
Entrambi furono arrestati l'8 marzo 1944. Nello stesso giorno lasciarono per sempre le loro famiglie, senza saperlo. Il ricordo di Carlo Castellani e Remo Burlon nella testimonianza dei figli
57026 e 56996. Due gruppi di cifre, che a qualcuno possono sembrare solo numeri, mentre per dei bambini rappresentano i propri babbi, partiti 78 anni fa, pensando di fare ritorno a casa.
Quei numeri corrispondono a Carlo Castellani e Remo Burlon, entrambi deportati l'8 marzo 1944, uno da Fibbiana di Montelupo e l'altro da Empoli ma entrambi diretti a Mauthausen. Due storie diverse, unite dallo stesso orrore del genocidio nazista. Due famiglie diverse, unite dalla stessa immensa perdita. Due bambini diversi, entrambi privati del proprio babbo.
Oggi, nel Giorno della Memoria, entrambi i comuni hanno ricordato i propri concittadini deportati e assassinati nei campi di sterminio. A Empoli e Montelupo, in via Chiara e piazza San Rocco, due pietre d'inciampo ricorderanno per sempre Burlon e Castellani, tornati "a casa" in quel san pietrino d'ottone.
Instancabili portatori di quella memoria, da tramandare con forza sempre maggiore, sono i figli di questi babbi partiti e mai più tornati, Roberta Burlon e Franco Castellani.
Quello stesso giorno più famiglie videro sparire i propri cari, così come gli allora bambini Roberta e Franco. Tra ricordi offuscati o nitidi come se fossero successi ieri, entrambi ricordano il proprio babbo, costretto a lasciare tutto ciò che aveva all'improvviso, in quello che sembrava essere un giorno come un altro.
I ricordi di Roberta Burlon
Burlon è uno dei deportati della Vetreria Taddei. Si trovava al lavoro quando fu arrestato, dopo uno sciopero nell'Italia occupata a cui aderì la fabbrica e dopo che la famiglia si trovava già sfollata sul Montalbano. Roberta era una bambina, costretta dal periodo più buio della storia a non ricordare bene suo padre. "Me lo ricordo grande, che mi teneva sulle spalle - racconta Roberta Burlon - poi a volte mi portava sulla canna della bicicletta. Ma la faccia non la ricordo". La figlia racconta che questa perdita ha rappresentato per lei una mancanza nell'arco della vita, iniziata da quello che sembrava essere un giorno come tutti. "Andò a lavorare, fu preso e portato a Firenze a Villa Triste" da dove fu deportato. Dal treno, Remo buttò dei bigliettini per avvertire i propri cari. "Una signora li ha raccattati a suo rischio - continua Roberta - erano biglietti della mensa della Taddei dove babbo aveva scritto 'mi portano in Germania' ". Burlon morì un anno dopo il suo arresto, il 24 aprile 1945 a Ebensee, giorno della Liberazione. Un lavoro, quello di tramandare ciò che è stato, fondamentale per la figlia di Burlon con i giovani, "perché si ricordino quello che si è passato e si rendano conto di cosa può significare la guerra".
La testimonianza di Franco Castellani: "Babbo finito per generosità nel campo di concentramento"
Poche ore prima, all'alba, nella casa della famiglia Castellani a Fibbiana suona il campanello. Non sono neanche le sei, quando sotto dalla finestra carabinieri e repubblichini volevano David, il padre di Carlo Castellani, per "fargli delle domande" probabilmente riguardo alla sua posizione antifascista. Franco Castellani racconta l'ultimo giorno a casa di suo babbo come se raccontasse un film visto centinaia di volte, quando conosci ogni scena a memoria, comprese le battute degli attori. Ma quello che ha visto purtroppo non è un film. Castellani dunque partì al posto del nonno David, a letto malato, per andare a fare quelle che sembravano due parole con le autorità, "salutò mia madre, mi dette un pizzicotto a me e mi disse "stai bono", vedrai in mattinata ritorno". Non fu così. Franco ricorda il camion sotto la finestra di casa in piazza San Rocco. Il padre montò sopra con altre persone già rastrellate, andò a Montelupo ma il maresciallo non arrivò mai. Da lì vennero trasportati a Firenze, dove alla stazione di Santa Maria Novella c'era un treno ad aspettarli. Il treno partì e dopo 3 giorni, senza mangiare né bere stipati in più di 60 in un cassone, arrivarono a Mauthausen. Dopo tre mesi Castellani si ammalò di dissenteria, fino a diventare uno scheletro, come racconta Franco. Trasferito a Gusen con Aldo Rovai, morì pochi mesi dopo nei forni, il 14 agosto 1944. "Questa è la storia di un giocatore, di un uomo finito per caso e per generosità in un campo di concentramento. Doveva essere mio nonno al suo posto, loro lo presero comunque e sapevano benissimo dove andava".
Carlo si affacciò da quella finestra in piazza San Rocco e non vide chiaro il destino davanti a sé. Oggi da quella finestra si affaccia il figlio Franco, custode della memoria del padre e di ciò che successe in quel marzo di 78 anni fa. Dentro le mura di casa, davanti alla quale da oggi c'è la pietra d'inciampo, il figlio ha conservato tutto. Foto di famiglia, insieme alla sorella Carla e ai genitori, vecchi documenti e pagine di giornale dei giorni di guerra. Tanti i cimeli del babbo calciatore, di cui descrive alla perfezione la posizione in ogni scatto di gruppo con la squadra.
Nelle scatole vecchie lettere e i ricordi del campione, alla quale sia Empoli che Montelupo hanno intitolato i loro stadi. E infine nel cuore il ricordo del babbo, che come ha detto Franco "mi insegnava a giocare nell'orto". L'approfondimento su Empoli Channel - Carlo Castellani, l’attaccante ucciso in un campo di concentramento
Margherita Cecchin
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