare la pubblicazione di una lunga e vivace dichiarazione del liberale Giovanni Malagodi, molto critico verso l’apertura a sinistra della DC. “Era il 1962, e Moro mi chiese se l’Ansa avrebbe trasmesso l’intervento di Malagodi. Difesi il ruolo dell’agenzia, che era tenuta a non ignorare informazioni di generale interesse. ‘Mi rendo conto’, disse lui, mostrando di aver capito e accettato il posto dell’informazione in una società pluralistica”. L’episodio ebbe rilevanza storica: in un’epoca in cui Internet non esisteva e le agenzie erano l’unico strumento dell’informazione di base, il riconoscimento della funzione dell’Ansa nella dialettica di una democrazia liberale segnò un modo nuovo di concepire il rapporto tra stampa e potere.

 



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