i.p.

L’esercizio della speranza per donare un futuro a chi vive l’esperienza carceraria

Giunta alla sua 34esima edizione, la Giornata nazionale delle Offerte per il sostentamento dei sacerdoti ci rammenta il valore delle offerte deducibili: un simbolo di riconoscenza verso la cura giornaliera dei preti diocesani che si impegnano quotidianamente a supporto delle comunità e dei più bisognosi.

Grazie a Uniti nel Dono è possibile trasmettere il calore della gratitudine agli oltre 33 mila parroci presenti sul territorio nazionale italiano.

Una storia di impegno quella di Don Antonio Pesciarelli e di Mons. Marco Fibbi, parroci rispettivamente della Casa di reclusione di Rebibbia e della Casa circondariale Raffaele Cinotti, che hanno deciso di dedicare la loro missione sacerdotale a coloro che soffrono l’esperienza carceraria.

I detenuti vivono un calvario segnato alla periferia della società, distanti dalla famiglia, dagli affetti e accompagnati solo da due sentimenti incessanti: il logorante senso di colpa e la volontà di meritarsi una seconda opportunità. Don Antonio e Mons. Marco Fibbi ascoltano i detenuti, fornendo un aiuto spirituale e materiale a chi prova a vivere l’esperienza carceraria come momento di riflessione e di meditazione. “Devi entrare qui con una mentalità liberaspiega don Antonio Pesciarelli perché sono fratelli da amare e noi siamo qui per ascoltarli, sono persone che hanno tanto bisogno”.

Operando in un contesto di reclusione e isolamento come il carcere, i diocesani infondono nei detenuti un senso di rivalsa: perché l’esperienza carceraria non si concluda sterilmente come un periodo di allontanamento, ma si trasformi in un momento per prendere coscienza dei propri sbagli, delle responsabilità e della possibilità di costruire un secondo futuro. “Prima ero una persona completamente diversa, anche nel comportamento carcerario: ero aggressivo con i miei compagni e con gli assistenti. Per questo trovo che sia molto importante l’aiuto che ci dà don Antonio” spiega Dario, un detenuto che desidera superare definitivamente gli errori commessi in passato e regalare un nuovo respiro alla propria vita.

Don Antonio e Mons. Marco Fibbi si sono consolidati come punti di riferimento per i detenuti durante la pandemia da Covid-19: un legame tra la società e l’istituto carcerario per soddisfare anche le piccole esigenze quotidiane, in un momento di difficoltà in cui il rapporto con gli affetti era completamente interrotto. “Anche le misure cautelative legate al Covid hanno influito moltissimo sugli ingressi in carcere - spiega monsignor Fibbi - perché ad esempio alcuni detenuti venivano spostati per fare la quarantena e le famiglie erano completamente tagliate fuori. In quella fase eravamo noi cappellani a fornire informazioni ai parenti”. Una missione che ha avvicinato spontaneamente i detenuti alla fede e ha ristabilito il contatto con gli affetti più cari, nonostante la distanza fisica: “Credo proprio che a vivere la parte più dura dell’esperienza carceraria - spiega Danilo, detenuto da più di cinque anni a Rebibbia - sia chi sta fuori e ti aspetta.”

Un servizio virtuoso che include anche volontari, come la Caritas o la Comunità di Sant’Egidio, aprendo le porte del cuore ha chi desidera un legame, una famiglia. “Venire qui è visitare le periferie - conclude Don Antonio - e sappiamo che sarebbe stato uno dei luoghi privilegiati anche da nostro Signore. Qui il tempo si passa ad ascoltare”.

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