Processo Mps, i giudici: "Profumo e Viola ingannarono per il profitto della banca"

Da Profumo e Viola un "inganno" per il "profitto della banca". È quanto hanno stabilito i giudici nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso ottobre il Tribunale di Milano ha condannato a 6 anni Alessandro Profumo e Fabrizio Viola imputati come ex presidente ed ex ad di Mps.

E' "ravvisabile un'intenzione d'inganno (...), giacché tale era il fine che animava il nuovo management, ossia rassicurare il mercato in vista dell'incetta di denari che si sarebbe da lì a poco perpetrata con gli aumenti di capitale", questo quanto si legge nelle motivazioni.

Per i giudici "sussiste" pure un "ingiusto profitto, principalmente in favore della banca stessa, parsa navigare in migliori acque grazie al falso, che ne ha accresciuto la percezione di affidabilità".

Secondo i giudici inoltre "l'organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d'atto, nella vorticosa spirale degli eventi (dalle allarmanti notizie di stampa sino alla débâcle giudiziaria) che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato. L'organismo di vigilanza - pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo (...) ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti".

Profumo e Viola: "Abbiamo garantito sopravvivenza Mps"

"Nel 2012, su invito della Banca d'Italia, abbiamo assunto l'incarico di presidente (Profumo) e di amministratore delegato (Viola) di Mps. Il quadro macroeconomico era difficilissimo, per la crisi del rischio Italia, e la situazione della banca disperata. Quindi è stata una scelta fatta per spirito di servizio e non certo per convenienza personale. In particolare, Profumo ha rinunciato al compenso per il suo incarico di presidente". Lo hanno detto Alessandro Profumo e Fabrizio Viola commentando le motivazioni della sentenza del tribunale di Milano.

Profumo e Viola si sono soffermati anche sulla questione Alexandria e Santorini: "Il danno prodotto alla banca o abbiamo fatto venire alla luce noi, non altri. Come è noto, la condanna a 6 anni discende dalla nostra scelta di adottare, per le due operazioni, il criterio di contabilizzazione "a saldi aperti". Ciò in continuità con le precedenti modalità di contabilizzazione e d'intesa con le autorità di vigilanza e controllo. È appena il caso di ricordare che una pena tanto severa mette di fatto sullo stesso piano noi, ovvero chi ha adottato un criterio contabile oggi in discussione ma non allora, e coloro che hanno distrutto quello che era il terzo gruppo bancario italiano, condannati a poco più di 7 anni".



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